Storia e leggenda dei Veneti

Una storia lunga 3000 anni    OGGI ACCADDE


20 maggio 1386

Dedizione di Corfù alla Serenissima. I Veneziani rafforzarono due fortezze che proteggevano il piccolo borgo medievale che sorgeva tra di esse: la città antica di Corcyra, dove Re Alcinoo ospitò Ulisse e ne facilitò il ritorno ad Itaca, era situata poco a sud della cittadina medievale. Per i Veneziani Corfù era la Porta del Golfo perché l'isola permetteva il controllo dell'accesso al Mare Adriatico (o Golfo di Venezia) che la Serenissima considereva alla stregua di proprie acque territoriali. L'isola è parallela alla costa dell'Epiro e la città sorge in una posizione centrale dalla quale controlla i due stretti che chiudono il braccio di mare che la separa dal continente. Le fortificazioni medievali furono modificate con l'aggiunta di terrapieni e bastioni circolari per adeguarle allo sviluppo dell'artiglieria. Data la sua grande importanza strategica Corfù ebbe a subire gli attacchi degli Ottomani, i quali nella seconda metà del Quattrocento si erano impadroniti dell'Epiro e dell'Albania. Gli abitanti di Corfù, oltre a contribuire alla difesa della propria isola combatterono con i Veneziani a Parga e a Butrinto nel 1454 e all'Istmo di Corino e a Patrasso nel 1462. Alla battaglia di Lepanto (1571) erano presenti quattro galee di Corfù con 1500 uomini. Nel 1537 e nel 1716 Corfù fu assediata dagli Ottomani. Nel 1537 Khayr al Din Barbarossa, un corsaro che era divenuto ammiraglio della flotta ottomana, invase l'isola e assediò la città: l'attacco era parte di un più vasto piano concepito dal Sultano Solimano il Magnifico. Egli si era alleato con Re Francesco I di Francia che era in guerra con l'Imperatore Carlo V e si apprestava ad invadere i possedimenti spagnoli nell'Italia meridionale. Allo scopo di assicurare una adeguata linea di rifornimento alle sue truppe egli aveva bisogno di conquistare Corfù. La decisione fu però presa in ritardo e 25.000 soldati ottomani sbarcarono solo alla fine di agosto; Khayr al Din Barbarossa si rese presto conto che erano insufficienti alla bisogna e dovette attendere rinforzi prima di lanciare i propri attacchi; questi tuttavia si infransero contro le difese veneziane ed essendo la stagione già molto inoltrata gli Ottomani dovettero desistere e levarono l'assedio.Il successo veneziano del 1537 fu però oscurato l'anno seguente dalla sconfitta subita da una flotta Cristiana nelle acque di Preveza: essa assicurò agli Ottomani il predominio sul mare; ciò indusse il Senato veneziano ad approvare un programma di rafforzamento delle fortificazioni dell'isola che permettesse di sostenere un nuovo, più lungo assedio. Per questo motivo fu scavato un canale che isolava la Fortezza: esso era protetto da due possenti bastioni così che la flotta veneziana vi potesse stare al sicuro. Il programma sviluppato dagli architetti militari veneziani non si limitò ai nuovi bastioni: quasi tutti coloro che vivevano nella vecchia cittadina medievale nella Fortezza Vecchia dovettero trasferirsi nel borgo fuori di essa. Questo fu circondato da mura e una nuova fortezza fu costruita su di una collina alla sua estremità occidentale; nel tempo la toponomastica cambiò e il Castello della Campana unitamente a quello da Mare assunse la denominazione di Fortezza Vecchia e il borgo fu chiamato città (ed oggi viene definito Città Vecchia). La Fortezza Vecchia conserva molte iscrizioni e bassorilievi del periodo veneziano: nel passato non erano tenuti in gran conto