26 giugno 1656

Terza battaglia dei Dardanelli. La mattina del 26 giugno i venti provenivano da nord e gli ottomani si prepararono a salpare velocemente dal momento che sapevano che le galee veneziane non sarebbero state in grado di assistere le loro stesse navi alleate controvento. Il vento però mutò a sudest, intrappolando gli ottomani nel settore asiatico dello Stretto. Kenan Pasha riuscì a passare con 14 galee ma il resto delle navi finirono per essere catturate, affondate o bruciate. La San Marco era la nave veneziana più avanzata dell'epoca e fu la prima a intervenire per tagliare la ritirata agli ottomani, ma dovette recedere di fronte all'artiglieria pesante nemica. Nel corso della battaglia, il capitano generale veneziano Lorenzo Marcello venne ucciso da una palla di cannone che lo prese in pieno, ma la sua morte venne mantenuta segreta sino alla fine dello scontro per ordine del suo secondo in comando, il "provveditore" della flotta, Barbaro Badoer. Il giorno successivo allo scontro si ebbero altre piccole schermaglie e sul finire del giorno, la flotta ottomana aveva perso 4 grandi navi, 5 galeazze e 13 galee che erano state catturate dai veneziani, mentre 22 vascelli, 4 galeazze e 34 galee erano state affondate o erano andate bruciate. Solo 2 vascelli e 14 galee ottomane riuscirono a fuggire. Delle navi catturate, i cavalieri maltesi ricevettero 2 galeazze, 8 galee e 1 "super galea" (o galeazza). I veneziani persero in tutto tre navi che andarono bruciate nello scontro, con 207 morti, 260 feriti e 94 dispersi. Le perdite maltesi ammontarono a 40 morti e più di 100 feriti. Si calcola che le perdite totali dei turchi siano 10.000 tra morti e feriti. Circa 5000 cristiani impiegati come schiavi a bordo delle galee della flotta ottomana vennero liberati nell'operazione. Fu questa la più pesante delle sconfitte subite dagli ottomani dalla Battaglia di Lepanto, e ciò permise ai veneziani di occupare senza opposizione le importanti isole di Tenedos e Lemno, stabilendo così la possibilità di un blocco permanente presso lo Stretto dei Dardanelli. Come risultato, fu impossibile per gli ottomani riconquistare Creta e la stessa Costantinopoli subì una tremenda carestia nell'inverno successivo. In una successiva battaglia in tre giorni nel luglio del 1657, ad ogni modo, il blocco venne rotto nuovamente dagli ottomani.


26 giugno 1832

Muore Basilio Anastasio Lasinio, Capitano, capo battaglione cisalpino, al seguito di Napoleone, fu abile disegnatore ad acquerello, incisore, oltre che frescante. Alla Biblioteca Comunale di Treviso si può ammirare la sua tempera “Visione della Piave a Nervesa ” “Veduta della Piave ripresa dai murazzi eretti a protezione dell’abitato di Nervesa” del 1825 nella quale, sullo sfondo, è presente una zattera (le zattere formate di tronchi erano all’epoca ancora presenti sul Piave e consentivano il trasporto fluviale a Venezia del legname del Cadore e del Montello per le fondazioni delle case e per le costruzioni navali) e, tra le sue incisioni, spiccano quelle di Napoleone, ricordata anche nell’annotazione apposta sulla pagina che costituisce il frontespizio di questi appunti, Alessandro I, e la “Pianta della regia Città di Treviso” (Biblioteca Comunale di Treviso), disegnata ed incisa dall’allora Capitano Basilio Lasinio, pianta che ancora oggi è presa in considerazione circa l’assetto urbanistico della città tra la caduta della Repubblica di Venezia ed il 1822. Un particolare di questa mappa, rappresentante il cimitero “del Lazzaretto” di Treviso, che si trovava subito a monte dell’attuale “Ponte de fero”, è stato recentemente inserito nell’iconografia di un volume edito nel 2009. La Civica Raccolta d’Arte Applicata e Incisioni di Milano, (Stampe e matrici d’incisione), conserva, poi, quattro suoi ritratti di Napoleone tra i quali tre, in diverse esecuzioni, riproducono l’imperatore su di un cavallo rampante. E’ anche conosciuta una sua carta geografica di Gibilterra. Basilio Lasinio ebbe la sua prima educazione nel Collegio dei Chierici Regolari Somaschi in Treviso, sotto la direzione del Padre don Lorenzo Lasinio ivi professore di Belle Lettere e zio paterno. A sedici anni (1782) sappiamo che aveva raggiunto il fratello Carlo a Firenze e che quest’ultimo “Firenze, 1°, marzo 1783/Carlo de Lasinio supplica La bontà dell’Ill.mo Sig. Direttore della Real Galleria di volere concedere la grazia a Basilio de Lasinio suo Fratello di poter copiare in colori a oglio li qui sotto segnati quadri …”. Sotto le cure e le utili istruzioni del fratello Carlo, nonché con l’assidua frequenza all’Accademia di Belle Arti, si distinse sia nelle discipline matematiche che in quelle artistiche, studi che gli furono utili per la carriera prefissatasi nelle milizie. Più tardi da due suoi quadri dedicati al Consiglio di Vigilanza pubblica e ora al Museo del Risorgimento di Treviso, il fratello Carlo realizzò, verso il 1797, due incisioni