9 maggio 1000

il giorno dell’ascensione, dopo una richiesta di aiuto da parte delle popolazioni vicine al Narenta, il doge Orseolo partì per la costa dalmata a capo di una grande flotta. Da Venezia uscirono sei vascelli comandati da Badoario detto Bragadino. Secondo la tradizione, per la prima volta fu alzato lo stendardo di San Marco, con il beneplacito di Bisanzio, ma chiaro simbolo di raggiunta indipendenza. Il giorno dell’ascensione, il doge andò nella chiesa di San Pietro di Castello dove ricevette la bandiera benedetta e si imbarcò con le truppe e andò verso Grado.
Chi erano i Narentani. Data la debolezza dell'Impero Romano d'Oriente, i Narentani riuscirono a crescere in forza fino a quando non entrarono in diretto conflitto con Venezia. Al massimo della loro potenza, il territorio dei Narentani comprendeva alla fascia costiera continentale a nord del Narenta, le isole di Brazza, Curzola, Lagosta, Lesina, Lissa e Meleda. La loro espansione in direzione dell'Italia e delle coste settentrionali e occidentali dell'Adriatico che anche Venezia stava cercando di conquistare portò presto a frequenti conflitti. Venezia si alleò con i dalmati, e con il loro aiuto attorno all'840 sconfissero narentani che furono costretti a un primo trattato di pace; per Venezia lo sottoscrisse il doge Pietro Tradonico, di origine istriana. Nell'anno 846 però, i narentani erano di nuovo all'attacco e saccheggiavano la città di Caorle. Nell'870, a metà marzo, furono gli emissari del vescovo che ritornavano dal Concilio di Costantinopoli ad essere catturati da questo popolo, che rimasero tali fino a quando Basilio I riuscì a riunificare la Dalmazia dentro i confini imperiali. Il 18 settembre 887 una spedizione punitiva veneziana, guidata dal doge Pietro I Candiano in persona, venne sconfitta nell'entroterra di Macarsca dai narentani del principe Liudislavo; il doge stesso fu ucciso. Venezia per circa un secolo non fece più grandi campagne contro i narentani, per questo si suppone che i veneziani pagassero un tributo in cambio della libertà di navigazione. Intorno al 992, Orseolo sospese il pagamento dei tributi. I Narentani ricominciarono con gli atti di pirateria.
Il Palladio racconta che la flotta costeggiò le coste del Friuli si fermarono a Grado. Furono accolti dal patriarca ed alla loro partenza gli furono affidate le insegne del Patriarca S. Ermacora, perché la protezione di un grande santo sarebbero ritornati vittoriosi. Uguale accoglienza ci fu a Parenzo e a Pola. “Continuando l’Orseolo il suo viaggio, il quale ben più che ad una spedizione militare, somigliava ad un trionfo, fu accolto con grandi onorificenze dal vescovo e dai principali cittadini di Zara, ove vennero alcuni deputati a portare la sommissione anche delle isole di Veglia ed Arbe.” In realtà le isole di Veglia ed Arbe erano alleate ai Narentani e questa era solo una mossa per temporeggiare ed avere il tempo di riamarsi. Spalato si sottomise subito e i Narentani avviliti mandarono a proposero la pace. La spedizione di Orseolo II fu determinante e portò alla cattura di alcuni ostaggi, che furono liberati a costo di pesanti concessioni: fine del versamento di tributi da parte di Venezia, garanzia di transito sicuro ed esenzione dai dazi per le galee mercantili. Le condizioni furono accettate, ma le due isole di Cazza e Lagosta resistettero: furono conquistate dopo duri combattimenti. Lagosta, porto principale dei pirati, fu rasa al suolo. Il doge ritornò a Venezia trionfante. “Rispettate furono le leggi, rispettati i costumi, gli usi della nuova provincia; solo lieve tributo fu imposto alle città ed anche questo regolato a norma della natura e dei particolari prodotti di ciascheduna. Così Arbe avea a pagare dieci libbre di seta, Ossaro quaranta pelli di martore, Veglia quindici di martore e trenta di volpe, Spalato ebbe 1’obbligo di armare due galere ed una barca […]. Simile censo di certa quantità di vino, o di olio, o di barche aveano parimenti promesso le altre città dell’Istria, come Muggia, Umago, Cittanuova e Trieste”. Le città della Dalmazia divennero tributarie della Repubblica. I nuovi rapporti commerciali con la Dalmazia fecero, ad esempi, scemare il prezzo del legname da costruzione, che prima proveniva dal Trevigiano e dal Bellunese. La Repubblica di Venezia potè accrescere la sua flotta, impiegarvi maggior numero di persone ed aumentare i suoi traffici. Nonostante ciò i Narentani continuarono nei loro atti di pirateria tanto che papa Onorio III, nel 1221, indisse addirittura una crociata contro questa popolazione. La lotta contro Venezia, però, stava diventando impari e nel 1278 i narentani persero tre delle loro isole: Brazza, Lesina e Lissa; infine Venezia, ormai al massimo della sua potenza, riuscì a conquistare la loro piazzaforte di Almissa nel 1444. I narentani finirono così assorbiti nei territori controllati dalla Serenissima.


