21 giugno 1431

La battaglia di Cremona fu uno scontro fluviale che si svolse nell'ambito delle guerre che opposero la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano durante le Guerre di Lombardia. Dopo la sconfitta di Soncino del marzo 1431 e la perdita di ulteriori 500 cavalli in seguito ad uno scontro presso la stessa cittadina nel mese di giugno, i veneziani non si diedero per vinti e decisero di invadere il cremonese con un esercito di 12.000 fanti e 12.000 cavalieri al comando del Carmagnola e una flotta fluviale di 37 galeoni e un centinaio di navi più piccole guidata da Niccolò Trevisan, con l'obiettivo di risalire il Po e catturare Cremona. Il Ducato di Milano aveva a sua volta approntato un esercito al comando di Francesco Sforza, rafforzato dai soldati di Niccolò Piccinino che era appena giunto dalla Toscana, oltre ad aver raccolto a Pavia una flotta fluviale composta da 56 galeoni e numerose altre navi di minori dimensioni al comando di Pasino degli Eustachi. Nella tarda serata del 21 giugno 1431 la flotta milanese attaccò la veneziana ma cinque galeoni della prima, staccatisi dal resto della flotta, furono ben presto circondati e catturati poi l'oscurità fece cessare temporaneamente le ostilità. Lo Sforza e il Piccinino, informati dell'accaduto, decisero di salire nottetempo sulle navi insieme alle milizie più scelte e per evitare che il Carmagnola li imitasse, inviarono due spie nel campo veneziano con il compito di spargere la voce che il Piccinino, all'alba, li avrebbe attaccati. Alle prime luci dell'alba del 22 giugno la flotta milanese ingaggiò quella veneziana che non si aspettava di essere nuovamente attaccata dopo la disfatta della sera precedente. La battaglia durò circa 12 ore e si svolse sul tratto di fiume poco a valle della città di Cremona. Per cercare di evitare la disfatta, il Trevisan inviò più volte dei messi al Carmagnola affinché corresse in suo aiuto ma questi, temendo un attacco a sorpresa del Piccinino, decise di non intervenire. Molte gelee veneziane, più grandi e dal maggior pescaggio rispetto a quelle milanese, si arenarono sui ghiaioni del fiume e furono facilmente catturate, tra queste l'ammiraglia del Trevisan. Persa ogni speranza di vittoria, il Trevisan decise di ritirarsi con quanto rimaneva della flotta veneziana. I veneziani persero 28-29 galeoni e 42 navi minori, 9.000-11.000 uomini tra morti e prigionieri, 60.000 ducati pronti per pagare il soldo delle truppe, 1.500 schioppi, 2.000 corazze ed altrettante balestre insieme agli stendardi alle vettovaglie con un danno stimato attorno ai 600.000 fiorini. Durante la battaglia un quadrello ferì gravemente Niccolò Piccinino alla collottola recidendogli i nervi e rendendolo zoppo per il resto della sua vita. Ma la sconfitta bloccò le operazioni dell’intera armata veneta, dato che le autorità veneziane ritennero poco prudente far attraversare l’Adda, ultima linea difensiva per Milano, senza il supporto di una flotta fluviale, e fu così vanificata tutta la campagna di guerra condotta dal Carmagnola fino ad allora. Le navi veneziane catturate dalla flotta viscontea furono portate in trionfo a Pavia, dove ancora erano esposte nel XVI secolo, mentre, secondo la tradizione (ma la cosa andrebbe indagata) il termine "gran pavese" (una serie di bandiere che le navi innalzano in caso di particolari solennità, utilizzato non solo dall'italiano, ma anche dal francese, spagnolo, olandese e altre lingue) deriverebbe dal fatto che le navi viscontee, durante il rientro, issarono sugli alberi tutte le bandiere nemiche catturate. La battaglia è festeggiata ogni anno a Pavia con il Palio del Ticino. Il mancato intervento in aiuto del Trevisan e la pesante sconfitta contribuirono a far aumentare i sospetti dei veneziani verso il Carmagnola, accusato di essere segretamente in contatto con i milanesi. Il 13 ottobre i veneziani, guidati da Guglielmo Cavalcabò, riuscirono a catturare la rocchetta e la porta di San Luca a Cremona con un colpo di mano poi attesero l'intervento dell'esercito del Carmagnola che era acquartierato a sole tre miglia dalla città. Il Carmagnola, sospettando un'imboscata, decise ancora una volta di non intervenire e la guarnigione cremonese dopo tre giorni costrinse i veneziani ad abbandonare le loro posizioni. Il Senato, ormai convinto della doppiezza del Carmagnola e verosimilmente in possesso di prove schiaccianti riguardanti un qualche accordo con Filippo Maria Visconti (forse la signoria di Brescia in cambio del tradimento della Repubblica di Venezia), lo fece convocare a Venezia e poi decapitare il 5 maggio 1432. All'inizio di aprile il Ducato di Milano raggiunse una pace con la Repubblica di Venezia e i suoi alleati e furono scambiati i prigionieri. I milanesi cedettero ai fiorentini i castelli conquistati nel pisano e nell'aretino e questi cedettero quelli sottratti ai lucchesi.


