8 maggio 1809

I franco-italiani coperti da attacchi diversivi in vari punti, iniziano l’attraversamento del Piave all’alba dell’8 maggio, a nuoto i fanti e a guado i cavalieri, Appena passato il fiume si gettano sulle pattuglie austriache che presidiano la riva destra del fiume. La cavalleria, i volteggiatori e l’artiglieria dell’armata d’Italia fanno prodigi di valore. I ranghi austriaci sono forzati da ogni parte, e nel momento che essi si ricostituiscono sono di nuovo travolti. Il rumore dei cannoni interrompe la piccola colazione che quel mattino l’arciduca Giovanni consuma nel Castello di San Salvatore. Cosciente della sua inferiorità numerica egli non desidera impegnarsi a fondo. Però si rende conto che deve far qualche cosa per contenere l’attacco francese fino a mezzogiorno, per permettere ai lenti convogli delle salmerie austriache di ritirarsi in buon ordine di là del Tagliamento. Imposta allora un contrattacco, che però risulta poco coordinato e molto confuso. L’arciduca Giovanni manda una divisione di cavalleria, appoggiata ventiquattro batterie di cannoni, all’incrocio del centro di Priula. Poi schiera in linea a sud-est, lungo l’attuale canale della Brentella, la brigata di fanteria “Asburgo” e il reggimento Ussari “Arciduca Giuseppe”, e mette in riserva quattro battaglioni di granatieri e due di grenzer croati a Borgo Campana. Il passaggio del Piave da parte della cavalleria leggera francese continua sotto il tiro delle artiglierie austriache piazzate a Priula, un vero macello in cui sono coinvolti uomini e animali. Solo il fuoco di controbatteria salva la divisione di Dessaix dalla completa distruzione. In suo aiuto però giungono, a metà mattina, le due divisioni di cavalleria francese Sahuc e Pully, che sono riuscite ad attraversare il fiume a guado a sud-est di Priula. Insieme riescono con un’ardita manovra ad aggirare il centro nemico, colpendo ai fianchi la cavalleria e l’artiglieria, che sono annientate. La difesa dell’arciduca Giovanni a Priula cessa di esistere, ma resiste ancora la brigata di fanteria “Asburgo” che attende in riserva a Borgo Campana, e a sbarrare ai Francesi la strada verso Conegliano vi sono ciò che resta dei VIII e IX corpi d’armata.. Al viceré Eugenio occorre ora trasportare tutta l’armata di là del Piave, ma la natura e il tempo complicano lo svolgimento delle operazioni d’attraversamento. A causa delle piogge torrenziali dei giorni precedenti le acque turbinose del Piave crescono a livello di guardia. Il ponte di barche danneggiato dai combattimenti affonda travolto dalla piena. Due divisioni di fanteria francese comandate da Macdonald sono ferme sulla riva sinistra. Qui arrivano i resti disordinati dei cavalleggeri di Dessaix, fuggiti durante il bombardamento austriaco, che riescono a guadare il fiume solo all’una del pomeriggio, per un paio d’ore dopo ogni passaggio, dopo diventa impossibile. L’armata d’Italia si trova così divisa in due tronconi, con 20 000 soldati al di qua e 30.000 di là del Piave. Con le unità passate sulla riva destra il viceré Eugenio intraprende un nuovo attacco per lo sfondamento della debole linea austriaca. Così alle ore 4 del pomeriggio l’artiglieria francese apre il fuoco, in preparazione dell’attacco, mentre la cavalleria spinge l’VIII° corpo austriaco contro la sinistra dello schieramento del viceré Eugenio. Contemporaneamente l’ala destra francese tenta un’azione d’aggiramento del fianco sinistro austriaco, che crolla sotto la pressione dell’attacco. A questo punto dal centro dello schieramento francese partono le colonne d’assalto, della divisione del generale Macdonald, che travolgono la linea tenuta dal IX corpo austriaco. L’arciduca Giovanni getta nella mischia l’ultima sua riserva, una brigata di granatieri, ma non riescono a rimediare ad una situazione già gravemente compromessa, e così al calar del sole i corpi dell’arciduca Giovanni sono in fuga verso Conegliano e Sacile. Gli Austriaci lasciano sul campo 5.000 morti, 2.000 prigionieri, tra i quali si trovano numerosi generali. Perdono 16 cannoni, 30 cassoni di munizioni e numerosi carri di vettovagliamento. Il disastro è completo. Essi dopo la battaglia del Piave sono inseguiti e raggiunti tra Sacile e Fontanafredda, dove tentano un’lteriore resistenza costruendo delle ridotte, ma sono ancora sconfitti e messi in fuga.