23 giugno 1266

La battaglia di Trapani ebbe luogo il 23 giugno 1266 al largo di Trapani, in Sicilia , tra le flotte della Repubblica di Genova e della Repubblica di Venezia , nell'ambito della Guerra di San Saba (1256–1270). Durante la guerra i veneziani ebbero la meglio negli scontri navali, costringendo i genovesi a ricorrere a razzie commerciali ed evitare battaglie navali. Nella campagna del 1266 i genovesi erano in vantaggio numerico, ma questo non era noto al comandante genovese Lanfranco Borbonino. Di conseguenza, i genovesi rimasero in Corsica fino alla fine di maggio. La flotta veneziana al comando di Jacopo Dondulo, fu lasciato navigare avanti e indietro in attesa dell'apparizione della flotta genovese nelle acque attorno all'Italia meridionale e alla Sicilia. Temendo che l'altra parte avesse più navi, entrambe le parti rinforzarono le loro flotte con navi aggiuntive, ma i genovesi mantennero un piccolo vantaggio numerico. Le due flotte si sono incontrate vicino a Trapani in Sicilia il 22 giugno. Dopo aver appreso delle dimensioni ridotte della flotta veneziana, il consiglio di guerra genovese decise di attaccare, ma durante la notte Borbonino ribaltò la decisione e ordinò invece alle sue navi di prendere posizione difensiva, legate insieme con catene, vicino alla riva. Quando la flotta veneziana attaccò il 23, molti equipaggi delle navi genovesi, per lo più composti da stranieri assoldati, si persero d'animo e abbandonarono le loro navi. La battaglia fu una schiacciante vittoria veneziana, poiché affondarono o catturarono l'intera flotta genovese. Al loro ritorno a Genova, Borbonino e la maggior parte dei suoi capitani furono processati e multati ingenti somme per codardia. Nonostante la sconfitta, Genova continuò la guerra, nella quale nessuna delle due parti riuscì a ottenere un vantaggio decisivo, fino alla fine grazie alla mediazione francese nel 1270


23 giugno 1645

368 navi con a bordo 51.000 uomini del Corpo da sbarco composto da quattordicimila Spahy, settemila Giannizzeri e trentamila musellim e lagimi armeni si presentavano di fronte alle coste di Candia, e davano inizio allo sbarco a ponente della Canea, a Madonna di Gogna, tra il monastero dei Calogeri e la città di Canea. Lo sbarco non fu contrastato dai nobili feudatari, che sembravano non interessati agli avvenimenti, e neppure dalle cernide, leve di contadini, che, ai primi colpi sparati dalle galere turche, fuggirono in montagna. Aveva così inizio una guerra durissima, che si sarebbe conclusa solo dopo 24 anni, il 26 settembre 1669 con la resa della fortezza di Candia. Durante il lungo periodo di pace tra la Repubblica di Venezia e l’Impero Ottomano, si ebbe sentore di una svolta politica. Il primo atto di guerra messo in atto dal Gran Visir Mehemet Pascià fu la preparazione di una spedizione navale contro le coste delle Puglie concordata con le flotte dei Bey1. L’azione fallì per il maltempo e, solamente più tardi, una flotta ottomana penetrò nel Golfo di Taranto e saccheggiò Rocca Imperiale. La Sublime Porta si preparava intanto a quello che era il suo obiettivo principale, la conquista di Candia, scarsamente difesa dai Veneziani che trascuravano la loro preparazione bellica nell’illusione di poter ottenere la pace con la sola azione diplomatica. Il casus belli fu fornito ai Turchi dai corsari maltesi e a nulla valsero le passate cautele del governo veneto per evitare ogni possibilità di attriti e dissenso con la Porta quando, il 28 settembre 1644, sei galere maltesi attaccarono nelle acque di Rodi un ricco convoglio proveniente da Costantinopoli e diretto ad Alessandria, composto da tre galeoni e numerose sàiche , carico di merci e pellegrini tra i quali vi erano il gran Eunuco di Palazzo, una sorella e un figlio del Sultano. I corsari, comandati da un Cavaliere di Malta di origine francese, sulla via del ritorno, con un galeone predato al traino, fecero scalo a Limeones e a Schiro, a sud di Candia e poi a Cerigo e Cefalonia, tutti porti della Serenissima, dove vendettero parte delle prede e liberarono alcuni schiavi cristiani prima prigionieri dei turchi. Quando la notizia dell'atto di pirateria giunse alla capitale, l'Ambasciatore francese e il Bailo veneziano vennero convocati a corte, per rendere conto di presunte connivenze con i Maltesi. Entrambi gli ambasciatori protestarono l'innocenza dei rispettivi Paesi, cosi il Sultano dichiarò che avrebbe ordinato di allestire una spedizione punitiva contro Malta. Nonostante la situazione, solo nei primi mesi del 1645 il Senato portò la Guardia di Candia a 20 galere al comando di Giorgio Morosini ed inviò scarsi rinforzi alla fortezza di Candia e in Dalmazia Armò inoltre 30 galere e 2 galeazze e chiese aiuti al Papa ed agli altri Stati italiani ed europei in caso di aggressione turca. Provvide infine a nuovi incarichi: Francesco Molin fu nominato Provveditore Generale da Mar (però ammalatosi appena giunto a Corfù, fu di fatto sostituito dal Capitano delle galeazze Girolamo Morosini), Antonio Marin Cappello ebbe il comando delle Navi e Andrea Cornaro assunse il grado di Provveditore Generale dell’isola di Candia. I preparativi da parte dei turchi furono invece imponenti, seguiti dallo stesso Sultano, e il 30 aprile 1645 la flotta turca uscì dagli Stretti, dichiarando Malta come propria destinazione allo scopo di ingannare i Veneziani. Alle 50 galere, alle numerose navi a vela quadra e alle 50 sàiche da trasporto, si unirono 25 galere dei Bey e altre navi da trasporto. La flotta da Scio giunse a Navarrino dove si unirono altre navi barbaresche, facendo credere che l’obiettivo dell’attacco fosse Malta. Ma, gettata la maschera, fu dichiarata guerra a Venezia, fu imprigionato il Bailo a Costantinopoli, mentre la poderosa flotta d’invasione, levate le ancore da Navarrino il 20 giugno 1645, prendeva il mare diretta verso Candia e, tre giorni dopo si presentava davanti alla Canea. La suddivisione in sestieri di Creta veneziana Per coprire lo sbarco, i Turchi attaccarono, nello stesso tempo, la piccola fortezza sull’isolotto di San Teodoro, difesa solo da sessantantacinque soldati al comando del Capitano Biagio Giuliani di Capodistria; il forte non resistette a lungo e quando il comandante vide che i nemici erano ormai penetrati all'interno, fece brillare la santabarbara, distruggendo il fortilizio e uccidendo molti attaccanti. I 12 superstiti tra i Veneziani ebbero il “privilegio” di essere decapitati sulla prora della Capitana di Salih Yussif Pascià.