mentre oggi sono ordinati e correttamente esposti. Quel che rimaneva della cittadina medievale (inclusa la cattedrale) fu distrutto nell'Ottocento quando durante il protettorato britannico furono costruite delle caserme; una nuova chiesa fu costruita su di una terrazza ai piedi del Castello della Campana: fu dedicata a S. Giorgio (forse in onore dell'allora regnante Re Giorgio IV). Piuttosto che una chiesa pare un tempio antico. In conseguenza della caduta di Candia Corfù divenne ancora più importante per la difesa degli interessi veneziani. Nel 1716 ebbe luogo il secondo assedio della città. In quell'anno il Sultano Achmet II mosse da Butrinto con una armata di 30000 uomini; vi sbarcò l'8 luglio ma la sua flotta fu attaccata vittoriosamente da quella veneziana e ciò ritardo l'attacco alla città. L'assedio iniziò il 19 luglio con il nemico attestato ad ovest della Fortezza Nuova. A costo di gravi perdite gli assedianti riuscirono ad impadronirsi delle fortificazioni esterne alla fortezza ma ciò le espose ancor di più al fuoco dei cannoni veneziani; inoltre il fianco sinistro del loro accampamento era battuto dalla flotta veneziana. Una sortita veneziana non ebbe grande successo e gli Ottomani tennero le loro posizioni; il loro comandante però si rese conto del suo precario posizionamento; decise perciò di lanciare un attacco in grande stile prima di essere logorato dall'artiglieria veneziana. Nella notte del 18 agosto gli Ottomani riuscirono ad impadronirsi di un rivelino della fortezza e da lì con ripetuti assalti cercarono di penetrare nella sua parte centrale, ma furono respinti; mentre gli assalti si rinnovavano una sortita veneziana li costrinse a desistere; il giorno seguente un furioso temporale agostano allagò il campo ottomano ponendo fine all'assedio. La vittoria fu attribuita in parte all'abilità del Conte von Schulenberg che comandava la difesa della città e in parte all'intervento miracoloso di S. Spiridione. Il Senato veneziano onorò il prode comandante erigendogli una statua all'ingresso della Fortezza Vecchia, mentre donò alla chiesa di S. Spiridione una bella lampada votiva da tenere accesa in perenne ricordo del suo intervento. La Fortezza Nuova è oggi aperta al pubblico con l'eccezione di una piccola parte ancora occupata dalla Marina Militare Greca. Corfù fu veneziana per più di quattro secoli fino al 1797; seguì in periodo assai confuso che terminò nel 1815 quando il Trattato di Parigi stabilì che i possedimenti veneziani nel Mar Ionio costituissero una repubblica (Repubblica dell'Eptaneso) sotto protettorato britannico; ciò spiega come alcuni edifici della Fortezza Nuova siano dedicati alla Regina Vittoria.I rapporti tra gli abitanti di Corfù e l'amministrazione veneziana furono a volte molto tesi a causa dell'esosa fiscalità imposta dalla Dominante. Tuttavia il governo veneziana contribuì allo sviluppo economico e commerciale dell'isola; ad esso va attribuita la presenza di una fiorente agricoltura (ed in particolare degli oliveti) che rende splendido il paesaggio di Corfù. Gran parte delle mura che circondavano la città sono state sacrificate alle esigenze della vita moderna; così anche parte delle case nella parte meridionale dell'antico abitato sono state sostituite da più moderni edifici; in alcuni casi vi sono state variazioni d'uso: così il teatro è divenuto il municipio e le caserme sono state adibite ad altri uffici pubblici. La parte settentrionale ha mantenuto quasi del tutto inalterato il suo aspetto veneziano.


