Storia e leggenda dei Veneti

Una storia lunga 3000 anni    OGGI ACCADDE


15 maggio 1648

La pace di Vestfalia del 1648 pose fine alla cosiddetta guerra dei trent'anni, iniziata nel 1618, e alla guerra degli ottant'anni, tra la Spagna e le Province Unite. Si compone di tre trattati, di cui due firmati a Münster e uno a Osnabrück (ricordati, appunto, come trattato di Münster e trattato di Osnabrück), entrambe città della Vestfalia. La pace venne poi completata con il trattato dei Pirenei, del 1659, che mise fine alle ostilità tra Spagna e Francia. All'origine della guerra dei trent'anni può collocarsi il desiderio dei prìncipi tedeschi di porre definitivamente un freno alle aspirazioni restauratrici del nuovo imperatore asburgico, aspirazioni sostenute dalla Spagna. Tra le pretese dell'imperatore vi era, infatti, quella di privare i principi tedeschi del diritto a determinare la religione dei propri regni, sancito dalla pace di Augusta nel 1555, secondo il principio del "cuius regio, eius religio". Con il trattato di Vestfalia si inaugurò un nuovo ordine internazionale, un sistema in cui gli Stati si riconoscono tra loro proprio e solo in quanto Stati, al di là della fede dei vari sovrani. Assume dunque importanza il concetto di sovranità dello Stato e nasce una comunità internazionale più vicina a come la si intende oggi. La pace di Vestfalia fu firmata in due località separate a causa dei dissidi tra i cattolici e i protestanti. Dapprima si riunirono i cattolici a Münster e successivamente i protestanti a Osnabrück. Come mediatori furono invitati a Colonia il nunzio pontificio Fabio Chigi e l'ambasciatore veneziano Alvise Contarini. Tuttavia la Svezia non accettò che i rappresentanti del papa fungessero da mediatori, né d'altra parte il nunzio pontificio volle trattare con gli scismatici.


