5 dicembre 1511

Il castello di Pieve è il primo luogo militarmente fortificato del Cadore di cui si ha notizia certa. Sorgeva sull’altura del monte Ricco, a sud-est dell’abitato, in una posizione elevata e di notevole controllo del territorio circostante, alla confluenza del Boite nel Piave. Sembra che il sito fosse frequentato già nell’antichità, come sede di un culto pre-cristiano. Dopo la dedizione della Magnifica Comunità di Cadore alla Serenissima, nel 1420, fu residenza del capitano della Serenissima. Venne particolarmente coinvolto, come naturale, dagli eventi della guerra della Lega di Cambrai. Nell’inverno del 1507-8 venne occupato da una colonna di Imperiali, comandata dal tirolese Sisto von Trautson, ma dopo la battaglia di Rusecco del 2 marzo 1508 (nota come battaglia di Cadore), fu riconquistato dai Veneziani e dai Cadorini, guidati da Bartolomeo d’Alviano. Per altri due anni resistette a ripetuti assedi; riconquistato, il 5 dicembre del 1511 dal maresciallo Regendorf (agli ordini dell’imperatore Massimiliano d’Austria), dodicimila imperiali attaccano il Castello, strenuamente difeso dai bellunesi agli ordini di Filippo Salomon, che resistono per due giorni all’intenso bombardamento delle artiglierie nemiche: “Tiravano tante bòte che pareva piovesse”, scrive un testimone. Infine il castello sarà occupato e dato alle fiamme. tornò quasi subito sotto il controllo dei Veneziani. Durante l’occupazione degli Imperiali, fu impossibile impedire saccheggi e incendi di alcuni villaggi vicini e il furto del testo degli Statuti cadorini. La battaglia di Cadore fu rappresentata dallo stesso Tiziano, nella Sala del Maggior Consiglio, in palazzo Ducale, ma l’affresco andò distrutto da un incendio del 1577. Cessata la sua funzione militare, dopo la caduta del governo aristocratico della Serenissima (12 maggio 1797), anche il castello cadde in rovina.


5 dicembre 1537

Andrea Vesalio era nato a Bruxelles il 31 dicembre 1514 da una famiglia proveniente dalla località renana di Wesel. Il nonno, il bisnonno e il trisavolo erano stati medici presso la casa di Borgogna e così erano diventati nobili. Ciononostante, al padre, forse per l’origine bastarda, era stata preclusa la professione e si era dovuto accontentare di fare il farmacista al servizio di Carlo V . Questo fatto dovette influire sul carattere di Vesalio, che probabilmente non voleva dimostrarsi da meno dei suoi antenati. Forse venivano da lì il suo desiderio di superamento e quell’individualismo che lo portò a essere, in un certo senso, un autodidatta dell’anatomia.Fin da bambino Vesalio si divertiva a sezionare piccoli animali e a creare collezioni di storia naturale. Su una collina dietro casa sua c’era un patibolo per i criminali. I cadaveri venivano lasciati appesi alla forca finché l’azione del tempo e gli uccelli rapaci non li trasformavano in scheletri. Questo probabilmente gli consentì di familiarizzare con le ossa umane. A 16 anni, nel 1530, intraprese a Lovanio gli studi universitari, che gli consentirono di padroneggiare il greco e il latino: in quest’ultima lingua avrebbe scritto le sue opere di anatomia. Nel 1533 Vesalio si trasferì all’università di Parigi, la Sorbona, nella cui facoltà di medicina si studiava un’anatomia per lo più teorica, ma veniva incoraggiata anche la pratica delle dissezioni. Vesalio ne eseguì molte, sia di pubbliche che di private. Per questo motivo era un ospite assiduo del cimitero degli Innocenti e del patibolo di Montfaucon, dove si procurava i cadaveri. Nel 1536, attratto dalla fama dell’anatomia che si studiava a Padova, si trasferì nella locale facoltà di medicina, dove il 5 dicembre del 1537 divenne dottore. Il giorno seguente, dopo aver condotto una brillante dissezione, fu nominato professore di chirurgia. A Padova Vesalio visse i suoi anni di gloria. Divenne uno dei migliori sezionatori del mondo e diede una straordinaria svolta all’insegnamento dell’anatomia. In primo luogo, era lui stesso a praticare le dissezioni, mentre incoraggiava gli alunni stretti attorno a lui a fidarsi meno dei testi degli autori antichi, come Galeno, e più dei propri sensi: «Toccate voi stessi, con le vostre mani, e abbiate fiducia in loro» raccomandava. In secondo luogo, Vesalio lanciò un nuovo e spettacolare procedimento per insegnare anatomia: il disegno. Eseguì sei tavole anatomiche, accompagnate da didascalie sulle vene, l’aorta e lo scheletro, che furono pubblicate nel 1538. Queste tavole rappresentavano il germe del suo capolavoro: il De humani corporis fabrica (Sulla struttura del corpo umano), uscito nel 1543. I disegni di Vesalio coprono tutta l’anatomia umana: ossa e cartilagini, muscoli e legamenti, apparato circolatorio, nervi, organi addominali e genitali, torace, cervello e organi di senso. Il libro ebbe un enorme successo perché non esisteva niente di simile:grazie all’uso della prospettiva, Vesalio riuscì a dotare le sue illustrazioni di movimento. Per la prima volta era possibile osservare i disegni anatomici in tre dimensioni, il che risultò particolarmente utile a medici e artisti. Vesalio era un grande anatomista, ma passò alla storia per aver fatto dell’anatomia la regina delle scienze e una delle belle arti. Il libro fu molto apprezzato per le sue incomparabili immagini – opera di pittori della scuola di Tiziano, come Johannes Stephan van Calcar –, ma non per i suoi testi, scritti in un latino farraginoso. In ogni caso, va ricordato che, a differenza di ciò che si è più volte sostenuto, Vesalio non ruppe con l’anatomia di Galeno. Questo medico greco, che visse nel II secolo d.C. e fu al servizio di vari imperatori romani, era il maggior anatomista dell’antichità. In realtà i suoi contributi si basavano sulla dissezione di animali (soprattutto scimmie, per Quando Vesalio studiò Galeno, nonostante fosse consapevole del fatto che il medico greco non aveva mai effettuato una dissezione di un corpo umano, ne apprezzò comunque la grande esperienza e la straordinaria conoscenza acquisita grazie allo studio dell’anatomia animale. Vesalio stesso, inoltre, si dedicava anche allo studio di altre specie. In varie illustrazioni della Fabrica dedicate alla muscolatura umana, per esempio, appaiono muscoli di cane. E, come aveva fatto Galeno 1200 anni prima, anche Vesalio vivisezionò una scrofa per poterne studiare le funzioni vitali. A partire dal 1543 è come se Vesalio avesse perso la sua ispirazione anatomica. Divenne medico di Carlo V e nel 1559 entrò al servizio di Filippo II, ma il suo lavoro si limitò al personale fiammingo della corte. Probabilmente non si trovava bene presso i reali spagnoli, perché nel 1564 lasciò l’incarico per recarsi in Terra Santa, per motivi non del tutto chiari. Si è parlato di una specie di depressione. In ogni caso, Vesalio arrivò a Gerusalemme, ma si ammalò durante il viaggio di ritorno.


