7 dicembre 1271,

A Venezia, sin dai tempi più antichi, l’artigianato era suddiviso in corporazioni,che secondo il modello bizantino erano in parte giuridicamente autonome e in parte controllate dal potere centrale. Al sistema corporativo è legato il fenomeno della nascita di suffragi, scuole e “scuole grandi”, ossia le grosse banche dell’artigianato e della piccola borghesia, ciascuna con il proprio statuto approvato dallo stato. Il primo documento riguardante l’arte dei pittori risale al 7 dicembre 1271 e si tratta del più antico capitolare, il quattordicesimo della serie dei capitolari registrati in un codice della Magistratura della Giustizia Vecchia conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia. La gilda era governata da un gastaldio artis, il vero capo, e un gastaldio scole, con competenze amministrative; in seguito la carica sarebbe stata unificata e affidata ad un’unica persona. In principio la carica di gastaldo era di nomina ducale ma successivamente divenne elettiva e veniva conferita ad uno dei maestri d’arte. La gastaldia durava un anno e non poteva essere abbandonata prima della sua scadenza. Il gastaldo doveva convocare due volte all’anno l’assemblea generale con tutti i confratelli e in quell’occasione leggeva loro il capitolare. Il gastaldo era aiutato da un consiglio composto da giudici o ufficiali, i quali dovevano provvedere agli interessi degli artigiani, consigliare il gastaldo e potevano denunciarlo ai Giustizieri Vecchi qualora non seguisse il capitolare. Insieme ai giudici, il gastaldo formava il tribunale dell’arte che si occupava di cause pertinenti all’arte e all’esercizio del mestiere; entrambi non potevano essere ricompensati in alcun modo. Se il capitolare non veniva rispettato e il gastaldo necessitasse di imporre delle pene, egli doveva chiedere il permesso ai Giustizieri Vecchi e la pena non avrebbe dovuto superare i 40 soldi e doveva essere divisa a metà tra gli ufficiali e la scuola.Tutti i maestri che volevano esercitare il mestiere sia in proprio che associandosi ad altri, dovevano iscriversi alla scuola, in questo modo prestava giuramento al capitolare; altrimenti era passibile di denuncia alla Giustizia Vecchia. Ciascun capomaestro poteva accogliere nella propria bottega degli apprendisti che doveva ricompensare con il vitto. Anche gli stranieri dovevano iscriversi alla scuola e dovevano pagare la tassa d’iscrizione doppia rispetto ai cittadini veneziani, a meno che non avessero appreso l’arte a Venezia.


7 dicembre 1592,

Galileo Galilei teneva la sua prima lezione come professore presso l’Università di Padova. Arrivava da Pisa, dove era stato in cattedra per tre anni, e le sue scoperte in matematica, fisica e scienze applicate lo avevano già reso famoso. Si era già servito in maniera eccelsa delle sue straordinarie doti di acuto osservatore, combinando a queste una rigorosa idealizzazione matematica, guadagnandosi così il ruolo di fondatore dell’approccio scientifico moderno. Nel suo libro De motu, che unisce alcune sue opere precedenti, è già chiaro il distacco dal modo di pensare aristotelico e lo stile polemico che gli era proprio traspariva già in alcuni versi molto incisivi.In una lettera a Fortunio Liceti scritta nel 1640, due anni prima della sua morte, Galileo descriveva i 18 anni trascorsi a Padova come “li anni più belli della mia vita”. Egli apprezzò infatti l’estrema libertà di pensiero che gli scienziati potevano trovare, all’epoca, nella Repubblica di Venezia. Ebbe molte discussioni scientifiche col collega Cremonini, pur rimanendo in ottima amicizia, e godette della compagnia di molti veneziani di vedute aperte; è infatti in un palazzo veneziano che ambientò l’azione dei suoi Dialoghi,la nota opera che scrisse solo molti anni dopo il suo soggiorno a Padova.Dei tre personaggi che dibattono nel libro, Giovanfrancesco Sagredo è un nobile veneziano illuminato che, benché disinteressato all’inizio, finisce per interessarsi alle idee di Copernico. A Venezia Galileo trscorse molto tempo all’Arsenale, mosso da un forte interesse per la tecnologia che poteva osservare. Non distinse mai la scienza dalle sue applicazioni; persino nella sua opera maggiore, i Discorsi, c’è un riferimento esplicito alla sua esperienza nell’Arsenale. A Padova aveva associato alla cattedra anche un laboratorio, dove realizzò con grande abilità molti degli strumenti che utilizzò per le sue scoperte. Durante il periodo padovano scrisse relativamente poco, ma fu proprio a Padova che sviluppò gran parte delle sue teorie sulla meccanica e molte delle sue scoperte sui corpi naturalmente accelerati, che espose più tardi in maggior dettaglio nelle sue opere principali.