3 maggio 1657

I Veneziani sono ancorati a Capo Bianco quando compaiono 15 vascelli algerini. Sta per andare in scena uno scontro singolare, soprattutto per l'esito. I Veneziani assumendo la solita formazione a mezzaluna, a comandare gli algerini, c'è un olandese convertito che ha assunto il nome turco Mehmet. Gli algerini si dispongono in due gruppi: il primo di 9 e il secondo di 6 vascelli. Per tenere distanti le galee venete aprire un intenso fuoco di sbarramento ma la mancanza di vento impedisce loro di manovrare. Completamente fermi, decidono di mettere in acqua i remi di cui sono dotati e tentano almeno di arrivare a terra. Non hanno scampo contro delle vere navi a remi. Inutile l'intervento, a distanza, dell'artiglieria turca dall'isola di Chio. Alla fine del primo gruppo di 9 vascelli, 4 sono catturati, 3 incendiati e 1 riesce a buttarsi sotto costa. Riescono a fuggire i 6 del secondo gruppo. La vittoria di Chio è clamorosa. Una flotta a remi che viene annienta da una a vela, la classica eccezione. Rappresenta però anche la conferma di un adagio valido sempre e ovunque: in battaglia ci vanno gli uomini e sono loro a determinare vittoria o sconfitta. Lazzaro Mocenigo sarà premiato con la nomina a Procuratore di San Marco. Assegna all'appena arrivato Querini i vascelli algerini catturati e li sguinzaglia sulle tracce del sestetto sfuggito a Chio. Si preoccupa allo stesso tempo di dove siano le galee barbaresche, che integrano il contributo dei bey nordafricani allo sforzo militare ottomano, e valuta siano nelle Cicladi Meridionali o nel Basso Arcipelago. Ricevuti i rapporti degli esploratori e riunita la Consulta ordina a Badoer di dirigere con 13 galee sul porto di Suazick, dove si ritengono riparate le navi da carico; Mocenigo stesso con 6 galee, le galeazze e 7 vascelli attaccherà Scalanova dove sono stati individuati i 6 vascelli algerini. Topal Pascià, però, non è rimasto inattivo. Lasciata Rodi giunge a Scalanova dove ordina ai 6 vascelli algerini di far vela per Rodi stessa. Topal ha informazioni confuse. E'convinto che Mocenigo voglia conquistare Chio ed è deciso a difendere la grande isola. Prima, però, vuole recuperare le saicche da carico bloccate a Suazick. Notte tra il 16 e il 17 maggio 1657, Mocenigo avvista le galee di Topal Pascià in navigazione verso Suazick. Appena scopre i Veneziani, il turco cambia rotta e punta su Chio. Sette delle sue galee, però, restano indietro e decidono di far rotta su Samo. A questo punto Mocenigo prende una decisione sorprendente: lascia andar via Topal e le altre galee e raggiunge Badoer in navigazione verso Suazick. La flotta veneziana riunita ha ovviamente ragione della resistenza turca in mare e in terra ma il senso dell'operazione sfugge. Il bottino è rappresentato da 1 vascello algerino, 14 saicche, la fortezza di Suazick. Ricco senza dubbio ma Lazzaro Mocenigo deve cercare di vincere la guerra, tutto ciò è un inutile spreco di tempo e di mezzi. Oppure questo rappresenta una prova fattuale che gli ordini ricevuti e le sue personali valutazioni non lo spingono a violare gli Stretti? Il caso di Suazick sembrerebbe dimostrare, con l'evidenza del comportamento in mare, che la pretesa. La strategia veneziana di attacco a Costantinopoli, in realtà, è un'ipotesi di commentatori a posteriori ma non è presente sui ponti delle navi venete. Mocenigo medita di impadronirsi di Chio? Può darsi ma il Capitano Generale si scontra con la geniale mossa preparata e messa in atto dal Gran Visir Köprölü Mehmet Pascià, far uscire la flotta prima dell'arrivo dei Veneziani per costringerli a stare lontani dagli Stretti. Comunque Lazzaro Mocenigo lascia Chio. L'efficiente Servizio Informazioni della Repubblica lo aggiorna sui movimenti turchi. Köprölü Pascià ha ammassato 50.000 uomini per attaccare Tenedo. Primo luglio 1657 la flotta veneziana, rinforzata da 7 galee di San Giovanni e 5 del Papa giunge nello stretto. A questo punto si genera il grande equivoco. Se tutti gli storici riconoscono che lo schieramento ha incaricato è quello tradizionale veneziano nello stretto, la novità starebbe nel nuovo piano di guerra: violare la linea dei Castelli dopo aver distrutto le navi di Topal : il fatto è che di tale piano non c'è traccia . Il 3 luglio 1657 movimenti turchi mettono in allarme i