raffiguranti l’assedio di Mantova visto dalla parte di Borgo San Giorgio e Cittadella nella quale figura anche un aerostato frenato che i napoleonici utilizzarono per indirizzare i tiri dell’artiglieria, nonché l’assedio ed il bombardamento di Mantova del 2 Febbraio 1797 da parte delle truppe di Napoleone con prospetto della città visto dalla zona di Porta Ceresa. Per detti quadri ricevette la seguente lettera: Il Consiglio di Vigilanza Pubblica Al cittadino Basilio Lasinio Segretario del Comitato Milit. Verona li 4 maggio 1797. Nei tanti documenti che aveva il Consiglio nostro, o Cittadino, del puro vostro patriotismo e del vostro ardente amore per la libertà, si aggiunge la nuova luminosa prova che ne avete dato con dono di due Quadri rappresentanti il passato Assedio di Mantova praticato dalla invincibile Armata Francese, opera de’ vostri rari talenti. Sensibile il Consiglio alla dimostrazione, che gli avete data d’attaccamento nel mentre ve ne protesta la più sincera riconoscenza, vi assicura che, siccome l’Assedio di Mantova e la susseguente di lei caduta, preludio della nascente nostra libertà, è il più memorabile avvenimento, che ai posteri possa riferire la storia, così i Quadri, nei quali lo avete sì al vivo rappresentato appesi alla parete del nostro Consiglio formeranno il più durevole e il più luminoso trofeo della vostra benemerita abilità e del prezzo che ne facciamo. Salute e fratellanza firmati Poiana Presidente – Polfranceschi – Piccoli – Gaspari – Angelo Angelini Segretario. Una sua incisione, su disegno di Vincenzo Guarana, fotografata da Garatti (Treviso), si trova ne’L’Arte di Tomaso da Modena: con novantasei tavole (1933) ed è descritta a pag. 120. Risale al 1800 o 1801, firmata in basso a destra “Cap. Lasinio fecit” una tempera su carta “Paesaggio del Mincio e Battaglia di Pozzolo 25-26 dicembre 1800, dedicato alla memoria dei prodi guerrieri morti sul campo della gloria per la libertà d’Italia”, di cm. 56 X 87, mentre al periodo 1800-1804 ca. una Miscellanea di sei tavole a tempera su carta conservate a Providence (Rhode Island) – Brown University Library – The Anne SK Brown Military Collection. Il 26 gennaio 1802 la consulta cisalpina, “... in unione al Primo Console ...”, proclama la Repubblica Italiana, la prima con questo nome. S’installa un Governo costituzionale, e la Presidenza non poté che essere destinata a Napoleone. La data del 2 Giugno fu scelta per le celebrazioni ufficiali della Festa della Repubblica, esattamente come accadde per l l‘attuale Repubblica Italiana. Il Vicepresidente, Francesco Melzi d’Eril, firmerà il 13 Maggio, il decreto per l’adozione del nuovo stemma della Repubblica che rappresenta una spada incrociata a un ramo di palma sovrastate da una bilancia a due piatti. La bilancia rappresenta la Giustizia, la spada e la palma simboleggiano reciprocamente l’autorità e la pace e, il nastro tricolore che le unisce, sta a significare, idealmente, l’unione. Questo stemma, sarà rappresentato sulle nuove bandiere approvate dal Governo il 20 Agosto 1802 e di cui abbiamo quello che dovrebbe figurare come il progetto originale: un disegno del Cap. Basilio Lasinio di Treviso (Archivio di Stato di Milano). Durante la Repubblica la bandiera sarà: “… un quadrato a fondo rosso, in cui è inserito un rombo a fondo bianco, contenente un altro quadrato a fondo verde …”. Il quadrato centrale verde è caricato dello stemma repubblicano, con modeste varianti da un reparto all’altro. Degno di nota e decisamente rispettoso del modello regolamentare, è il ben conservato Stendardo dei Granatieri della Guardia del Presidente, oggi esposto nel Museo del Risorgimento di Milano. Il IV Stendardo presidenziale, in essere dalla data del 09.10.2000, (Presidenza di Carlo Azeglio Ciampi), riprende la bandiera della prima Repubblica Italiana, quella disegnata dal Lasinio, con l’inserimento, nel quadrato verde, del sigillo della seconda Repubblica Italiana. Risulta anche che Basilio Lasinio tra il 1802 ed il 1804 abbia realizzato un’incisione di propria invenzione, di impianto fortemente neoclassico, a raffigurante il ritratto di Francesco Melzi d’Eril, Vice-Presidente della Repubblica Italiana. Un altro esemplare è esposto a Roma nel Museo Napoleonico oltre che al Staatliche Museum di Berlino. Nello stesso museo è conservata anche l’incisione di Basilio Lasinio, del 1807 e dello stesso impianto, del ritratto di Eugenio Beauharnais. Basilio Lasinio, inoltre, fu uno dei tredici patrioti veneti cui, con altrettanti messaggi del Consiglio de’ seniori, fu accordata la cittadinanza da parte della Repubblica Cisalpina. Infatti, fin da quando era ancora alfiere, il Lasinio era fautore dei francesi e aveva svolto un’attività d’intelligence, insieme al capitano Viani, a favore di questi ultimi. La sua carriera militare era iniziata nel 1789 come Cadetto del Reggimento di Treviso al servizio della Veneta Repubblica a Corfù (l’altra