Storia e leggenda dei Veneti

Una storia lunga 3000 anni    OGGI ACCADDE


31 maggio 1468

Donazione da parte del Cardinale Bessarione della sua biblioteca a Venezia. Bessarione scelse di donare a san Marco (lo Stato veneziano dunque) i propri libri, donazione da parte del Cardinale Bessarione della sua biblioteca a Venezia. Bessarione scelse di donare a san Marco (lo Stato veneziano dunque) i propri libri, che sarebbero pervenuti come dono tra vivi (1468) e dopo la morte (1472). Venezia, negli intenti del Bessarione, avrebbe dovuto costituire il baluardo contro il Turco,un porto sicuro per quel mondo bizantino del quale si sentiva erede, mentre auspicava che divenisse anche luogo di incontro e di dialogo tra le culture. In un primo momento egli aveva destinato la propria collezione al monastero di San Giorgio Maggiore, grazie all'esistenza di una biblioteca eretta su modello mediceo, e alla buona consuetudine del Bessarione con quei monaci. Bessarione nel formalizzare il lascito, il cui atto originale si trova nel codice Lat. XIV, 14 =4235, imponeva tutela e custodia per i libri, e chiedeva che fossero posti in una sede degna di loro e dei lettori. Consistenza del lascito L'atto originale di donazione della biblioteca bessarionea si trova oggi presso la Biblioteca, come codice Lat. XIV, 14 =4235, di elegante fattura e racchiuso in uno scrigno coevo: Acta ad munus literarium D. Bessarionis cardinalis Nicaeni, episcopi Tusculani et patriarchae Constantinopolitani, in Serenissimam rempublicam Venetam collatum spectantia. Il testo si apre con la missiva con la quale Bessarione comunica al doge Cristoforo Moro di voler donare la propria biblioteca a san Marco, datata ex balneis Viterbiensibus, 1468 maggio 31.


31 maggio 1468

Un diretto discendente della vecia del morter, che aveva contribuito a sedare la celebre congiura di Bajamonte Tiepolo, uccidendone un Alfiere con il lancio dal balcone appunto di un mortaio, ottiene che il canone d'affitto della bottega e dell'appartamento sotto l'arco dell'Orologio in Piazza San Marco, sia lo stesso pagato dall'antenata nel 1310. In premio per la sua azione la vecchia aveva infatti ricevuto dalla Repubblica il privilegio di non vedersi mai aumentato l'affitto per tutte le generazioni a venire dei suoi discendenti.


31 maggio 1554

All'età di 79 anni muore il doge Marcantonio Trevisan. Nasce a Venezia nel 1475, eletto alla massima carica della Repubblica Serenissima il 4 giugno 1553 . Fu un uomo talmente timorato di Dio, da condurre tutta la sua esistenza nel rispetto di monacali comportamenti che tentava d'imporre anche ai veneziani. Di rigore morale, Venezia non ne voleva sapere. Nella metà del Cinquecento era una città libera e gaudente e le feste e le cortigiane erano fra gli aspetti più caratterizzanti la vita cittadina. Il nuovo doge voleva eliminare le une e le altre. Rispettato dal Maggior Consiglio per la sua onestà e rettitudine, non piaceva al popolo per il suo fanatismo religioso. Per non peccare, nemmeno si sposò e nell'anno del suo incarico Venezia non ebbe nessuna dogaressa. Nel rispetto della tradizione, la Repubblica gli pagò il ritratto commemorativo da collocarsi nel Palazzo Ducale; fu fortunato, posò per Tiziano. L'esito fu talmente realistico che il poeta Pietro Aretino dedicò due sonetti al dipinto che sembrava “parlare, pensare e respirare”. Durante la sua vita politica ebbe numerosi incarichi in cui si mise in luce per la sua onestà e rettitudine morale; ciò gli permise di esser ben considerato nonostante l'estremismo religioso. Nell'agosto del 1524 fu eletto consigliere a Cipro insieme a Pietro Valier e a Michele Foscarini, capitano di Larnaca. Vi giunse nell'autunno dello stesso anno. Durante il suo incarico sull'isola fece bandire e ritirare il marcello e il mocenigo locali che contenevano meno metallo prezioso del dovuto. Ritornò a Venezia insieme al Valier con un grande carico di spezie e frumento nel dicembre 1527. Nel febbraio 1528 fu eletto procuratore sopra gli atti dei sopragastaldi benché soggetto a contumacia. La sua elezione fu comunque approvata dal Maggior Consiglio e questa violazione della legge fece grande scalpore.[8] In ottobre ottenne la carica di Savio sulla mercanzia per il mese di settembre 1529. Nel giugno 1529 diviene uno dei sette Savi sull'imprestado del clero e in seguito Savio sopra l'estimo. Nel 1530 insieme ad altri quattro Savi si occupò di dirimere le questioni inerenti all'isola di Nanfio. Venne poi eletto Savio "sopra la reformation di la terra". A novembre dello stesso anno, in virtù della sua pregressa esperienza quale consigliere a Cipro, fu eletto dal Maggior Consiglio quale luogotenente dell'isola al posto di Agostino da Mula. Partì alla fine di marzo dell'anno successivo con tre navi e vi giunse a luglio. Fece un resoconto dettagliato del pessimo stato delle fortificazioni di Nicosia, il cui adeguamento avrebbe implicato anni di lavori e la spesa di migliaia di ducati. Nel 1533 dovette far fronte a scarsi raccolti, distrutti dalla siccità e dalle cavallette, che fecero aumentare notevolmente il prezzo del frumento e dell'orzo, principali produzioni agricole locali. Contemporaneamente si scatenò un'epidemia di peste, giunta dalla Siria, che colpì in particolare Famagosta. Il Trevisan e i rettori riuscirono ad impedire che il contagio si diffondesse in tutta l'isola ma in città e nelle immediate vicinanze morirono in pochi mesi più di 800 abitanti (tra cui diversi funzionari veneziani) e si contagiarono in migliaia. Per far fronte alle richieste di frumento e denaro da parte di Venezia fu costretto a vendere il cotone e lo zucchero presenti sull'isola. Venne inaspettatamente eletto il 4 giugno 1553. Durante il suo breve dogato cercò di limitare feste e frivolezze a favore d'una ritrovata spiritualità e d'una maggior comunione con i dettami sacri ma, come si può immaginare, il popolo non lo seguì molto e, presto, rimase isolato. Ammalatosi gravemente, morì il 31 maggio 1554, forse neppure troppo pianto da una città che era al culmine del suo splendore.


