20 dicembre 982

l'isola, fu rinominata Memmia, dal nome del doge Tribuno Memmo che la donò al monaco benedettino, Giovanni Morosini. L'attuale isola di San Giorgio, all'epoca dei primi dogi, intorno al 700, era chiamata Isola dei Cipressi. Contava pochi abitanti che lavoravano in una salina ed in un mulino a vento; nel 790 fu edificata una chiesetta dedicata a San Giorgio, al cui nome fu aggiunto l'appellativo “maggiore” per distinguerla da un'altra chiesa costruita su un'isoletta della laguna chiamata San Giorgio in Alga. Il 20 dicembre del 982 l'isola, fu rinominata Memmia, dal nome del doge Tribuno Memmo che la donò al monaco benedettino, Giovanni Morosini. Il religioso fece costruire un monastero adiacente alla piccola chiesa e ne divenne il primo abate. Il Morosini ebbe tra i suoi scolari San Gerardo Sagredo. Dopo essere stato per venticinque anni guida e modello per i suoi monaci, l’Abate Morosini morì nel 1012. Con il passare degli anni frequenti e cospicue donazioni permisero di ampliare il monastero che divenne uno dei maggiori centri europei in campo teologico, culturale e artistico. Nella prima decade del 1100, quando era doge Ordelaffo Falier, secondo la leggenda fu traslato nella chiesa il corpo di Santo Stefano, il primo martire cristiano, così per molti secoli si festeggiò la sua ricorrenza con grandi celebrazioni nell'antistante Bacino di San Marco. L'isola è ricordata anche come teatro di avvenimenti storici come il famoso incontro fra papa Alessandro III e il Barbarossa nel 1177 promosso dal doge Sebastiano Ziani (che morì nel 1178 e fu sepolto nel monastero, come anche il doge Pietro Ziani, nel 1230). Nel 1433 i padri benedettini accolsero Cosimo de' Medici il vecchio in esilio da Firenze, che lasciò al monastero di San Giorgio una collezione libraria e i disegni di Michelozzo per una nuova biblioteca. Il contributo artistico di Palladio e Longhena. L'architetto Andrea Palladio, nella seconda metà del '500 progettò oltre alla facciata classicheggiante della chiesa, anche il chiostro ed il refettorio destinato ad ospitare la grande tela “Le Nozze di Cana” di Paolo Veronese. Nel '600 nuovi lavori commissionati all'architetto Baldassarre Longhena elevarono ulteriormente il contenuto artistico dell'isola. Alla fine del '700 Napoleone Bonaparte, sceso in Italia, fece portare in Francia molti capolavori custoditi a San Giorgio fra cui anche il dipinto “Le nozze di Cana” oggi esposto al Louvre. Con il passaggio di Venezia agli Austriaci sancito dal Trattato di Campoformio nel 1797 ci furono ulteriori danni per il monastero benedettino che venne chiuso nel 1807, l'isola divenne porto franco, fu costruita la darsena ancora presente oggi e spaziosi magazzini. Dopo i moti rivoluzionari del 1848 e fino all'annessione di Venezia al Regno d'Italia, nel 1866, l'isola mantenne una funzione di presidio militare. Il lento degrado si fermò solo con l'acquisto dell'intera isola da parte del conte Vittorio Cini che fece restaurare l'antico monastero benedettino destinato ad ospitare la sede della Fondazione Giorgio Cini istituita nel 1951, in memoria del figlio Giorgio, morto in un incidente di volo nel 1949.


20 dicembre 1562

In occasione delle nozze d’una figlia di Sebastiano Venier, giunge a Venezia una delegazione di bresciani per offrire al loro ex governatore un omaggio di quattro barili di vernaccia, due forme di formaggio, alcuni salsicciotti: “In segno et memoria della affezion infinita” di tutta Brescia. Il Venier rifiuta il dono nel timore che possa essere malamente interpretato. La moglie osserva timidamente che a lei, la vernaccia, piace molto. I delegati insistono; il Venier è irremovibile. Solo dopo una commovente discussione davanti alla cesta delle salsicce, il futuro eroe della battaglia di Lepanto, acconsente al dono di due salami, ma “dei più piccioli”. Con grande fatica si riesce a convincerlo a prenderne almeno tre, i primi che gli vengono alle mani.
Altri tempi, ora direbbero "tutto qua?"


20 dicembre 1577

Un devastante incendio avvampò nell’ala occidentale di Palazzo Ducale, prospiciente la piazzetta e la Libreria Marciana Il fuoco si fece strada nell’adiacente ala meridionale affacciata sul bacino di San Marco e in breve tempo raggiunse l’estremità orientale dell’edificio, andando a lambire la parete che ospitava il celebre affresco trecentesco di Guariento raffigurante il Paradiso. Ludovico Pozzoserrato, in un dipinto coevo prestato dai Musei Civici di Treviso, ritrae il fabbricato inghiottito dalle fiamme, nonché la folla che assiste inerme a distanza di sicurezza mentre gli arsenalotti prestano i primi soccorsi con l’ausilio di scale. In quell’occasione uno dei più grandi cicli di pittura rinascimentale presente nella Sala del Maggior Consiglio venne completamente distrutto. Domate le fiamme, la Serenissima decise che il Palazzo Ducale – simbolo di stabilità e permanenza dell’ordinamento politico e civile della Repubblica – doveva rapidamente tornare al suo splendore. Palladio avrebbe voluto riedificarlo in stile classico, come mostra il modello esposto in mostra realizzato in anni recenti dall’architetto Antonio Foscari; altri, meno drastici, proposero invece interventi di consolidamento. Si scelse questa via, e la nuova decorazione pittorica del Palazzo – realizzata grazie all’intervento dei migliori artisti del tempo – portò ai risultati che il pubblico può ora ammirare visitando le sue magnifiche sale. Tra le pochissime opere di Tiziano rimaste a Palazzo Ducale dopo il tragico incendio, vi è lo straordinario affresco di San Cristoforo che porta sulle spalle il bambino: sullo sfondo, a sottolineare la protezione del Santo sulla città, si scorge il bacino di San Marco col Campanile e la sagoma di Palazzo Ducale.