2 maggio 1619

Il lungo porticato detto “Bancogiro”, che affaccia su campo San Giacometo, vicino al ponte di Rialto era, ai tempi della Serenissima, la Banca circolante di Credito, dove i mercanti solevano incontrarsi per le loro contrattazioni. Nel corso del XVI secolo, numerosi banchi di prestito privati fallirono, quindi il governo della Serenissima decise di liquidare i rimanenti per evitare che la credibilità di Venezia, come piazza finanziaria internazionale, venisse compromessa. Intanto, a partire dal 1524, a Rialto, veniva messo alla prova un banco di prestito con capitali interamente pubblici. l'istituzione del “Banco di Scritta” o “del Giro”, risale al 2 maggio 1619 e tale nome derivava dal particolare metodo organizzativo adottato; infatti, la funzione principale del Banco Giro, non era prestare denaro, ma piuttosto provvedere a pagare somme cospicue per conto dei propri clienti, soprattutto ricchi commercianti, per i quali era pericoloso fare acquisti al mercato portando con sé grossi quantitativi di denaro e monete che dovevano, tra l'altro, essere contate sul posto ad ogni transazione. Per gli uomini d’affari era dunque più conveniente aprire un conto in uno dei Banchi che ogni giorno lavoravano al mercato di Rialto, ed effettuare i pagamenti semplicemente presentandosi al banchiere e delegandolo al trasferimento dell'importo richiesto. Il banchiere appuntava la somma da pagare nei propri registri ed effettuava la transazione. Si pagava così con la cosiddetta “moneta di banco” (ad esempio 10 ducati di banco corrispondevano a 12 ducati correnti) applicando un veloce e sicuro “giro di partita”. La giurisdizione sul Banco Giro venne compresa tra le competenze del Senato, che ne assegnò la supervisione ad un senatore al quale veniva attribuito titolo di “Depositario”, abilitato a svolgere l'attività bancaria in regime di monopolio. Successivamente, il Banco Giro, pur restando soggetto al controllo del Depositario, venne subconcesso in gestione semiprivata. Il Banco Giro divenne, in breve tempo, il mezzo più semplice e sicuro per eseguire le operazioni di commercio; tutti potevano aprire un deposito di denaro, più o meno consistente, che veniva registrato a suo credito ed a debito del banco, senza alcun aggravio di spesa e con la possibilità di ritirare in qualunque momento tutta la somma depositata, o la parte necessaria. Attorno al Banco Giro si svolgeva una fiorente attività economica seguita dallo Stato, che tra l'altro aveva stabilito per legge che il denaro depositato non venisse mai posto sotto sequestro, né trattenuto da alcuna autorità giudiziaria della Repubblica. Il Bancogiro del mercato di Rialto era una vera e propria istituzione bancaria, che rimase in attività sino al 1811, così efficiente da spingere importanti funzionari europei a recarsi a Venezia per imparare da vicino come era organizzata.


2 maggio 1797

Napoleone Bonaparte, generale in capo dell'armata d'Italia, dopo il suo manifesto di Palmanova, dove le menzogne contro la repubblica veneta superavano le parole, giungeva a Treviso il 2 maggio 1797. Provveditore straordinario della città era sier Anzolo Giacomo Giustinian di San Basegio, il quale, inteso l'arrivo del Generale, si affrettò, cortesia tradizionale veneziana, a rendergli onore recandogli il saluto della Repubblica. Lo accolse ruvidamente il Bonaparte e, messe in campo contro Venezia le solite accuse di violenze, di ribellioni, di ferimenti contro i soldati francesi, ordinò al provveditore di abbandonare subito Treviso. Anzolo Giustinian, uno dei, pochi che ancora non si era lasciato sgomentare dalla prepotenza francese, né allettare dalle idee demagogiche dei suoi concittadini, rispose imperterrito: "Non poter lasciare Treviso se il suo Governo non l’avesse ordinato". A tale risposta Bonaparte scattò con uno dei suoi soliti impeti d'ira e affermando che voleva distruggere la Repubblica, ammise solo che forse poteva usar qualche clemenza se gli facessero tenere "le teste dei dieci (i) inquisitori di Stato". Bonaparte nella sua ira non ricordava che gli Inquisitori di Stato erano soltanto tre!. Sir Giustinian a quell'uscita, che in altra occasione avrebbe suscitato le risa si tolse la spada e consegnata ad un ufficiale francese presente al colloquio, si dichiaro prigioniero e ostaggio della sua Repubblica, e se il generale voleva sangue offriva il suo "fino a l'ultima goccia. perché restasse incolume e salva l'adorata sua patria. All'insolita fierezza rispose, alquanto pacato Napoleone che quale premio di buon cittadino avrebbe salvato, i suoi beni e gli riconsegnava la spada, ma sdegnosamente ribatteva il patrizio: "Sarei molto vile se pensassi a questo quando è in gioco il sacrificio della mia terra, la benedetta terra del mio San Marco". Risposta degna in un antico romano in mezzo all'abbiezione di quei tempi! Il 4 mattina Anzolo Giustinian, non potendo carteggiare liberamente col suo Governo, decise di recarsi a Venezia e giunse in Maggior Consiglio nel momento in cui finiva di parlare il doge Manin proponendo l'arresto dei tre Inquisitori, "A leggi pesantissime, xe stadi assogetadi molti dei principali sovrani d'Europa, et fino el Sommo Pontefice vicario de Gesù Cristo in terra; bisogna dunque che se rassegnemo anche nu, tanto pi, che ghe xe sempre l'alternativa de ferro e de fogo". Sir Giustinian soffocava di rabbia e di vergogna, volle parlare, ma ormai "la parte era messa" e non gli restò che votare. L'esito fu di voti settecentoquattro affermativi, dodici contrari e sier Anzolo a quel risultato, tremante scattò in piedi gridando "Vigliacchi!" e pianse.