Veneziani. Il giorno dopo, all'improvviso, ogni attività cessa. Mocenigo valuta che una sortita dalla linea dei Castelli sia da escludere. Primo errore di valutazione. Dividi quindi la flotta. Secondo errore. Spedisce Querini con 15 vascelli a Tine nell'Arcipelago a caccia delle galee e dei vascelli ottomani ancora in circolazione nell'Egeo. Querini salpa e rientra rapidamente ai Dardanelli portando due notizie: le galee sono alla fonda a Chio e i vascelli in navigazione davanti a Standia, Creta. Ovviamente riporta notizie perché non sarebbe mai stato in grado in così poco tempo di verificare di persona. È un altro elemento che passa sotto silenzio26. E a questo punto, la flotta veneziana si trova alle prese con il solito problema dell'acqua27. Neppure il possesso di Tenedo e Lemno, chissà perché?, l'ha risolto. La logistica di San Marco non funziona. L'8 luglio Mocenigo prova a rifornirsi nella piana di Troia ma è costretto a desistere. Deve muoversi su Imbro. Per sveltire la delicata operazione, Mocenigo in persona salpa con tutte le galee. Terzo errore. Il Comandante non se ne va in giro a “fare acqua” ma resta nel punto migliore per tenere sotto controllo l'intera situazione, specie in zona d'operazioni, in particolare in un teatro come quello dei Dardanelli. Naturalmente è questo il momento scelto dai Turchi per uscire dalla linea dei Castelli… Mentre l'Egeo è spazzato dalla tramontana e le onde rendono impossibile la navigazione alle galee, Köprölü Mehmet Pascià, dopo aver caricato di batterie costiere le rive dello stretto decide di sfruttare l'assenza delle galee venete. Il Capitano delle Navi Marco Bembo capisce al volo. Spedisce di corsa a Imbro un brigantino e si prepara alla battaglia. Ancora una volta i Veneziani combatteranno in situazione di forte inferiorità e… assetati. Appena informato della situazione, Lazzaro Mocenigo invia a Bembo il Capitano del Golfo Barbaro con le galee Mengano, Querini e Muazzo e a sera salpa con il resto della squadra a remi. Giunto all'estremità della penisola di Gallipoli, però, deve dar fondo alle ancore per l'impossibilità di proseguire . Alba del 17 luglio 1657, Köprölü Mehmet Pascià ordina di muovere. Topal Pascià ha saputo della presenza di galee poco oltre Capo Hellas e, non ritenendo i Veneziani in grado di essere già lì, pensa siano quelle barbaresche con le quali spera di mettere il nemico tra incudine e martello. I Turchi schierano 30 galee, 10 galeazze e 18 vascelli oltre a una quantità di trasporti per il corpo d'assalto di 50.000 uomini. La manovra turca sarebbe ben congegnata se il presupposto da cui parte fosse corretta. Sfrutta le condizioni metereologiche e accetta come dato di fatto la superiorità veneziana in combattimento: per venirne a capo sceglie la strada del numero. I vascelli con la Mezzaluna raggiungono alla svelta la linea di blocco veneta, la battaglia si accende e si trasforma in una zuffa furibonda. I Turchi ci rimettono 5 vascelli tra cui la Capitana, e 5 galeazze. Le unità superstiti filano via a favore di vento e scappano dalla scena dello scontro fermandosi solo a Mitilene sull'isola di Lesbo. Le galee turche, intanto, avanzano per ricongiungersi, credono loro, a quelle barbaresche. Quando si rendono conto dell'equivoco la fuga attraverso lo Stretto per raggiungere la costa asiatica diventa precipitosa. Di fatto, Mocenigo ha cercato per l'intera giornata del 17 e la notte seguente di entrare in azione a supporto dei vascelli di Marco Bembo, rimanendo frustrato nei propri sforzi per le condizioni del mare. Invece porta dentro lo stretto solo 14 galee. Comincia l'ultima fase della battaglia. Adesso le poche galee veneziane si gettano all'inseguimento di quelle turche. Mocenigo ormai prossimo alla costa anatolica si arrende all'evidenza. Gli equipaggi sono vicini al crollo per sfinimento. Appena i Turchi se ne accorgono, provano a filarsela sotto la protezione dei cannoni dei Castelli. Il Capitano Generale non ci sta. Si butta con la bastarda generalizia sui fuggitivi, s'ingaggia con una galea turca ma è salvato dall'intervento della capitana pontificia che lo rimorchia al sicuro. Scende la notte del 17 luglio 1657. Consulta dei Capi da Mar a bordo della bastarda veneta. Mocenigo illustra il suo piano. Attaccare le galee turche ancora all'esterno della