20 maggio 1841

Enrico Zeno Bernardi nacque a Verona, i primi studi furono compiuti nella città natale dando subito precoci prove della sua creatività e intelligenza. Appena dodicenne aveva costruito un piccolo carro su cui studiava la differenza delle traiettorie delle ruote durante la percorrenza di una curva, problematica su cui si erano già soffermati Erone Alessandrino e Leonardo da Vinci. Nel 1896 Bernardi avrebbe risolto la questione con la soluzione dello sterzo singolo. Nel 1856, appena quindicenne, Enrico Bernardi presentò all'Esposizione Veronese di Agricoltura e Industria e Belle Arti, un modello di locomotiva e un modello di macchina a vapore fissa. Nel 1863 compì gli studi universitari laureandosi in matematica a Padova. Nei quattro anni successivi ricoprì incarichi di assistente alle cattedre di geodesia, idrometria, meccanica razionale e fisica sperimentale diventando poi professore di fisica e meccanica e quindi preside dell'Istituto Tecnico di Vicenza. Nel 1873 Enrico Bernardi progettò e realizzò un motore a gas illuminante con potenza di 1/50 di Kw. Dal 1875 al 1876 diresse a Vicenza la fonderia e torneria Mori. Nel 1878 realizzò un secondo motore a gas illuminante. Nel 1879 ottenne la cattedra di "macchine idrauliche termiche e agricole" dell'Università di Padova. Nel 1882 ottenne il primo brevetto per un "motore a scoppio a gas per le piccole industrie". Si trattava di un motore monocilindrico orizzontale, alleggerito e perfezionato in molte sue parti, da 200 giri al minuto, una velocità di rotazione che per i tempi era molto elevata. Il motore era destinato alle piccole industrie, ma nel 1888 Bernardi, dopo aver provato il triciclo del figlio e averlo trovato "faticoso", decise di applicare al giocattolo la sua invenzione. Bernardi aveva creato il primo veicolo a motore a scoppio, con cui il figlioletto di cinque anni scorrazzava per le strade di Quinzano, frazione di Verona dove Bernardi viveva con la sua famiglia, tra lo stupore della gente. Al veicolo fu dato il nome della figlia: Pia. Da questo momento in poi Bernardi continuò a dedicarsi al perfezionamento di questa prima soluzione di veicolo con motore a scoppio. Nel 1889 ideò, costruì e brevettò un veicolo con motore a benzina con varie caratteristiche originali. Il cilindro era a compressione diretta con una valvola di distribuzione in testa azionata da un meccanismo a leva a bilancere. Era inoltre dotato di un regolatore di velocità, un carburatore di benzina a livello costante con galleggiante, valvola di presa e dispositivo di regolazione a mano, precursore dei moderni carburatori a getto nebulizzato di benzina. Nel biennio 1888-89 Enrico Bernardi progettò e realizzò un motore funzionante secondo un ciclo a quattro tempi, via via perfezionato. Molte delle soluzioni adottate per questo motore come la posizione in testa delle valvole, il carburatore a getto di carburante, il radiatore a tubi d'aria, la distribuzione meccanica dell'olio lubrificante, furono in seguito adottate dalle case automobilistiche. La trasmissione del moto era assicurata da un cambio di velocità a treni scorrevoli, da una frizione conica e da un freno a ceppi che agiva direttamente sulla ruota posteriore del triciclo. Il genio creativo di Bernardi sembrava non avere fine. Nel 1884 realizzò una motocicletta con motore da 1/3 di CV e un motoscooter per il figlio Lauro. Nel 1892 realizzò una vettura a tre ruote che iniziò a circolare due anni dopo. Come spesso accadde ai geni italiani, il successo commerciale delle invenzioni di Bernardi faticò ad arrivare. La Società Italiana Bernardi, per la costruzione e commercializzazione delle vetture a motore, non ebbe lunga vita e nel 1901 venne messa in liquidazione. Nonostante ciò, un centinaio di vetture Bernardi furono vendute e circolarono nell'Italia dell'epoca. Nel 1898 una vettura di Bernardi si aggiudicò un premio di tremila lire nella corsa Torino-Asti-Alessandria, percorrendo un percorso di 192 Km in 9h e 47'!. Alla fine del secolo, una vettura Bernardi percorse sessantamila chilometri senza dover subire radicali riparazione. La fine della sua avventura commerciale per Bernardi in realtà fu quasi una liberazione. Senza dover pensare alle questioni amministrative, il geniale ingegnere poteva dedicarsi completamente allo studio e alla ricerca, da sempre il suo ambito preferito. Egli entrò in contatto con i dirigenti Fiat, con i quali instaurò rapporti di carattere tecnico. Nel 1902 incontrò a Verona Giovanni Agnelli e dalla loro collaborazione nacquero molti dei successi della Fiat. A partire dal 1910 e fino alla morte sopraggiunta per un colpo apoplettico nel 1919, Enrico Bernardi si dedicò con passione a nuovi campi: la fotografia, l'aerodinamica e l'energia solare. A Padova, nell'Istituto di Macchine da lui fondato è stato allestito un piccolo Museo Bernardi dove sono conservati cimeli, pubblicazioni, scritti inediti. Altri cimeli sono esposti al Museo dell'Automobile di Torino, nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e nel Museo NIcolis di Villafranca in provincia di Verona.