23 giugno 1797

Fucilazione di Antonio Mangarini. era un veneziano originario di Zara. Ufficiale della marina veneziana, all'età di 25 anni, guidò un'insurrezione popolare la sera del 12 maggio 1797, per minare l'autorità del governo provvisorio che sostituì la Serenissima. Questa rivolta scoppiò nei pressi del Ponte di Rialto, e le forze del comune presero facilmente il sopravvento grazie ai cannoni usati contro i rivoltosi, armati solo di sciabole e moschetti. Margarini riuscì all'epoca a sfuggire alla cattura, ma identificato, fu arrestato pochi giorni dopo. Assicurato alla giustizia, è stato condannato a morte mediante fucilazione. La sentenza fu eseguita il 23 giugno 1797, alle 21, sul Campo di San Francesco de la Vigna. Si sa che era stato veneziano dello Stato da Mar, in quanto nativo di Zara, alla pari del Foscolo, che egualmente lo era, in quanto nativo di Zante. Si sa che era stato ufficiale della Marina veneziana, e che nel 1797 si trovava nel suo venticinquesimo anno di vita, e che la sera del 12 maggio 1797 egli aveva e capeggiato e guidato una sollevazione popolare, la quale avrebbe voluto contrapporsi e scalzare la Municipalitá Provvisioria, che aveva sostituito il Governo della Serenissima, al fine di riprestinare quest'ultimo e di unire le forze rimaste per far fronte all'Armata del Buonaparte, in difesa della Patria. Questa sollevazione si scatenó nelle vicinanze del Ponte di Rialto, e le forze della Municipalitá ebbero la meglio e poterono domarla, grazie anche al fatto che vennero impiegati perfino i cannoni contro i rivoltosi, armati soltanto di sciabole e moschetti. Sappiamo che il Mangarini riuscí al momento a sottrarsi alla cattura, ma che venne individuato e preso qualche giorno dopo. Sottoposto a processo, venne condannato alla pena capitale mediante fucilazione, che venne eseguita la sera del 23 giugno 1797, alle ore 21, nel Campo di san Francesco della Vigna. Null'altro, fino ad ora, dalla documentazione pervenuta e rimasta che lo riguarda, si sa di lui. In particolare non sappiamo perchè l'esecuzione abbia avuto luogo proprio in quel Campo, immerso in una atmosfera severa e malinconica, cosí remoto e periferico, rispetto all'area Marciana, e non sappiamo neppure dove il suo corpo sia stato sepolto. Un'altra cosa si sa, e questa molto bene, in quanto é assai recente: un gruppo di encomiabili veneziani avrebbe voluto apporre una lapide nel Campo di san Francesco, in ricordo dell'esecuzione del Mangarini, lapide contenente una frase molto breve, succinta ed asettica, tale da non costituire provocazione verso alcuna corrente di pensiero. La lapide era giá pronta, ma non venne mai collocatain quel Campo, poichè vi si oppose una locale Autoritá, motivando il diniego con il fatto che quella lapide non sarebbe stata di interesse per alcuno.

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23 giugno 1804

Francesi e Austriaci si contendono da anni, con alterne vicende, il Territorio Veneto. Ad Asolo, dove è stata annunciata la visita dell'Arciduca Giovanni, Francesi e Austriaci si contendono da anni, con alterne vicende, il Territorio Veneto. Ad Asolo, dove è stata annunciata la visita dell'Arciduca Giovanni, fervono i preparativi per l'accoglienza, ma l'Arciduca austriaco non si fa vedere e al suo posto arriveranno, più tardi, i Francesi. I tempi sono difficili e i Veneti sono costretti a barcamenarsi; ma ciò che non riescono a sopportare sono le ingenti spese per le truppe d'occupazione e per le accoglienze ai Sovrani. In una rozza ma significativa stampa popolare sono raffigurati tre personaggi: Napoleone in atto di par­tire col motto "Mi vado!"; l'Imperatore d'Austria che sta arrivando: Mi vegno! , e un gondoliere che li osserva, irritato e sconsolato: E mi, fioi de cani ve mantegno!.