9 maggio 1848

Finisce la battaglia di Cornuda tra le truppe pontificie e quelle austriache. Fu la prima battaglia in nome dell’Italia, conclusa con la carica di cavalleria e l’intero sacrificio dei Dragoni pontifici. La battaglia di Cornuda dell’8-9 maggio 1848 fu il primo evento bellico avvenuto durante la prima guerra di indipendenza. Oppose una legione dell’esercito pontificio rinforzata da numerosi volontari agli ordini del generale Ferrari e l’esercito austriaco guidato dal generale Nugent. Il combattimento di Cornuda è considerabile il primo conflitto in cui si combatté in nome dell’Italia, essendo il contingente italiano costituito esclusivamente da patrioti arruolatisi come volontari e soldati regolari che, sempre per scelta patriottica, si posero al di fuori dell’esercito pontificio, decidendo di non obbedire all’ordine papale di disimpegnarsi dal conflitto e rientrare nelle province pontificie. Nel 1848, sulla scia delle aspirazioni liberali che scuotevano l’Europa e la penisola italiana, papa Pio IX il 14 marzo con il documento “Nelle istituzioni” concesse la costituzione, poco dopo, durante le Cinque giornate di Milano, il governo pontificio, sull’esempio del Granduca di Toscana e del Re di Napoli inviò al fronte un corpo di soldati regolari comandati dal generale Giovanni Durando (1804-1869), fratello del generale Giacomo Durando, insieme ad un gruppo di volontari comandati dal generale Andrea Ferrari e comprendente il Battaglione Universitario Romano. Lo Stato Pontificio si trovò di fatto impegnato in una guerra contro l’Austria per l’indipendenza italiana. Ma il 13 aprile 1848 una speciale commissione cardinalizia impose lo sganciamento del Papa dal movimento patriottico italiano. Pio IX con l’allocuzione “Non semel” fatta al Concistoro dei cardinali del 29 aprile 1848, mise in evidenza le motivazioni della posizione del Papa, che come capo della Chiesa universale ed allo stesso tempo capo di uno Stato italiano, non poteva mettersi in guerra contro un legittimo regno. Il pontefice annunciò quindi il ritiro delle truppe regolari comandate dal generale Durando. Le truppe regolari pontificie, al comando del generale Durando, e quelle volontarie, guidate dal generale Andrea Ferrari, rifiutarono di seguire l’implicito ordine del Pontefice di ritirarsi e si unirono alle truppe combattenti, contro l’Austria nella prima guerra di indipendenza. L’evento si svolse a nordovest di Cornuda (nell’attuale provincia di Treviso), in una zona collinare sulla riva destra del Piave. L’esercito austriaco era partito da Vienna alla volta di Venezia dove era stata istituita la Repubblica di San Marco. I primi scontri si ebbero già a Pederobba e a Onigo, ma i tentativi da parte dei bersaglieri del Po e dei volontari cadorini di fermare l’avanzata Austriaca furono vani. Nel tardo pomeriggio dell’8 maggio gli schieramenti si attestarono sulle rive del torrente Nasson, dove gli italiani, al comando del generale Ferrari, furono raggiunti dal grosso dell’esercito pontificio. Verso le 19 gli Austriaci riuscirono a passare dall’altra parte del fiume e ad impadronirsi di due colline, ma furono presto ricacciati. La battaglia riprese la mattina seguente. Subito gli Italiani si trovarono in difficoltà e dovettero indietreggiare di 500 metri. Nel frattempo, il generale Durando avvertì Ferrari che le sue truppe erano in marcia e sarebbero giunte in aiuto il prima possibile. Durante l’attesa, Ferrari decise di inviare una carica di 50 dragoni; 40 di loro furono sacrificati, ma gli Austriaci, spiazzati, attesero le 15 per riprendere gli scontri. Verso le 18 Durando non era ancora arrivato e Ferrari decise di ripiegare verso Treviso. Gli Austriaci diedero il tempo ai nemici di ritirarsi, quindi occuparono Cornuda.