scuola per cadetti della Veneta Repubblica era a Verona). I corsi di tattica militare erano articolati in sei anni e in essi apprese, tra l’altro, le teorie dell’Architettura Militare, sotto la direzione del Capitano del Genio Angelo Baggio eseguendo piani di fortificazione, ponendo in prospettiva vari punti della citta di Corfù, rilevando e disegnando la pianta della città (quest’ultima e due sue vedute prospettiche sono conservate nella Biblioteca Comunale di Treviso, Mss.1538,12). Inoltre, nel periodo in cui fu a Corfù, fu incaricato di redigere piani per le fortificazioni dell’isola, piani che – puntualmente – approntò. Fece anche tre campagne per mare contro quei corsari che infestavano le Isole Ionie e che gli fruttarono nel 1792 – dopo soli 18 mesi di effettivo servizio militare – l’avanzamento al grado di Alfiere (dal latino Aquilifer). E’ qui opportuno fare cenno a chi fossero, all’epoca, i corsari che infestavano il Golfo di Venezia, così come tutto il mare Adriatico era indicato ai tempi della Repubblica Veneta. L’isola di Corfù, allora base principale dell’armata sottile, vale a dire delle galere e delle galeazze veneziane, era la porta di accesso al Golfo di Venezia (l’armata grossa, delle grandi navi di nuova generazione, aveva invece sede a Venezia, così come quelle del comando in capo e della galera generalizia, mentre le Bocche di Cattaro accoglievano la base marina sussidiaria). Corsaro era il detentore della “lettera di corsa” con la quale il sovrano lo abilitava a dare la caccia ai mercantili di bandiera di una potenza avversaria per impossessarsi delle navi e dei carichi. Il bottino, monetizzato, andava diviso in parti prestabilite tra il sovrano e i membri della nave corsara (il tutto era posto sotto l’autorità di un “Tribunale delle prede” per il riconoscimento dei proventi e per dirimere eventuali controversie). Anche la Repubblica Veneta rilasciava “lettere di corsa” ma, di solito, entro limiti operativi assai ristretti e con preferenza a capitani bocchesi di provata fedeltà anche al fine di evitare di compromettere la propria neutralità internazionale (proprio all’interno delle Bocche di Cattaro per qualche secolo si fronteggiarono veneziani e ottomani). I corsari, poi, oltre ai danni diretti, causavano anche consistenti indiretti, dato che gli stessi non si ritenevano obbligati alle norme riguardanti la navigazione, con particolare riguardo alla pratica sanitaria, allora controllata universalmente con grande rigore a causa delle frequenti e molto temute epidemie, così che un corsaro era considerato come un infetto. Perciò ogni naviglio, razziato dai pirati, doveva subire anche l’internamento della quarantena, che la Serenissima aveva localizzato in Istria nella stazione di Porto Quieto, con ulteriore nocumento economico e fermo della nave. In certi periodi, la Serenissima (e non fu la sola), provò anche frenare gli attacchi corsari con dazioni che servissero a rarefarli - così come anche oggi si è tentato con la pirateria somala dell’Oceano Indiano - ma l’avidità umana è tale che l’asticella del prezzo da pagare veniva continuamente alzata, di modo che il sistema dazioni non ebbe molta efficacia. Per secoli Venezia sui diversi campi della legalità e dell’illegalità, spesso sfruttando per il proprio tornaconto pirati come – per un certo periodo – i feroci Uscocchi, (pirati di etnia slava con base a Segna - oggi Senj - a sud di Fiume), fortemente motivati contro i turchi per la loro stessa sopravvivenza dovendo difendersi da questi nel loro entroterra, che furono utilizzati per un certo periodo dalla Serenissima, sul finire del 1500, in chiave anti-turca, ma con i quali Venezia dovette a lungo confrontarsi dato che predavano spesso anche i suoi vascelli usando i mille isolotti dalmati per tendere imboscate. Quanto sopra detto spiega perché la Serenissima ponesse tanta cura nella lotta alla “guerra di corsa”, al punto che giunse a intraprendere una guerra contro Tunisi affidandosi al proprio ammiraglio (capitano generale da mar) Angelo Emo (1731-1792). Questi, nel 1785, al comando di una grossa flotta trainante otto galleggianti, ciascuno armato di un mortaio di grosso calibro, assediò e bombardò pesantemente Tunisi e, se anche il forte La Goletta e la città non furono espugnati poiché Venezia non aveva interesse a rendersi nemico il bey, la guerra rappresentò l’ultimo colpo di reni della “neutrale” Repubblica Veneta. Dopo l’assedio di Tunisi, l’ammiraglio svernò a Corfù, per poi incrociare, nell’Adriatico, nell’Egeo e nel Mediterraneo, a caccia di corsari, catturandone parecchi. Bombardò ancora, a più riprese, Sfax, Biserta e Susa e morì improvvisamente a Malta (1792) che aveva raggiunto per organizzare meglio le proprie operazioni. Nel 1792, dopo la morte di Angelo Emo, Venezia pervenne in ogni caso a un accordo di pace con Tunisi, ancorché non brillantissimo (in proposito va tenuto presente che, nel 1791 e poi