I VENETI Etnico attestato nelle fonti greche e latine (Ἐνετοί, Οὐένετοι, Veneti) con localizzazioni geografiche varie: Asia Minore- Paflagonia (Omero e tradizione troiana); Penisola Balcanica (Erodoto); alto Adriatico-Veneto (ampia documentazione, tra cui Erodoto, Sofocle, Pseudo-Scilace, Teopompo, Catone, Polibio, Strabone, Virgilio, Livio); Europa centrale (Plinio, Tacito, Tolemeo); Gallia-costa atlantica (Cesare, Strabone, Livio, Tolemeo); Venetus lacus è detto il Lago di Costanza (Pomponio Mela) e dei Venetulani sono citati tra gli antichi popoli laziali (Plinio). Secondo i linguisti, tale diffusione fa supporre che il nome equivalga a “Indoeuropei”: i Veneti dell’alto Adriatico, i soli attorno ai quali è fiorita un’ampia mitistoria, ne rappresenterebbero un filone, con una forma del lessico che ha raggiunto lo stadio autonomo di etnico. A essi si deve una facies culturale tra le più importanti e meglio caratterizzate dell’Italia preromana, individuata in seguito a casuali rinvenimenti avvenuti a Este nel 1876. Successivi scavi sistematici, già nel 1882, permettevano ad A. Prosdocimi di delinearne un esauriente quadro: “atestina” (da Ateste, nome latino di Este) fu da lui definita questa cultura regionale autonoma e attribuita agli Euganei. Nei decenni seguenti altre scoperte ne dilatavano l’orizzonte, non limitato a Este ma esteso dall’arco adriatico a est, alle Alpi a nord, al sistema Mincio-Adige-Garda a ovest, al Po a sud, suggerendo la denominazione di civiltà “paleoveneta”, meno circoscritta di “atestina”. Ancor oggi “Paleoveneti/paleoveneta” sono spesso usati per indicare il popolo e la cultura, ma preferibile, oltre che più corretto, è riprendere il nome storico e parlare di cultura veneta (o venetica, mutuando il termine da quello usato convenzionalmente per la lingua) e di Veneti come popolo sufficientemente contestuato, tanto più che su un’iscrizione da Isola Vicentina ricorre il termine venetkens, sicura attestazione dell’etnico come “auto-riferimento”. Secondo il consueto schema delle origini, le fonti concordano su una provenienza orientale dei V., legata alla guerra di Troia: da Omero (Il., II, 851-852) che cita gli Eneti tra gli alleati dei Troiani, guidati da Pilemene, a Sofocle (in Strab., XIII, 1, 53) che per primo narra di un loro arrivo sulle coste adriatiche, “in terra enetica”, a Livio (I, 1, 1-3) che ne codifica la storia: morto Pilemene a Troia, gli Eneti superstiti guidati dal troiano Antenore sarebbero giunti nelle regioni dell’alto Adriatico; relegato sui monti il preesistente popolo degli Euganei, Eneti e Troiani, nel comune nome di Veneti, si sarebbero insediati nella pianura. Secondo Virgilio (Aen., I, 242-49), Padova sarebbe la città fondata da Antenore per la nuova gente, “sorella” di Roma i cui natali sono legati a Enea, fuggiasco da Troia al pari di Antenore, ma con un destino ancor più travagliato. Poco o nulla sappiamo della successiva storia: Livio (X, 2, 4-15) narra di una vittoria dei Patavini sullo spartano Cleonimo; Polibio (II, 17, 5-6) parla di rapporti con i Celti, da cui i Veneti differivano per la lingua; varie fonti li ricordano come allevatori di pregiati cavalli, vincitori a Olimpia e ricercati a caro prezzo da Dionisio il Vecchio; Strabone (V, 1, 9) riporta la notizia di un culto tributato a Diomede presso il Timavo e del sacrificio di un cavallo bianco; a Teopompo risale la menzione di riti agrari con offerte alle cornacchie. Ma si tratta, come si può vedere, di ben poca cosa: come per tutte le civiltà protostoriche, nel silenzio delle fonti le nostre conoscenze dipendono essenzialmente dai dati archeologici e, in parte, dalle iscrizioni che, oltre alla lingua, restituiscono preziose informazioni di carattere socio-culturale. Sostituito il concetto di origine/provenienza con quello di formazione, una fase “protoveneta” è accertata nel Bronzo Finale (XI-IX sec. a.C.) in vari centri, tra cui Frattesina di Fratta Polesine, su un ramo deltizio del Po, dove una ricchissima documentazione attesta per l’abitato un’economia produttiva di eccedenza, destinata a scambi a lungo raggio con l’ambito egeo e con l’area tirrenica (ambra, avorio, bronzi, pasta vitrea, uova di struzzo). Le necropoli sono a incinerazione, con aspetti di facies protovillanoviana. Durante l’età del Ferro (IX-II sec. a.C.) i centri maggiori, oltre a Este e Padova, sono Gazzo, Oppeano, Erbè nel Veronese; Vicenza, Montebello e numerosi insediamenti nel Vicentino; Montebelluna, Mel, Caverzano, Lozzo, Lagole nella valle del Piave; Altino, Treviso, Oderzo, Concordia nel Veneto orientale. Sensibili sono le differenze tra le varie aree, in particolare tra quella atestina e centro-occidentale, gravitante sull’Adige, più aperta a influenze etrusco-italiche per il tramite di Bologna, e quella patavina e centro-orientale, gravitante sul Brenta-Piave, più rivolta a influenze centroeuropee; chiare anche una facies alpina (Montebelluna, Mel, valle del Piave) e una collinare (vicentino e Lessinia) più legata al mondo retico. Comune agli insediamenti di pianura è l’ubicazione tra meandri fluviali, con una connotazione di “città simili a isole” già rilevata da Strabone (V, 1, 5). Abitazione-tipo nella prima età del Ferro è la capanna di materiale deperibile (legno, frasche, argilla), mentre dal VI sec. a.C. sono documentate strutture più stabili: ampie case a pianta rettangolare, con partizioni interne e ambienti di servizio, fondazioni di pietra, alzati di legno o mattoni crudi. Evidente una certa pianificazione “urbanistica” nei centri maggiori, con assi stradali portanti: emblematiche al proposito una grande strada inghiaiata a Oderzo e una lignea a Padova, risalenti quanto meno al VII sec. a.C. Tipici dell’area collinare sono invece i villaggi a terrazze con case seminterrate. Se un pesante limite alle indagini in abitato è rappresentato dal fatto che le città hanno continuato a crescere su sé stesse fino ai giorni nostri, obliterando le tracce più antiche e impedendo scavi in estensione, maggiori informazioni vengono dalle necropoli, sempre esterne agli abitati e spesso da questi separate da un corso d’acqua. Uso pressoché esclusivo è l’incinerazione, con una limitata presenza di inumati nella seconda età del Ferro; pure dal VI sec. a.C. sono frequenti le sepolture di cavalli, sia commiste alle necropoli che in aree specifiche, a testimonianza della loro fama nonché del rango emergente dei cavalieri. Le tombe sono del tipo a semplice fossa, a cassetta di pietra o legno, a dolio; all’esterno dovevano essere segnalate in vario modo, con piccoli accumuli di terra, pietre, segnacoli di legno o altro materiale deperibile, mentre dal VI sec. a.C. entrano in uso, per quelle più importanti, segnacoli di pietra (ad es., cippi troncopiramidali a Este, stele figurate a Padova) con il nome del defunto. Frequente, specie a Este, è la presenza di più ossuari nella stessa tomba, conseguente a una pratica di riapertura che può comportare anche la manipolazione delle ossa e dei materiali di corredo, secondo vari codici di ricongiungimento post mortem. Ben riconoscibile è una strutturazione planimetrica delle necropoli, con spazi spesso delimitati da recinti di pietre e piccoli tumuli di terra comprendenti più tombe disposte in maniera gerarchica, dal centro alla periferia. Sui materiali si basano gli studi tipo-cronologici, mentre le connotazioni dei corredi ci informano sull’articolazione sociale. Alla suddivisione in quattro periodi, già prospettata da A. Prosdocimi e rielaborata da H. Müller Karpe (1959), G. Fogolari e O.H. Frey (1965, 1969), R. Peroni (1975), è oggi applicabile una serrata cronologia assoluta dalla fine del IX al II sec. a.C. I corredi, inizialmente molto semplici e omogenei, già dalla seconda metà dell’VIII sec. a.C., si diversificano per complessità, mostrando il progressivo emergere di classi di rango/ruolo/età per gli uomini e per le donne: agli oggetti personali di ornamento-abbigliamento si accompagnano oggetti indicatori di status e di ricchezza, nonché “servizi” di vasi fittili e bronzei che testimoniano la progressiva adesione a rituali di simposio/banchetto mutuati dal mondo greco ed etrusco. Nel corso del VII sec. a.C. è palese una componente culturale e materiale che rientra nel quadro dell’Orientalizzante