15 maggio 1654

L'assedio di Perasto fu una battaglia combattuta tra la Repubblica di Venezia e l'Impero ottomano durante la quinta guerra ottomano-veneziana chiamata altresi guerra di Candia. Perasto si era guadagnata, grazie allo spontaneo aiuto dato nel 1368 alla flotta della Serenissima durante un terribile assedio, , il titolo di "fedelissima gonfaloniera", che mantenne fino alla caduta della Repubblica. Per decreto speciale del Senato la città ebbe l'onore e il dovere di custodire il gonfalone di guerra della flotta veneta e i dodici Gonfalonieri di Perasto costituivano la guardia armata del Doge. Nel 1654, le forze ottomane controllavano oramai quasi tutta la parte nord-occidentale della zona attorno a Cattaro nell'attuale Montenegro e quindi Perasto era vista come una pericolosa spina nel fianco. Oltre alla storicà fedeltà, Perasto era particolarmente strategica per la Repubblica Veneta perché proteggeva l'importante città veneziana di Cattaro e le sue bocche. I Veneziani avevano cercato senza successo di catturare la città di Tenin anche se erano riusciti ad impossessarsi di buona parte del Popovo. In seguito a tale eventi ai Sangiaccati di Erzegovina fu ordinato di attaccare Perasto. Bisogna anche rilevare che gli ottomani erano infastiditi dai continui attacchi degli aiduchi alleati dei Veneziani. Con l'arrivo degli Ottomani nel Montenegro circa 1.500 persone fuggirono dall'Erzegovina orientale all'inizio del 1654 e si insediarono in territori veneziani nella baia di Cattaro. Tra di loro c'erano almeno 500 aiduchi i quali sebbene fossero di fede ortodossa erano benvenuti dalle autorità veneziane di Perasto che concedettero loro dei terreni, creando una sorta di frontiera militare tra i territori veneziani dell'Albania Veneta e ottomani nella zona di Cattaro. Le truppe ottomane erano del Sangiaccato d'Erzegovina governate da Čengić, in realtà un agente segreto al servizio della Repubblica di Venezia. Čengić temeva che il suo tradimento sarebbe stato scoperto se si fosse rifiutato di attaccare Perasto quindi fu obbligato a dispiegare le forze. Il comandante ottomano era il"dizdar" Mehmed-aga Rizvanagić il quale oltre alla fanteria ottomana poteva contare sul sostegno navale delle fuste dei vicini Dulcigno e Castelnuovo sotto dominio ottomano. Le forze militari veneziane potevano contare solo su 43 uomini al comando di Krsto Vickov Visković che potevano usufruire degli aiuti degli Aiduchi nella zona. I veneziani avevano anche 30 navi da guerra che però' potevano aiutare parzialmente in quanto erano in mare aperto. La piccola fortezza sopra la città ( La fortezza della Santa Croce ) insieme alla catena di torri sparse per la città costruite dai veneziani era pronta all'assedio. Le autorità di Perasto vennero preventivamente informate dell'imminente attacco ottomano da parte del sacerdote ortodosso Radul di Riđani, sicché la popolazione si mise subito al riparo. Le forze di difesa si preparano in largo anticipo permettendo di risparmiare preziose munizioni da poter usare successivamente durante gli attacchi. Durante la battaglia, le forze ottomane bruciarono il monastero di Banja e attaccarono la fortezza venendo prontamente respinte. Assieme agli Aiduchi reagirono con decisi attacchi che crearono il panico negli ottomani. Le fonti differiscono per quanto riguarda le vittime ottomane. Secondo alcune fonti il comandante ottomano Rizvanbegović e 62 soldati ottomani furono uccisi durante la battaglia, mentre la maggior parte dei 200 ottomani feriti morirono poco dopo. Alcune fonti parlano di oltre 70 ottomani uccisi e 300 feriti. Per alcune fonti gli aiduchi avrebbero teso un'imboscata alle forze ottomane, uccidendo 80 soldati e feriti 800 oltre ad aver catturato Rizvanagić. La maggior parte delle fonti concordano sul fatto che Rizvanagić fu ucciso in battaglia, probabilmente durante l'attacco ottomano a una delle torri della città (la torre di Mara Krilova). Secondo la poesia epica, Rizvanbegović fu ucciso dal fucile dal fratello Tripo Burović. Durante questa battaglia, la madre del capitano veneziano Vicko Mažarević fu rapita dagli ottomani e portata a Trebigne dove morì. Dopo la battaglia il Croato Petar Zrinski felice della vittoria, visitò Perasto per tre giorni e donò una spada alla città. La spada reca iscrizioni in caratteri cirillici e latini con il disegno di un'aquila a due teste e un breve testo. Questa spada è ancora conservata nella città. Il 9 giugno 1654, la città di Perasto inviò a Venezia la richiesta dell'abolizione dal pagamento delle tasse per i prossimi dieci anni. Il senato veneziano accolse favorevolmente la loro richiesta. Andrija Zmajević scrisse una poesia dal titolo :" Boj peraški "(Battaglia di Perasto) dedicata alla celebrazione di questo evento. Un altro poema ( Spjevanje događaja boja peraškoga ) venne scritto dal frate cattolico Ivan Krušala.