nel 1793, la Repubblica Francese aveva rinnovato i trattati con i sovrani barbareschi). Se Angelo Emo, nel 1797, fosse stato ancora in vita, Venezia, probabilmente, non sarebbe stata considerata dalla Francia una così facile preda. L’Adriatico, nell’ultimo ventennio del 1700, aveva visto accanto ai corsari francesi che già avevano solcato quel mare per ostacolare il flusso dei rifornimenti all’esercito austriaco ai tempi della guerra di successione spagnola scoppiata nel 1701, i corsari barbareschi (espressione della Sublime Porta e che avevano basi anche lontane sulla Costa di Barbaria: Tunisi, Algeri e Orano) organizzate, a suo tempo (XVI sec.) dal corsaro Khair Ad-din, detto Barbarossa, figlio di un cristiano rinnegato) che ebbero la stura dopo la perdita, da parte di Venezia, della Morea (1714-18) e, a seguito della guerra russo-turca (1722-23) e dopo quella russo-turca (1768-70), i Greci dissidenti delle Isole Ioniche, oltre i pirati (operatori in proprio senza “lettera di corsa”), e i russi che dopo la guerra rimasero nell’Adriatico con navi corsare battenti la loro bandiera e con equipaggi formati da greci, albanesi e originari di Dulcigno (oggi la montenegrina Ulcinj). Infine, negli ultimi due decenni del secolo con un loro governatore che rilasciava senza difficoltà le “lettere di corsa”, causando molte perdite anche tra le navi di bandiera veneziana. Con l’avvento napoleonico, poi, la “guerra di corsa”, nell’Adriatico, subì una recrudescenza con l’apparizione in scena dei legni inglesi, per terminare, di fatto, nel 1815, con l’ultima azione corsara dei barbareschi e l’occupazione francese di Algeri (1830) sancì la definitiva uscita di scena di questi corsari. Soltanto il Congresso di Parigi del 1856 avrebbe dichiarato la completa illiceità della “guerra di corsa” (vedansi: Corsari nel mediterraneo di Salvatore Bono – Arnoldo Mondadori Editore, 1993 e Il tramonto della Mezzaluna – di Rinaldo Panetta, U. Mursia editore, 1984, Vol. II). Alla luce di quanto sopra, sembra che le campagne per mare, contro i corsari cui partecipò Basilio Lasinio, facessero parte del programma di Angelo Emo di ripulitura del Mediterraneo dai legni corsari russi e barbareschi. In particolare, ne Carlo Aurelio Widmann – Dispacci da Corfù 1794-1797” a cura di Filippo Maria Paladini, Vol. 2, Venezia 1997, a un dispaccio del 06.04.1796 dell’allora Provveditore Generale da Mar (n. 109, pagg. 405/409), che ben cita la campagna condotta contro il Colonnello Lambro Cazziani dichiarato ribelle dalla corte di Pietro-Burgo (pertanto tecnicamente scaduto da corsaro al ruolo di semplice pirata), furono allegati due inventari di effetti requisiti a corsari russi (21.02.1792 e 12.09.1992), nonché la traduzione della “carta cauzionale” rilasciata ai turchi per “ricever li sdrusciti legni della squadriglia russa (quattro imbarcazioni avanzi della squadriglia distrutta nel porto Quaglio di Maina della flotta ottomana), recuperati a Cerigo, Calamo e Teachi” (22.09.1793), che ne sono degno corredo. Ritengo che all’accennata campagna abbia preso parte anche il cadetto Basilio Lasinio. Basilio, all’Accademia di Corfù, si formò, oltre che come architetto militare, anche come topografo ove queste discipline erano insegnate. Infatti, “proprio dalle esperienze settecentesche di riprogettazione delle difese di Corfù ebbero origine alcune fra le più considerevoli esperienze di rinnovamento tecnico e organizzativo operate dalla Serenissima nel secolo XVIII. Partendo da un nucleo di una decina di ufficiali “allevati dalle fortificazioni di Corfù” e preparati nel disegno e nelle matematiche, lo Schulemburg (Johann Matthias von Schulemburg 1661-1747, comandante in capo delle forze terrestri della Repubblica) propose nel 1728 la formazione di una scuola e di un corpo di ingegneri. Il rapporto con la città e la sua storia era stato determinante a questo proposito. Corfù luogo di sovrapposizione di saperi, tecniche ed esperienze, …, appariva allora un campo di straordinaria ricchezza. La macchina bellica si era fatta laboratorio: “ho procurato che diversi officiali giovani s’istruissero nel disegno e nelle matematiche militari osservando l’erezione delle opere di Corfù, nelle quali come vi sono mura antiche e moderne, di varia costruzione e misure e adattate a piano e a monte, si fanno abbondante campo per apprendere ogni dimensione di lavoro e di riparo”. Il corpo e la scuola vennero così istituiti con l’assegnazione di quattro ufficiali ingegneri … . Accanto all’attività di sorveglianza e di intervento sugli edifici pubblici, proprio a questi si deve una rilevante attività cartografica, tanto generale, relativa all’insieme dell’isola, quanto particolare …”. Basilio Lasinio appartenne così all’ultima infornata di quegli ufficiali, “allevati dalle fortificazioni di Corfù”, preparati nel disegno, nella cartografia e nelle matematiche militari, come voluto dallo Schulemburg (vedasi Corfù: Storia, Spazio Urbano e Architettura XIV-XIX sec. a cura di Ennio Concina e Aliki Nikiforou-Testone – Edizione dell’Associazione Culturale “Korkira”, Corfù 1994 – Istituto Universitario di Architettura di Venezia – Archivio di Stato di Corfù – Catalogo Mostra Internazionale all’Achilleion, Luglio-Settembre 1994 – Produzione: Edizioni TOPIO, pag. 35). Basilio Lasinio, da Corfù, nel 1795, tornò in Italia col proprio Reggimento e fu destinato a presidiare la città di Verona, ove si distinse nel salvamento di vari Distaccamenti e isolati Militari nelle sette giornate di contro-rivoluzione contro le truppe francesi. Caduta la Repubblica Veneta, nel 1797 fu impiegato come Segretario del comitato Militare di Verona, rinunciando allo stato di quiescenza e, nel 1798, prese servizio sotto la bandiera francese col grado di Capitano con l’approvazione del Generale in capo dell’Armata d’Italia Napoleone Bonaparte e confermato dal Direttorio Cisalpino. Fu quindi destinato nella 1° Brigata di Fanteria leggera Cisalpina dell’Armata attiva che dal 1797 a tutto il 1801 diede varie battaglie. Quale Capitano Comandante la Piazza della città di Cento, nel 1798 impedì colà la contro-rivoluzione. Nel 1799, fu al comando di quella di Modena oltre che Commissario di Guerra e con poche truppe la sostenne contro il Generale Klenau, per passare quindi a Bologna e, di qui, alla Battaglia della Trebbia: nella ritirata che fece in Toscana, rimase ferito dal piombo austriaco e fu fatto prigioniero. Riavutosi dopo breve dalla ferita “e trovandosi disoccupato per la sua prigionia” eseguì un disegno a tempera che illustra la discesa del Gran San Bernardo (17.05.1800) da parte dell’Armata Franco-Italiana di Napoleone Bonaparte, dedicando il lavoro ai Generali di Divisione Pino e Lecchi, “sotto gli ordini dei quali – scrive Jacopo Lasinio – militando trovossi presente al fatto su esposto”. A tal punto si apre un interrogativo. Infatti, Jacopo Lasinio dà lo zio presente alla discesa del Colle del Gran San Bernardo, tuttavia, sembrerebbe che Basilio fosse ritornato libero dalla prigionia toscana a Firenze soltanto dopo la Battaglia di Marengo (14 giugno 1800) ai termini dell’armistizio seguito a questa vittoria francese, così come ci informa lo stesso Jacopo Lasinio. E’ pertanto possibile che Jacopo fosse incorso in un errore, oppure – cosa più probabile – che Basilio fosse rientrato dalla prigionia fiorentina, (grazie al fatto che a Firenze il fratello Carlo era all’epoca assai influente e che lui stesso in loco non era privo di conoscenze), prima dell’armistizio e in modo ufficioso, in modo da potere essere presente alla discesa del Gran San Bernardo. Chi scrive, avendo vissuto a lungo in quei luoghi di cui conosce bene la morfologia, ritiene che Basilio Lasinio fosse stato presente alla discesa del Gran San Bernardo il cui paesaggio assai bene descrive nella propria tempera. Il Lasinio fu ufficialmente restituito alle proprie Bandiere nel 1801, e più precisamente nei giorni 25 e 26 dicembre, facendo parte della Colonna del Centro dell’Armata d’Italia, si trovò al passaggio del Mincio in vista dell’Esercito Austriaco posto in Battaglia fra i Colli (muniti di ridotte di Valeso, Borghetto e la pianura di Pozzolo, il quale ultimo posto fu preso e ripreso tre volte da entrambe le Armate, per cui gli restò campo di osservare, e indi disegnare a colori questo memorabile fatto d’armi, realizzando una tempera di cui si è già fatto cenno e di cui si parlerà ancora nella nota 148. Fu in seguito destinato al Corpo Tipografico presso il “bureau” della Guerra di Milano come Capitano di I classe (Decreto del Ministero della Guerra: “Repubblica Cisalpina – Milano li 18 nevoso dell’anno IX Repubblicano – Il Ministro della Guerra. Al Cittadino Basilio Lasinio, Capitano in attività del Battaglione di Fanteria Leggera, per rendere fruttuosi, Cittadino, i vostri talenti, vi occuperete a questo Dipartimento della Guerra per la parte che riguarda il Bureau Topografico. Con questo siete autorizzato a conseguire in Milano l’alloggio e le razioni che appartengono al vostro grado, nonché il soldo di Capitano in attività. – Il Ministro della Guerra seg.to Polfranceschi”). Tra il 1802 e il 1812 Lasinio disegnò e incise varie opere fra le quali un Modello Topografico Pittoresco in foglio imperiale del 1803, il disegno della spianata del demolito Castello di Milano nello stato in cui si trovava il 10 fiorile, nonché i ritratti disegnati ed incisi , fra i quali la raccolta dei re d’Italia da Odoacre a Napoleone, quelli di Napoleone ed Alessandro in piedi, e Napoleone a cavallo ad Austerliz. Era stato anche Capitano del genio per le fortificazioni di Milano, (risulta che, a seguito della posa della prima pietra, da parte del prefetto dell’Adige in data 01.07.1806 in Rivoli, del monumento a ricordo della battaglia vittoriosa del 13-14 gennaio 1797, un decreto vice - reale di lunedì 17 novembre 1806 abbia