31 maggio 1594

Dopo una febbre di due settimane il Tintoretto muore. Tre giorni dopo, viene sepolto nella chiesa della Madonna dell'Orto, nella cripta della famiglia Episcopi. Jacopo Robusti, nasce a Venezia, probabilmente il 29 aprile del 1519. Sulla data di nascita non tutte le fonti concordano ma, desumendola dalla sua data di morte, e dall'iscrizione funebre ivi impressa, non dovrebbe slittare oltre l'ottobre del 1518, nonostante qualche studioso l'abbia postdatata di un anno. Ad ogni modo, è stato uno dei più grandi pittori italiani, esponente della scuola veneziana, ultimo rinascimentale e precursore dello stile barocco, imperante poi nel '600. Al padre, e alla sua famiglia in genere, Jacopo deve innanzitutto il soprannome con cui è noto. Il nome di "Tintoretto" infatti è figlio del mestiere paterno: tintore di stoffe, appunto. Secondo gli studi più recenti, a dire il vero, lo stesso cognome Robusti, d'eredità paterna, sarebbe a sua volta un soprannome ricavato da un'impresa di guerra, nella quale si sarebbe distinto il padre del Tintoretto: energico difensore, secondo le fonti, della città di Padova. Il vero cognome, a quanto pare, sarebbe Comin, stando almeno alla dimostrazione del curatore del museo del Prado di Madrid, Miguel Falomir, in occasione dell'inaugurazione della mostra sul pittore veneziano, aperta il 29 gennaio del 2007. Indubbio è che il padre, Giovanni Battista Robusti, o Comin, fosse un tintore. Probabilmente di origine lucchese, considerato che l'arte della tintura, almeno in quegli anni, è ad appannaggio dei lucchesi e dei toscani in genere. A confermarlo, ci sarebbero gli interessi da parte del figlio verso la pittura dei toscani, Michelangelo e Raffaello su tutti, che con ogni probabilità ha osservato da vicino, studiandone le tecniche. Sull'infanzia e l'apprendistato del giovane Jacopo si sa poco. Secondo il biografo Carlo Ridolfi, il Tintoretto scopre la sua vocazione nel laboratorio paterno, utilizzando i colori del padre per dipingere le pareti. Il Robusti, a questo punto, per incoraggiarne la vocazione, lo porta dal maestro di allora, Tiziano. Il grande artista però, temendo che l'allievo possa superarlo e offuscare la sua fama in poco tempo, lo caccia dalla bottega. L'episodio risalirebbe al 1530. Ad ogni modo, è datato 22 maggio 1539 un documento ufficiale nel quale Tintoretto si firma "maestro", dunque in possesso di una propria bottega sita in Venezia, in campo San Cassian. È dell'anno dopo, 1540, la firma su una celebre "Sacra Conversazione", mentre sono i suoi i due soffitti con soggetti mitologici dipinti per la casa veneziana di Pietro Aretino. A considerare da questi episodi, è possibile allora stimare che il celebre artista veneziano abbia visto crescere ed affermarsi la sua notorietà, o maestria, come si diceva, proprio in questi anni. A corroborare questa tesi, c'è anche la prima, vera commissione di cui si ha traccia certa, riguardante il Tintoretto. Vettor Pisani, nobile e titolare di una banca, intorno al 1541, in occasione delle nozze, chiama il giovane ventitreenne pittore per il restauro della propria residenza a San Paterniàn: sedici tavole incentrate sul tema delle Metamorfosi di Ovidio. Nel 1547 comincia a lavorare alla celebre opera "La lavanda dei piedi", mentre l'anno dopo, l'Aretino gli scrive una lettera, in cui lo ringrazia per il lavoro svolto presso la Scuola Veneziana di San Marco. Il dipinto in questione è "Il miracolo di San Marco", commissionatogli anche grazie all'intervento del padre della sua futura sposa, Marco Episcopi, notabile e tra gli alti funzionari di Venezia. Sempre in questi anni, l'artista si trasferisce nella parrocchia di Santa Maria dell'Orto, cominciando un intenso lavoro di rinnovamento delle opere artistiche interne ed esterne. Contemporaneamente, prosegue la sua collaborazione con la Scuola di San Marco, fino al 1566, lavorando ad altre tele raffiguranti il santo, come "San Marco salva un saraceno durante un naufragio", "Trafugamento