etrusco: a essa va collegata la nascita di un linguaggio figurativo- narrativo che si esplica in quella singolare produzione di oggetti di bronzo laminato con decorazione sbalzata e incisa che definiamo “arte delle situle”. Capolavoro di questo artigianato artistico è la situla Benvenuti di Este, databile attorno al 600 a.C.: su tre fasce sovrapposte si snodano scene di vita (caccia, giochi, banchetto, guerra) intervallate da animali fantastici ed elementi vegetali, in un racconto/messaggio dell’élite aristocratica. Da Este questo linguaggio si diffonde in vari centri del Veneto e nelle regioni limitrofe dal Po al Danubio, divenendo espressione tipica delle classi dominanti. Il VI sec. a.C. è il momento di massima floridezza economica e culturale del mondo veneto: i centri maggiori si trasformano in vere e proprie “città”, ognuna delle quali controlla un ampio territorio; nascono e si sviluppano numerosi insediamenti di collina. Dai centri dell’Etruria padana, oltre che dagli empori greco-etruschi di Adria e Spina, i Veneti importano ceramica attica, etrusco-padana, a vernice nera e danno avvio a nuove produzioni locali di imitazione: vasellame fine da mensa per il consumo del vino, attrezzi per la preparazione e la cottura delle carni indicano l’adozione sempre più ampia del rituale del simposio/banchetto. Alla documentazione funeraria si aggiunge quella dei centri di culto: santuari suburbani, extraurbani, territoriali, tutti con una sottesa valenza reale o simbolica di frontiera, e piccoli luoghi di culto lungo le vie di traffico, presso fiumi e sorgenti, documentano l’affermarsi di una religiosità/cultualità pubblica prevalentemente incentrata su una divinità femminile risanatrice e protettrice delle attività femminili e maschili. Pora-Reitia è il nome ricorrente nelle dediche di Este, Trumusiate- Tribusiate in quelle di Lagole, ambedue spesso con l’epiteto Sainate. A Vicenza sono citati i Termonios Deivos, gli dei del confine, a Este gli Alkomno, una coppia gemellare affine ai Dioscuri. Assenti fino alla romanizzazione sono vere e proprie strutture templari e si tratta piuttosto di aree sacre talvolta delimitate da recinti, per riti che dovevano svolgersi prevalentemente all’aperto. Tra i numerosissimi ex voto predominano quelli di bronzo, con una fiorente produzione di bronzetti e lamine figurate. Dai santuari e dalle necropoli provengono i documenti della scrittura con la quale, dal VI sec. a.C., i Veneti traducono la loro lingua: oltre 400 iscrizioni, redatte in un alfabeto derivato da quello etrusco, attestano una lingua di tipo indoeuropeo affine al latino; le dediche sono brevi e con formulari fissi; l’onomastica fornisce dati sulla struttura sociale (ad es., formule binomie sul tipo del gentilizio); diversità locali ribadiscono le differenziazioni areali. Eccezionale nel santuario di Reitia a Este è la documentazione dell’insegnamento della scrittura fornita dalle tavolette alfabetiche che, con gli stili scrittori, costituivano un ex voto tipico. Ottimi interlocutori commerciali degli Etruschi e dei Greci, con i quali dovevano tra l’altro scambiare i pregiati cavalli, i Veneti intrattennero pacifici rapporti anche con i Celti, con episodi di integrazione intermatrimoniale ben evidenti su base archeologica e linguistica, così come progressivo e pacifico fu l’incontro con i Romani, sicuramente presenti nel territorio tra III e II sec. a.C. I cippi confinari tra Este e Padova, tra Este e Vicenza, posti per intervento del Senato romano e redatti in latino, la stesura delle vie consolari (Postumia, Popillia, Annia) segnano nella seconda metà del II sec. a.C. il passaggio da un regime di alleanze a quello di un governo romano, con un graduale passaggio dalla lingua, scrittura, onomastica, cultura venetica alla latina. La piena romanizzazione avviene con la concessione del diritto latino nell’89 a.C. e con quella del diritto romano tra 49 e 42 a.C.: municipia diventano Verona, Vicenza, Padova, Adria, Altino, Treviso, Asolo, Oderzo, Feltre, Belluno; coloniae Este e Concordia.


di Loredana Capuis - Il Mondo dell'Archeologia (2004)

tratto da enciclopedia treccani