Storia e leggenda dei Veneti

Una storia lunga 3000 anni    OGGI ACCADDE


1 giugno 1205

Le cronache narrano che Enrico Dandolo, ambasciatore, ammiraglio e infine il Doge più vecchio della Repubblica di Venezia, morì il 1° giugno 1205, a 98 anni, cavalcando di ritorno a Costantinopoli, dopo un’ennesima battaglia. Lui che era un “nobilomo da mar”, morì sulla terra in una notte di pece. Risedate le diatribe con l’Impero d’ Occidente, riconquistate le fiducie di quello d’ Oriente, riappacificati i rapporti con lo Stato Pontificio, sembrava che i commerci, gli interessi e le politiche di Venezia ritornassero nel loro alveo naturale, dopo i trascorsi eventi, purtroppo così non fu. Enrico Dandolo venne eletto dal “Consiglio” secondo i canoni stabiliti dal suo predecessore, durante le marinare scorrerie di pisani contro saraceni, di saraceni contro genovesi, di normanni contro gli uni e gli altri, di anconetani contro i normanni e saraceni e Venezia contro tutti, a difesa di quello che era stato sancito quale“ Mare Venetianorum” ed inteso come tale da tutti gli Imperi e dallo Stato Pontificio, nonché dai Sultanati saraceni. Il Doge fu eletto, nonostante la sua avanzata età (sembra più di ottant’anni), perché dotato di una straordinaria saggezza ed esperienza unanimemente riconosciute e per la sua enorme ricchezza, mai ostentata. La sua è una delle più antiche di Venezia e risale addirittura in epoca romana: infatti discende direttamente dai Dauli. Prima di essere eletto Doge, Enrico Dandolo fu “Bailo “ a Costantinopoli (nomina consolare di etimologia fiorentina) ed Ambasciatore a Ferrara. Nonostante i buoni intenti di Bisanzio che, in maniera differente, riconobbe tutti i privilegi e le cariche onorifiche, inviando persino le spoglie di “Santa Lucia”, il Doge si trovò nuovamente di fronte la flotta pisana, appoggiata da Ancona, per il predominio sul mare Adriatico. Il “vecchio gigante” non si lasciò intimorire e con una sortita affidata a Tommaso Falier riuscì a snidare i pisani a Pola e da altre città dalmate. I pisani e gli anconetani sconfitti tentarono il rifugio a Costantinopoli dove però furono inseguiti e raggiunti dalla flotta veneziana. I trattati in essere tra Bisanzio e Venezia non consentirono ulteriori ripercussioni sugli inseguiti e l’azione terminò con una parziale rivincita da parte di Venezia, correva l’anno 1195. Nel 1198, con l’ascesa al soglio pontificio di Innocenzo III, avvenne la proclamazione della Quarta Crociata dopo il convegno del febbraio 1201 tenuto a Venezia. Il comando viene assegnato a Baldovino re di Fiandra e a Bonifacio di Monferrato, oltre che ad altri insigni marchesi e baroni di mezza Europa. Dopo gli accordi sulle eventuali future spartizioni economiche, nel giugno del 1202 iniziò la concentrazione dei crociati che avrebbero dovuto prendere imbarco sulla flotta veneziana. La spedizione, questa volta però, come pattuito, sarebbe dovuta avvenire dietro il pagamento delle “spese vive”, quantificate in circa 85.000 marchi d’argento di Colonia. Ma mentre gli uomini armati erano impazienti di partire, della somma stabilita non si vedeva nemmeno l’ombra. Da giugno si arrivò ad ottobre prima che Venezia formulasse una nuova proposta: '' la presa definitiva di Zara, riconsegnatasi agli ungheresi, con l’ausilio dei crociati e poi la liberazione della Terra Santa''. Questa nuova ipotesi scatenò le ire di Papa Innocenzo III il quale, vedendo piuttosto una contrapposizione di interessi economici e colonialisti, anziché l’innalzamento della cristianità, lanciò un’altra “Scomunica” a Venezia. Ciononostante Enrico Dandolo riuscì nel suo intento. La flotta veneziana con a bordo il vecchio Doge ed il figlio, “Capitano da Mar” (ammiraglio) Vitale, partì alla volta di Zara che in breve tempo fu presa. Nell’ aprile del 1203 la flotta fece vela su Costantinopoli con a bordo un notevole potenziale bellico ed una nutrita schiera di Crociati, per rimettere sul trono l’Imperatore Isacco Comneno, spodestato dal fratello Alessio. Nel 1204 Costantinopoli cadde, in maniera impietosa e saccheggiata in maniera disumana: il bottino fu spartito per tre quarti a Venezia ed un quarto ai crociati. Il Doge di Venezia, Enrico Dandolo, è fregiato, e con lui tutti i suoi successori, del titolo di “Signore di un quarto e mezzo (cioè di tre parti su otto) dell’Impero di Romania, ossia dell’Impero Romano d’Oriente. I duecento “grandi feudi” creati a Creta, dopo lo smembramento dell’ Impero, furono assegnati a “Nobil Homini” veneziani, mentre quelli minori furono assegnati a soldati che si erano distinti nelle armi o anche semplicemente a gente del popolo. Altre isole maggiori dell’ Egeo furono tenute da nobili veneziani in vassallaggio al neo- eletto Imperatore Baldovino di Fiandra. L’ imperatore fu eletto da un consiglio di Dodici nobili di cui sei veneziani e sei crociati, avendo il Doge rifiutato la carica massima. Nei territori controllati da Venezia entrarono a far parte: la Morea meridionale, Negroponte, Epiro, Arcanania, Durazzo, Jannina, Arta e Gallipoli, nonchè Creta: venduta dal crociato Bonifacio di Moferrato. Da Costantinopoli vengono inviati a Venezia innumerevoli tesori d’arte e di devozione, i quattro cavalli che ancora adornano la chiesa di S. Marco e molte reliquie di Santi: contrariamente agli altri “Crociati” che si dilettarono a distruggere o vendere tutto quello su cui mettevano mano.La patria non vedeva l’ora di poter riabbracciare il “suo” Doge, ormai quasi centenario, per poterlo glorificare, ma Enrico Dandolo forse anche consapevole di non poter sopravvivere al viaggio preferì rimanere nei territori conquistati e difendere Adrianopoli (Edirne), conquistata dai bulgari che avevano ucciso l’ Imperatore Baldovino. Morì il 1° giugno 1205, cavalcando di ritorno a Costantinopoli, dopo un’ennesima battaglia e fu sepolto nella basilica di Santa Sofia, dove un iscrizione marmorea indica ancora ai nostri giorni con le parole “Henricus Dandolo” il luogo della sepolture, sebbene le ceneri, per ordine di Maometto II, espugnatore di Costantinopoli,andassero disperse nel 1453.