ordinato che venisse inciso nel deposito della guerra in Milano un disegno del capitano Lasinio raffigurante il monumento di Rivoli terminato il 7 ottobre dello stesso anno) e, successivamente, nel 1812, venne scelto dall’Imperatore Napoleone I come Istitutore del Corpo Zappatori Pompieri della Città di Milano col titolo di Comandante del Corpo, con lo stipendio di Lire 5000 annue. Nei giorni 20 e 21 aprile 1814 con la propria compagnia e in unione alla Guarnigione di Milano, sedò la sommossa popolare qui verificatasi. Alla caduta del governo italiano fu confermato da S.M.I.R. Francesco I nella suddetta carica fino al 1820, quando gli venne accordata dal Consiglio Aulico di Guerra, su sua richiesta, onorifica pensione. Nel 1818 realizzò l’incisione: “Zappatore Pompiere della Regia Città di Milano”, (Biblioteca Comunale di Treviso), carta riproducente i pompieri e le loro attrezzature in primo piano con, sullo sfondo, la veduta di Milano con il Duomo. Dopo il 1920 prese domicilio a Treviso con famiglia e trascorse gli ultimi anni nella sua casa domenicale di Nervesa dove, quando lo colse la morte, ricopriva la carica di 1à deputato alle Comunali cose. Fu inumato con gli onori militari nella Parrocchiale di Nervesa vicino ai suoi avi. Su suoi disegni e incisioni in rame dei F.lli Bordiga, l’antiporta raffigurante Federigo Mazzucchelli con il suo cavallo e le 6 tavole f.t. a doppia pagina relative all’anatomia e alle proporzioni dei cavalli, al modo di guidarli colle redini o colla biga, vari tipi di attrezzi, schema ed illustrazione di tutte le operazioni, (vari tipi di trotto, di galoppo, passo, poggiata, montonata, capriola, ecc.), con la pianta del Parco della Cavallerizza, a corredo degli “Elementi di Cavallerizza”, dello stesso Federigo Mazzucchelli, uno dei più celebri trattati di equitazione italiani del XIX secolo. Presso il Museum of Art, Science and Industry di Bridgeport (CT) - la Fairfield University di Fairfield, CT (USA) dovrebbe esserne la proprietaria – è conservato un suo olio su tela (cm. 38,10 X 58,10) di soggetto ”Paesaggio con figure” o “Scena agreste” del 1783, quadro acquistato nel 1950 da Samuel H. Kress dal fiorentino Contini Bonacossi come opera del veneziano Francesco Zuccarelli (Federico Zeri attribuisce a lui il disegno e il dipinto al Lasinio), di cui Basilio Lasinio fu allievo presso l’Accademia di Venezia negli anni ’70 del settecento quando lo Zuccarelli ne era Presidente. Il quadro fu in seguito attribuito al Lasinio ed esposto come sua opera a Tulsa, Okla, nell’Aprile - Settembre 1960, Tulsa Traveling Study Collection. Sembrerebbe che, intorno al 1993, sia stato ritrovato un quadro di Basilio Lasinio, realizzato per omaggio ai generali Pino e Lechi, rappresentante le truppe del Bonaparte sul Gran San Bernardo. Tra queste truppe figurano in primo piano una decina di personaggi molto ben dettagliati dall’artista che sicuramente raffigurano la Legione Italica, essendo tutti vestiti con uniformi verdi in un intreccio di rosso e di bianchi. L’autore dell’articolo cui mi riferisco, ha copiato in una tavola, il più fedelmente possibile dall’originale, alcuni personaggi illustrati nel quadro, concludendo, nel suo scritto, che l’assoluta precisione dei dettagli delle uniformi da parte del Lasinio, possa fare supporre che egli potesse averli dipinti forse perché presente anche lui sul Gran San Bernardo tra gli ufficiali del genio della Legione Italica oppure, quanto meno, perché li conosceva personalmente. Infatti, l’accuratezza delle divise e dei particolari è tale che sono rappresentati dettagli che nessun altro quadro o stampa noti, raffigura. Tale accuratezza giunge al punto che Lasinio arriva perfino a dipingere il marchio R.F. sul posteriore dei cavalli del treno di artiglieria francese. L’accuratezza dei disegni del Lasinio fu da questi ampiamente dimostrata nel suo periodo toscano quando partecipò a un programma di riproduzioni dei pezzi della collezione delle cere anatomiche di Firenze che si concretò nella realizzazione, da parte di numerosi artisti, di ben 828 tavole giunte fino a noi ed eseguite con tecniche miste (tempera, acquerello, matita). Nella maggior parte queste – concepite come un trattato esplicativo dei singoli preparati in cera - riproducevano, per ogni cera anatomica, (sono 516 i reperti in cera), anche più di un disegno. Alle tavole pervenuteci bisogna poi aggiungere un’esigua quantità andata sicuramente perduta o distrutta nel corso degli anni, la cui mancanza è stata comprovata da un recente lavoro di revisione. La presenza, in una buona percentuale dei casi, della firma dell’autore, ha permesso di risalire ad alcuni degli artisti che presero parte al progetto e, tra questi, Basilio Lasinio di cui ci sono pervenuti ben 51 disegni. Dall’11.11.2002 al 28.02.2003, alla Rotonda di Via Besana, Milano, appena restaurata, si tenne una mostra intitolata Napoleone e la Repubblica Italiana (1802-1805), in