5 dicembre 1578

«Giovanni Brun di Londra, gentil'huomo englese, et il signor Lanciloto Rolansone de Londra habitante in Venetia» firmano un contratto con il maestro bellunese Zanandrea Ferara per settantaduemila spade da consegnare nell'arco di dieci anni. Dal Quattrocento al Seicento le fucine di Belluno, Feltre e Serravalle produssero le migliori armi bianche per eserciti e nobili di tutto il mondo, dalla Scozia all'Oriente e soprattutto per la Serenissima. Artisti del ferro che sfornavano autentici capolavori oggi conservati nei più importanti musei d'Europa. Perché proprio a Belluno. Vi era una concomitanza di fattori sui quali si fondò questa importante attività, innanzitutto la presenza dell'acqua come forza motrice. A Belluno si contavano numerose attività artigianali che sfruttavano l'energia del torrente Ardo. Acqua intesa anche come mezzo di trasporto, grazie al fiume Piave che permetteva di far arrivare a Venezia il materiale lavorato, ma l'elemento più importante era la materia prima, minerale di straordinaria qualità proveniente dalle miniere del Fursil nell'alto agordino». Un mix perfetto che permise ai bellunesi di tramandare per generazioni le tecniche ed i segreti. Un business cessato quando si esaurirono le risorse di miniere e boschi oltre a secoli di politica protezionistica da parte della Serenissima, che segnarono inesorabilmente la fine L'acciaio usato in passato dai maestri bellunesi era molto simile a quello che oggi viene impiegato per costruire le rotaie dell'alta velocità. Una lega di ferro e manganese che donava alle lame elasticità e allo stesso tempo resistenza. Questo il segreto delle famose spade, si partiva impilando strati alternati di ferro dolce e acciaio; un po' come quando facciamo la pasta millefoglie. Questo pacchetto veniva poi portato a milleduecento gradi e saldato per battitura al maglio formando il cosiddetto massello, dal quale si ricavava poi la lama della spada. Tecniche avanzatissime quelle dei maestri bellunesi, che decretarono il successo di modelli come le famose schiavone e innumerevoli altri tipi di armi fra spade, spadoni, pugnali e alabarde sia per uso civile che militare. La vera svolta arrivò grazie ai fratelli Andrea e Zandonà Ferara,. «I due fratelli di Fonzaso erano abilissimi nell'arte costruttiva e ancor di più nella potenza commerciale. Grazie alla loro propensione agli affari, nel 1578 perfezionarono quel memorabile accordo di fornitura di settantaduemila spade da consegnare al mercato inglese nell'arco di dieci anni». Le spade bellunesi avevano invaso ormai il mondo intero. Tutto il polo artigianale legato alla produzione delle spade in realtà assunse un livello geografico ben più vasto di quel che si possa pensare. Già agli inizi del Quattrocento nel bellunese ci fu un'immigrazione di artigiani provenienti da altre città come Feltre, Firenze, Milano, Trento e poi dal Cadore, Germania e molti dal Friuli. Erano professionisti abituati a muoversi in varie regioni ed è arduo stabilire il luogo esatto dove essi operavano principalmente, sostiene lo storico trevigiano Giovanni Tomasi. Come Belluno, anche Serravalle, oggi parte di Vittorio Veneto, vide la nascita di botteghe dove grandi artigiani, come i Marson, producevano spade. Le lame bellunesi e saravalesche erano apprezzate ovunque e saravale a Venezia divenne sinonimo di uomo armato. Più di cinquecento anni fa nel distretto di Fisterre, alle porte di Belluno, funzionava una fucina di proprietà della famiglia Barcelloni dove venivano prodotte le famose spade. Qui operavano anche i maestri Ferara, che in seguito posizionarono la loro bottega alla confluenza del fiume Piave con il torrente Ardo. Documenti datati 1574 riportano la presenza di ventotto opifici tra segherie, magli, folli battilana e mulini, mossi dall'acqua dell'Ardo tramite una lunga roggia. Di tutti questi edifici oggi ci rimane soltanto l'officina Orzes, posta sotto il Ponte della Ferrovia, in borgata San Francesco.