linea dei Castelli e distruggerle, annientando quanto rimane della flotta turca nello Stretto, passare quindi in Arcipelago, ripulirlo dalle ultime forze navali turche e infine andare a Creta per rioccupare La Canea e liberare Candia dall'assedio. Nessuna traccia dell'idea di andare a Costantinopoli. Nelle sue ultime ore, il Capitano Generale condivide in pieno il solito errore veneziano di non voler vincere la guerra così come questa si presenta. Il vizio di base della strategia della Repubblica Serenissima consiste nel voler combattere una guerra limitata senza averne i mezzi, da un lato, e non volersi adattare alle problematiche che vengono dai campi di battaglia, dall'altro. D'accordo sull'eliminazione delle forze navali turche, ma alla luce della loro pochezza in combattimento, una volta sgombrata la strada, Mocenigo non dovrebbe temerle granché. Anche se dovesse ritrovarsele alle spalle nel Mar di Marmara. Se Mocenigo avesse avuto vascelli anziché galee, doppiava Capo Hellas, distruggeva la flotta turca e poteva forzare la linea dei Castelli. Cioè forse vinceva la guerra.La fase finale della battaglia con la morte del Capitano Generale è ben descritta nella Relazione del viaggio delle galere pontificie in Levante l'anno 1657. C'è un ultimo elemento da precisare. Uomo di sicuro coraggioso Lazzaro Mocenigo ma perché il Comandante della Flotta è in testa a una manciata di galee che procedono alla distanza «di un colpo di pistola» da rive ingombre di cannoni turchi? Conclusione inevitabile. Un colpo s'infila nel deposito delle polveri della sua galea che esplode “sollevandosi così gran nuvole di fumo che si allargò per lo spazio di 7 miglia con tanta oscurità che per un'ora continua niente si vide nel Canale, restando i legni sepolti in una profonda notte”. Mocenigo è colpito alla testa dall'antenna dell'albero di poppa. Muore sul colpo. Badoer subentra subito nel comando. Sospende quell'assurda avanzata e ordina alla galea Trevisana di Guglielmo degli Azzoni Avogadro di avvicinarsi a quanto resta del relitto. Avogadro compie un mezzo miracolo. Recupera il corpo del Capitano Generale, il fanale, la cassa, e 357 scampati al naufragio, compreso Francesco fratello di Lazzaro. Con loro, la poppa finemente intagliata della bastarda che rimorchia fino a Tenedo.La Guerra di Candia proseguirà ancora per altri 12 anni. Si conclude il 5 settembre 1669 con la resa della piazzaforte sull'isola di Creta imposta contro il parere del governo veneziano da un Provveditore Generale carismatico: Francesco Morosini. Lo stesso uomo che la Serenissima sceglie per sostituire all'indomani della morte l'impetuoso e sfortunato Lazzaro Mocenigo. Con Morosini al comando i Veneziani non tentano più di bloccare i Dardanelli ma si esibiscono in una sorta di guerriglia anfibia lungo l'intero arco dell'Egeo che frutta un ricco bottino ma i cui risultati sono effimeri quanto gli attacchi Ci si domanda se Creta valga tutti questi sforzi. La risposta è sì. La grande isola mediterranea garantisce alla Repubblica uno status politico di “potenza” che di per sé le assegna un ruolo internazionale e con questo anche una rendita di posizione economica. Il legame tra i due aspetti oggi spesso sfugge ed è un vero peccato. Persa Creta, Venezia deve rinunciare a entrambi. I patrizi di governo lo capiscono bene e per questo sono così ostinati nella sua difesa. Hanno ragione. Purtroppo a tale chiarezza circa l'importanza dell'isola non ne corrisponde una di equivalente sulla strategia per arrivare alla meta. Il Capitano delle Navi Tommaso Morosini, all'inizio del conflitto, aveva avuto la giusta intuizione proponendo il blocco degli stretti ma sarà con il patrizio Giacomo Badoer in Senato che Venezia “capisce tutto”: bisogna vincere e per farlo è necessario agire con tutto il peso della propria forza sul centro di gravità del potere nemico, cioè Costantinopoli. Purtroppo tale impostazione non si tramuterà in un effettivo piano di guerra capace di coniugare chiarezza politica e determinazione nelle operazioni militari. Anche per colpa della responsabilità della linea di comando, soggetta a rotazioni annuali per ragioni di carriera, la Serenissima, pur mettendo a segno colpi potenzialmente decisivi, non riuscirà mai a cogliere l'attimo giusto per chiudere il confronto.