cui, tra i circa 300 oggetti esposti, (fra sculture, dipinti, disegni, stampe, documenti vari, plastici, oggetti d’arte, modelli e strumenti scientifici), figuravano anche delle “tempere di Basilio Lasinio, con vedute profonde minutamente descritte: piccoli quadri di totale seduzione”. Sono anche conosciute due sue incisioni a colori “La Madonna della Seggiola” da Raffaello, una dedicata “al Conte Emanuele Gavard con l’anno 1800” (cm. 34X28), la seconda con cornice e riquadratura variata con l’anno 1804. Nel margine il titolo “Maria Mater Gratiae” (cm. 35X30) – Nn. 92743 e 92744. Come frescante, a lui sono attribuite le rappresentazioni ad affresco, ispirate ai paesaggi del Veronese presenti in Villa Barbaro a Maser, raffiguranti una veduta di campagna, una scena di caccia, una veduta lagunare e una del Colosseo, presenti nella zona superiore, oltre al ballatoio posto a pochi metri dal soffitto, di Casa Spineda (ora Fondazione Cassamarca) a Treviso in Piazza San Leonardo, 1. Nel 1790, tornato in licenza da Corfù, dov’era di guarnigione il suo reggimento di fanteria, il 16° “Treviso” della Repubblica Veneta, alla locale scuola allievi ufficiali, l’allora cadetto Basilio Lasinio, su richiesta dei proprietari, utilizzò il proprio tempo libero a dipingere l’intero salone a due ordini, previa la realizzazione di un bozzetto del soffitto conservato alla Biblioteca civica di Treviso. Ritengo che il periodo di licenza del Lasinio fosse collegato anche alla vacanza scolastica che, ogni anno, era tra l’11 settembre, data della fine dell’anno scolastico, e il 12 di novembre, data d’inizio dell’anno scolastico successivo. Nel salone sono raffigurate le quattro virtù cardinali (Fortezza, Giustizia, Prudenza e Temperanza) e altre quattro figure femminili che personificano l’Arte, la Gloria Militare, l’Abbondanza: la quarta figura non ha un significato preciso. Del pari gli sono attribuite le tracce decorative a guazzo sulla parete nord dell’ala settentrionale del Palazzo Odardo (Castello di San Salvatore a Susegana) dei Principi di Collalto, dei quali era amico. Questo guazzo fu molto danneggiato dai cannoneggiamenti della 1° Guerra Mondiale. Rientrato da Corfù dove, inquadrato nel 16° reggimento di fanteria “Treviso” della Repubblica Veneta, alla scuola Allievi Ufficiali di Corfù, appunto, nel 1795, è con il proprio reggimento di presidio a Verona e con esso partecipò ai combattimenti contro i francesi durante le “Pasque veronesi” (17-23 Aprile 1797). A proposito del periodo trascorso a Corfù da Basilio Lasinio, l’architetto Aris Provatis, originario dell’isola e operante in Italia, mi ha informato (2013) che nella sua isola esiste un Archivio Veneziano nel quale potrebbero essere reperite notizie sul Lasinio. Cortesemente mi ha messo in contatto con Maria Argirokastriti (maargi17@yahoo.gr), la quale mi ha segnalato – dopo averne contattato la direttrice Nela Patanzi (Archivio di Stato di Corfù) – che gli archivi statali sono disponibili e ordinati soltanto dopo il 1840; antecedentemente il materiale non è ancora archiviato e si dovrebbe incaricare, per eventuali ricerche, un professionista ricercatore che mi è stato indicato nella persona di Georgios Linardos che conosce l’italiano (Tl. 00306997520936 – george_linardos_professional@yahoo.com). Il tutto rimane in stand-by fino a che, chi scrive, riuscirà a verificare gli elenchi dei faldoni dei documenti conservati, riguardanti gli anni 1789-1795, visionati e scannerizzati, grazie alla cortesia della Signora Nela Pantazi, durante la visita del 10 luglio 2013 all’Archivio di Stato di Corfù, archivio eccezionalmente conservato con estrema cura, ordine e massima pulizia, così come ho avuto modo di costatare di persona. Tornando a Basilio, questi fu anche architetto militare e, come ufficiale del genio, fu al servizio di Venezia e, poi, come sopra detto, presso il Governo militare di Milano come Capitano del genio per le fortificazioni di quella città. Risalgono al 1823 le sue incisioni per il contorno della medaglia, oltre al fregio del monumento per il busto del Canova, realizzato da Luigi Zandomeneghi, inaugurato quell’anno all’Ateneo di Treviso. La medaglia, in particolare, fu coniata da Francesco Puttinati di Verona e destinata ai soli soci dell’Ateneo cittadino che contribuirono alla realizzazione del monumento e, come da processo verbale dell’adunanza del 02.05.1823, in quell’occasione se ne ruppe il calco. La Biblioteca Comunale di Treviso conserva altresì, sub 1535, un Album del C. B. Lasinio con rilegatura datata 1814, nel quale sono riuniti suoi schizzi e disegni, talvolta acquerellati, nonché, incollate su alcune pagine, particolari di incisioni di artisti vari di un qualche interesse per il Lasinio. Tra gli schizzi a inchiostro seppia, un ritratto del fratello Carlo, giovinetto, nell’atto di incidere al bulino; una Madonna disegnata nel 1789; una grottesca probabile idea per un