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15 maggio1730

Melchiorre Cesarotti nasce a Padova il 15 maggio 1730 da una famiglia di antica origine nobile ma da tempo entrata nel "ceto civile". Figlio di Giovanni (Zanne) e Medea Bacuchi. Studia nel seminario della sua città, dove ottiene il titolo e il privilegio di abate, e dove sarà poi accolto come giovanissimo professore di retorica e belle lettere nei primi anni cinquanta del Settecento. Nel novembre 1760 lascia Padova per trasferirsi a Venezia come precettore presso la famiglia Grimani. In questo ambiente si dedica all'esperienza che gli darà fama a livello europeo, la traduzione in italiano dei Canti di Ossian da poco pubblicati dallo scozzese James Macpherson. Nel 1768 viene nominato professore di lingua greca ed ebraica presso l'università di Padova, cattedra che mantiene fino al 1797 quando passa, sempre nella stessa università, a quella di belle lettere, ovvero di eloquenza. Appartengono a questo periodo le sue opere più note: come traduttore dal greco (Demostene, Omero) e dalle lingue moderne (ancora l'Ossian, Gessner, Young), e come teorico dell'estetica (Saggio sulla filosofia del gusto) e della lingua (Saggio sopra la lingua italiana). Da sempre sostenitore delle idee illuministe, è come molti spiazzato dall'esito violento della rivoluzione francese. All'arrivo delle truppe napoleoniche in Italia si schiera in favore di Bonaparte, per il quale scrive nel 1797 un sonetto encomiastico. Fa inoltre parte della delegazione inviata ad accogliere il generale vittorioso. Sempre a Napoleone dedicherà, dieci anni più tardi, un discusso poema celebrativo, la Pronea (1807), duramente commentato da Foscolo ("misera concezione, frasi grottesche, e per giunta, gran lezzo di adulazione"). Ispirati alle nuove idee portate dai francesi sono i suoi lavori Saggio sopra le istituzioni scolastiche, Il patriottismo illuminato, L'Istruzione d'un cittadino a' suoi fratelli meno istruiti. Nella sua villa a Selvazzano, da lungo tempo di proprietà della sua famiglia, ospita amici come Madame de Stäel, Vittorio Alfieri, Ippolito Pindemonte e forse anche Foscolo, e impianta uno dei primi giardini all'inglese in Italia. Muore a Padova il 4 novembre 1808. L'edizione completa della sua opera, in 42 volumi in ottavo, inizia a uscire a Pisa nel 1800 ed è completata postuma nel 1813. Cesarotti è noto come traduttore di Omero: pubblica una versione in prosa dell'Iliade e un rifacimento in endecasillabi sciolti dal titolo La morte di Ettore (1795). Traduce anche due tragedie di Voltaire, la Morte di Cesare e il Maometto, oltre alle opere di Demostene e di altri oratori greci (nel Corso ragionato di greca letteratura, 1781). Ma la traduzione che gli dà una fama europea gli capita tra le mani quando Charles Sackville, incontrato a Venezia, gli fornisce tutte le informazioni riguardanti l'attività di James Macpherson intorno al mitico bardo Ossian.[1]. Dei Poems of Ossian pubblicati da Macpherson nel 1762-63, Cesarotti dà alle stampe una prima traduzione parziale nel 1763, intitolata Poesie di Ossian, a cui fa seguito nel 1772 la traduzione dell'intero corpus di canti. La sua versione, stilisticamente innovativa e di grande suggestione letteraria, attrae l'attenzione dei letterati in Italia e Francia, suscitando numerosi imitatori. Per suo tramite Goethe entra in contatto con l'Ossian, e lo stesso Napoleone apprezza l'opera al punto da portarla con sé anche in battaglia. Nelle Poesie di Ossian Cesarotti riesce nell'intento di convertire tutti gli elementi e i princìpi della nascente lirica incentrata sulla natura e sui sentimenti, mantenendo una saldatura tra tradizione e nuovi temi poetici, di fatto dando il via al Romanticismo italiano. Pubblicato una prima volta nel 1785 con il titolo di Saggio sopra la lingua italiana, poi cambiato nell'edizione definitiva (1800) in Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana, il trattato di Cesarotti costituisce una delle voci più autorevoli e intelligenti del dibattito linguistico italiano del Settecento. Scritto in un periodo di contatti linguistici con la Francia, il trattato affronta il tema del prestito linguistico, teorizzando la possibilità che possa portare a un arricchimento della lingua, inserendosi nel dibattito sorto fra i tradizionalisti impegnati a conservare la purezza della lingua e dei princìpi letterari e i rinnovatori ansiosi di liberare la lingua dai modelli tipici della Crusca. Cesarotti critica, nella prima parte, i pregiudizi sulla purezza della lingua e tende a evidenziarne il collegamento con la storia della civiltà. Nella seconda sezione distingue poi il genio grammaticale, ovvero la norma linguistica immutabile, e il genio retorico, che essendo legato alla contingenza può mutare. Infine, sostiene che i prestiti linguistici come i francesismi si possano accettare nella lingua italiana, a condizione però che essi non vadano in contrasto con le norme del genio grammaticale, ossia che nella lingua di destinazione non sia già presente un termine equivalente. Tra le altre sue opere di saggistica si ricordano anche i saggi Sopra il diletto della tragedia e Sopra l'origine e i progressi dell'arte poetica (1762).

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