6 maggio 1606

entravano in vigore le censure ecclesiastiche, che davano inizio all'interdetto veneziano. In quella data, rompendo gli indugi, il doge Leonardo Donà a nome della Serenissima, pubblicava il cosiddetto Protesto, il documento ufficiale con cui si respingeva il monitorio pontificio, vero e proprio ultimatum di Paolo V al governo veneziano, perché si piegasse ai suoi dettami; Protesto che segnava l'inizio di quel conflitto tra la Repubblica di Venezia e il papato, un evento di enorme risonanza, «che mentre è durato – scriverà Paolo Sarpi allo storico francese Jacques- Auguste de Thou – ha tenuto sospeso tutto il mondo», e che diede vita, a detta di uno storico attuale, a una spettacolare e vivacissima «campagna a stampa che fece dell'interdetto uno dei maggiori successi editoriali del Seicento, non solo in Italia, ma in tutta Europa» . Tappa fondamentale, è stato ancora scritto, nella storia di quel binomio "Stato e Chiesa", che percorre i due ultimi millenni del mondo occidentale e che chiama in causa il rapporto tra politica e religione, potere secolare e potere spirituale, o con linguaggio strettamente agostiniano la città di Dio e la città dell'uomo, il regno di Cristo e il regno di questo mondo; ambiti irriducibili per Paolo Sarpi, un personaggio che incontreremo più di una volta oggi, che nella sua consueta prosa cristallina scriveva al Senato veneziano, a pochi mesi dalla morte: Teorema quasi lapalissiano, in realtà di difficile soluzione, che solo apparentemente o in linea teorica si è creduto, in tempi a noi più vicini, di aver brillantemente affrontato; e penso, per fare un esempio risaputo, al cavouriano «libera Chiesa in libero Stato». Rapporto invero complesso e delicatissimo, che si ripresenta di continuo, se solo si riflette sulla tipica situazione italiana, o, perché no?, sui ciclici ritorni, oggi particolarmente drammatici, di fondamentalismi, islamici o meno.Argomento d'attualità il nostro, e, come osservava Giovanni Miccoli, «nessuno studioso di storia può dimenticare il presente in cui vive, può rinunciare all'ambizione di riuscire a leggerne, anche grazie al suo studio e alla sua esperienza di studio, alcuni percorsi». A patto però che chi scrive o si accosta alla storia abbia sempre ben presente che è operazione scorretta, oltre che deviante, trattare un avvenimento del passato e i suoi protagonisti caricandoli di mentalità, valori, concezioni politiche e religiose del nostro tempo. Ad altri, politologi, filosofi, teologi ecc., a voi stessi, il pieno diritto di fare questi trasbordi, non permessi allo storico, il quale più che guardare alle analogie, alle somiglianze, punta sulle diversità, sui mutamenti avvenuti nel breve o lungo periodo.