del corpo di San Marco" e "Ritrovamento del corpo di San Marco". Intanto, nel 1549 porta a termine una delle tele più importanti di questo periodo, "San Rocco risana gli appestati", per la Chiesa San Rocco di Venezia. Successivamente, anche l'Albergo della Scuola della Trinità lo chiama per alcuni lavori e tra il 1551 e il 1552, Tintoretto esegue un ciclo di dipinti ispirati alle storie della Genesi. Nel 1552 si impegna formalmente con il procuratore Giulio Contarini a dipingere le portelle dell'organo della chiesa veneziana di Santa Maria del Giglio o Zobenigo. Il 20 dicembre dell'anno dopo, il 1553, è attestato un pagamento ricevuto dal pittore veneziano per alcuni dipinti eseguiti a Palazzo Ducale. Intorno a questa data poi, il pittore sposa Faustina Episcopi. Nel 1555, l'artista, ormai soprannominato anche "Il furioso", per il suo tratto e per l'uso drammatico della prospettiva, dipinge la celebre pala con "L'Assunta" nella Chiesa dei Gesuiti di Venezia, e "Giuseppe e la moglie di Putifarre", altro celebre lavoro, poi acquistato da Diego Velasquez per Filippo IV. Dell'anno dopo invece, è il dipinto "Susanna e i vecchioni". Nel 1564 il pittore inizia a lavorare per la sala dell'Albergo della Scuola Grande di San Rocco, a Venezia. Sono questi gli anni in cui la competizione, per l'ottenimento delle committenze più importanti, è più che agguerrita. Tiziano, ad esempio, è uno di quegli artisti che cerca in tutti i modi di osteggiare la fama del rivale Tintoretto. Per sbrogliare la questione, a quanto si legge da alcune fonti e, anche, dalle cronache del Vasari, la Giunta della Scuola di San Rocco ha intenzione di indire un concorso vero e proprio, per l'assegnazione del lavoro dell'ovale di San Rocco in gloria. Nel 1564 però, "il furioso" anziché presentare gli studi dell'opera, come gli altri artisti, presenta direttamente l'opera, con tanto di misure e collocazione ove prestabilito. Con la sua offerta decisamente vantaggiosa, riesce così ad ottenere l'incarico desiderato, nonostante i malcontenti creati tra gli altri pittori. E, l'11 marzo del 1564, come si evince dalle fonti ufficiali, con 85 voti a favore e 19 contrari, Tintoretto viene nominato membro della Scuola e incaricato dell'esecuzione di un ciclo di dipinti incentrati sul tema della "Passione". Quattro anni dopo, nel 1568, arrivano alcuni dei due capolavori dipinti per l'Albergo, "La discesa di Cristo al limbo" e "La crocifissione". Intanto, porta a termine il ciclo di "San Rocco", cominciato nel 1549, dando alla luce nel 1567 il meraviglioso "San Rocco in carcere". Del 1571 invece, è la datazione di una serie di pagamenti per l'esecuzione di alcuni lavori richiesti dalla Libreria marciana, come il noto dipinto "I filosofi". Nel 1574 Tintoretto acquista una casa nella fondamenta dei Mori, a San Marziale, dove abita fino alla fine dei suoi giorni. Contemporaneamente, comincia i lavori per la Sala Grande Superiore della Scuola di San Rocco, dedicandosi alle tele del soffitto, di recente ultimato. La peste che si abbatte sulla città lagunare in quegli anni, porta l'artista a prendere la decisione di lavorare gratuitamente alla tela centrale del soffitto, come sorta di voto a San Rocco, protettore proprio degli appestati. Ultima le tele nel 1577. Nel 1580 è a Mantova per la consegna degli ultimi quattro teleri dei "Fasti", secondo la commissione ricevuta da Guglielmo Gonzaga per il Palazzo Ducale della città. L'anno dopo porta a termine anche i lavori alle pareti della Sala Grande di San Rocco e nel 1582 comincia a dipingere, per la Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale, a Venezia, il dipinto "La battaglia di Zara". Al contempo, si dedica anche alle tele per la Sala Terrena della Scuola Grande di San Rocco. Entro il 1588, porta a termine tutti i lavori per San Rocco. Nel 1592 pertanto, inizia a lavorare ai capolavori "L'ultima cena" e "Gli ebrei nel deserto rifiutano la manna", entrambi per il Presbiterio di San Giorgio Maggiore, a Venezia.