affresco; una testa con elmo e, quest’ultimo a colori, due teste, viste da destra e da sinistra, che indossano un cimiero; ecc. Nella stessa Biblioteca si conserva pure una cartella contenente numerose incisioni e disegni di Basilio, Carlo e di Giovanni Paolo Lasinio. Di Basilio sono tre nudi maschili, e due amorini inseriti in un tondo; una donna assisa; una donna nell’atto di pugnalarsi; una testa di giovane uomo, un disegno a matita probabilmente raffigurante una veduta dal Montello; un disegno di interno; una Crocefissione; il disegno rappresentante un castello su di un colle (probabilmente il castello di Susegana). Inoltre è conservato un altro Album la cui copertina riporta la data 1832. In essa sono inseriti i disegni a matita di Basilio, raffiguranti le vedute a 180° del Montello e di Nervesa ripresa dal Piave, una zattera vista dall’alto, nonché la veduta del Ponte della Priula, disegni che risalgono al 1805. Le successive pagine sono state illustrate dal nipote Giovanni Paolo che nel 1832, durante una sua visita allo zio a Nervesa, gli regalò una serie di disegni (18 pagine) raffiguranti caricature di personaggi per lo più di estrazione popolare e contadina. Sull’interno della seconda pagina di rilegatura, è stata incollata l’incisione del ritratto che Basilio Lasinio aveva fatto di Napoleone Bonaparte. Alla Biblioteca Comunale di Treviso si conserva anche una sua tempera dell’Abbazia di Nervesa, sub 1538, oltre che un ritratto del generale Dupont da lui dipinto, mentre un suo disegno (sub 7000 2B2645), di argomento storico, (un disegno, 400 x 567, contro-fondato, con colori a tempera su carta beige. Sul verso della contro-fondatura è incollato un cartoncino con il numero d’inventario. In cattivo stato di conservazione, è denominato Ingresso delle truppe Francesi a Verona, eseguito nel 1796), si trova nella collezione dei disegni del Museo di Castelvecchio di Verona (in questo Museo l’autore è indicato come Alfonso Basilio Lasinio, con erronea indicazione del suo secondo nome che era Anastasio). Sappiamo anche esistere un’incisione di G.B. Cipriani (1766-1839), su soggetto tratto da Jean-Gérard De Rossi e disegno di Basilio Lasinio. L’incisione, ( 230x300; 257x335), realizzata tra il 1800 ed il 1828, fu inserita tra le 952 dei 30 volumi delle Journées pittoresques des anciens édifices de Rome et des environs dell’Abate Angelo Uggeri (1754-1837) ma, chi scrive, non è ancora riuscito a prenderne visione. Un esemplare della stampa in questione è conservato dall’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma (Inventario CL2368/16482). Ugo Foscolo, in una sua lettera al Cav. Ugo Brunetti del 30 luglio 1808, scrive: “Quanto al rame che sta incidendo il Capitano Lasinio, ti prego di sollecitarlo. Tu per altro dirai al Mussi che il rame è bello e fatto…”. L’Ateneo di Treviso annoverò Basilio Lasinio tra i suoi soci, così come per altro fece con il fratello Carlo.


26 giugno 1507

Convegno di Savona, della rovina del Borgia si avvantaggiò la Repubblica di Venezia, potenza aspirante all'egemonia in Italia, che aveva occupato alcune città romagnole (e del Patrimonio di San Pietro) come Rimini, Faenza, e Cervia. Venezia era quindi divenuta nemica dello Stato Pontificio e di Giulio II che, essendo genovese, conosceva peraltro bene l'odio della sua città natale per la Serenissima, rea di aver costretto gli altri stati a uscire dalla ricca pianura padana mentre espandeva le sue frontiere. Ma il pontefice non era l'unico a vedere nell'espansionismo di Venezia una minaccia. La Serenissima aveva ricavato, dal declino Aragonese, alcuni porti pugliesi che le permettevano di controllare e chiudere il mare Adriatico, possedimenti che Ferdinando di Spagna ora rivendicava in quanto sovrano di Napoli. Grazie alla sconfitta sforzesca, Venezia aveva poi acquisito dei domini nell'entroterra come Cremona, ma il re francese era ora desideroso di riprendere quei territori in quanto Duca di Milano e, in verità, puntava a tutta la Lombardia Veneta. Inoltre, l'imperatore Massimiliano voleva mettere in sicurezza i confini Austriaci dalla crescente potenza veneziana, ed era rimasto scottato dal fallimento dell'invasione del Cadore e dalla conseguente occupazione da parte della Serenissima del Friuli e della confinante contea di Gorizia, che egli rivendicava come legittima eredità. Il Convegno di Savona si tenne il 26 giugno 1507. Fu il vertice europeo che ebbe come protagonisti re Luigi XII di Francia e Ferdinando II di Aragona il Cattolico re di Spagna, con Germana de Foix. Fu il preludio alla Lega di Cambrai. "Alla fine del giugno di quell'anno, la città è per alcuni giorni il centro del mondo politico occidentale". Il Re di Francia alloggiò in vescovado (fu forse lui a scegliere Savona quale sede del vertice), Ferdinando nel Castello di San Giorgio, mentre la regina nel palazzo di Giulio II. Erano presenti all'evento i delegati di moltissimi Stati europei.