21 giugno 1547

Muore a Roma il Pittore veneziano Sebastiano Luciani, detto Sebastiano del Piombo. nasce a Venezia nel 1485. La sua carriera di pittore inizia tardi, in quanto inizialmente Sebastiano è un suonatore di liuto. Nelle sue opere sono evidenti le influenze avute durante la sua formazione che avviene, secondo il Vasari, da Giovanni Bellini e Giorgione, tanto che alcuni dipinti sono stati spesso confusi come appartenenti al Giorgione, ad esempio "Salomè" del 1510. Nel 1511 Del Piombo si reca a Roma, dove il banchiere senese Agostino Chigi gli commissiona le decorazioni per la sua villa Farnesina, quindi si stabilisce definitivamente a Roma, dove si unisce al circolo di artisti raffaelliani. Si distingue subito per la bravura nel realizzare ritratti. Nel 1515 circa Sebastiano passa sotto l'influenza di Michelangelo Buonarroti con il quale inizia una collaborazione artistica. Durante il suo lavoro a Roma Sebastiano Del Piombo unisce i colori caldi tipici della scuola veneziana con la chiarezza del disegno anatomico michelangiolesco. Opera di Sebastiano del Piombo Il suo stile diventa la più valida alternativa a quello di Raffaello e la competizione con l'Urbinate si fa esplicita: alla fine del 1516 il cardinale Giulio de' Medici commissiona due pale d'altare per la sua sede vescovile di Narbonne, una a Raffaello, che esegue la "Trasfigurazione" e l'altra a Sebastiano, che conclude poi nel 1519 "La resurrezione di Lazzaro". Basandosi proprio su disegni e cartoni di Michelangelo realizza nel 1517 quella che sarà la sua opera migliore: la "Pietà " suscitando grande stima in Michelangelo stesso. Dal 1520-1530, dopo la morte di Raffaello nel 1520, Sebastiano è il più noto e ricercato pittore ritrattista a Roma. Nel 1526 dipinge i suoi migliori ritratti, quello di "Andrea Doria" e di "Clemente VII". Nel 1531 Papa Clemente VII gli conferisce il posto, ben remunerato, di custode del sigillo papale, chiamato appunto piombino, da qui il suo soprannome Del Piombo. Pittura di Sebastiano del Piombo Durante gli ultimi 17 anni della sua vita la produzione dell'artista si riduce notevolmente, proprio per l'agiatezza economica raggiunta. Entra in un forte disaccordo con Michelangelo per il Giudizio Universale. Sebastiano incoraggia il Papa a insistere con il Buonarroti di realizzare questa opera ad olio. Michelangelo risponde a Sua Santità che l'olio è adatto solo per le donne e per i pigri come Sebastiano. Da qui si inasprisce il rapporto fra i due pittori e questa freddezza durerà fino alla morte. Sebastiano muore a Roma il 21 giugno 1547. Il rito funebre del pittore avviene secondo le sue volontà senza alcuna cerimonia e lascia i suoi averi ai poveri.E' sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo.


21 giugno 1784

I bombardamenti del Beycato di Tunisi (giugno 1784-1788) furono una serie di bombardamenti navali da parte della Repubblica di Venezia su Tunisi e le altre città del Beycato come risposta al sostegno che esso dava ai corsari barbareschi. La campagna andò avanti quattro anni, durante i quali la flotta veneziana per ordine di Angelo Emo aumentò notevolmente sia in numero sia in potenza. Il 21 giugno 1784, il Capitano Straordinario delle Navi di Venezia, Angelo Emo, uscì dal porto di Malamocco al comando di una flottiglia composta da: due vascelli, il Forza dotata di 70 cannoni al comando di Giovanni Moro, il suo secondo in comando, e la Fama dotata di 66 cannoni la sua nave ammiraglia), la fregata da 38 cannoni Palma, due bombarde (la Polonia e la Distruzione), uno sciabecco da 22 cannoni e una galeota. Una volta partiti a causa del brutto tempo vi fu un allungamento dei tempi di percorso. La flotta si fermò per una breve sosta alle Bocche di Cattaro per imbarcare 60 fanti da mar e 60 marinai. La peste in Dalmazia stava colpendo duramente la popolazione in particolar modo la città di Spalato, per questo motivo Emo dovette aspettare il 7 agosto per approdare ai porti dalmati. A luglio arrivarono a Corfù dove alla flottiglia si aggiunsero la fregata Concordia da 56 cannoni e un'altra galeota da 22 cannoni. Il 18 agosto Emo arrivò in Sicilia. Il 26 agosto arrivarono nei pressi dell'isola di Malta dove si unirono 5 vascelli e 5 fregate degli ospitalieri dell'ordine di Malta al comando di Giovanni Battista Tommasi e il 30 agosto arrivarono nella baia di Tunisi. La spedizione continuava a essere colpita dal maltempo nonostante questo incominciarono il bombardamento per diversi giorni della città di Susa per poi passare a La Goletta, Biserta e Sfax. Il maltempo e i fondali bassi persuasero però il Capitano Generale da Mar Emo a desistere lasciando alcune navi al comando di Tommaso Condulmer a garantire il blocco navale. Nel frattempo il bey di Tunisi sostenuto dal Bey di Algeri non desisteva. In seguito il Senato Veneziano in seguito alle preoccupazioni delle notizie in arrivo dalla Francia sulla Rivoluzione Francese e nonostante i danni arrecati alle città tunisine, preferì firmare la pace con il Bey di Tunisi. Angelo Emo morì poco dopo a bordo della sua nave ammiraglia Fama.

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21 giugno 1849

Si incontrano, a Verona, il Ministro Plenipotenziario austriaco De Bruck e i rappresentanti del Governo Veneto Giuseppe Calucci e Lodovico Pasini. Il convegno non darà alcun concreto risultato perché le condizioni poste dall'Austria per la resa di Venezia sono inaccettabili. Fallito questo tentativo, non rimaneva che la resa, alla cui sottoscrizione (26 agosto) pure il Calucci partecipò. I Veneziani osservano scherzosamente che è stato un grave errore inviare come rappresentante il Calucci, uomo spaventosamente magro per natura, perché, vedendolo, gli Austriaci potrebbero aver pensato che se quello era il rappresentante della Popolazione Veneta, tutti gli altri dovevano già esser morti di fame.