30 marzo 1528

Nasce a Venezia Matteo Priuli è stato un vescovo cattolico veneto. Come vescovo di Vicenza, assieme al suo successore e nipote Michele Priuli, diede inizio all'attuazione della riforma tridentina.Figlio di Antonio Priuli - appartenente ad una ricca e nobile famiglia veneziana che ebbe membri illustri in ogni campo - e di Lucrezia Pisani, fu avviato fin da quando aveva 13 anni alla carriera politico-ecclesiastica, Giorgio Anselmi dichiara di essere allievo di Antonio Balestra, sebbene le sue opere manchino della compostezza classica che contraddistingue il maestro. facendo esperienza in Portogallo, Inghilterra, Francia, Spagna e soprattutto a Roma, dove entrò in familiarità con il cardinale Reginaldo Polo. Nel 1561 fu nominato vescovo di Cittanova e in tale veste l'anno successivo partecipò al Concilio di Trento. Il 13 aprile 1565 fu destinato alla sede di Vicenza, per dimissioni del cardinale Giulio della Rovere. Il suo ingresso in città, il 23 settembre dello stesso anno, fu solenne e sfarzoso: presso Porta Padova - dove avvenne l'incontro ufficiale con le autorità e il clero, fu eretto un arco trionfale disegnato da Andrea Palladio e ornato di pitture; tutto il percorso che di lì portava in vescovado era ornato di statue e colonne; massiccia fu la presenza di popolo, clero e confraternite, con in prima fila i notai con la loro Rua. Ispirandosi all'azione che, nello stesso periodo, svolgeva a Milano San Carlo Borromeo, con grande decisione Matteo Priuli volle applicare nella sua diocesi quant'era stato stabilito dal Concilio: la moralizzazione del clero, sia secolare che religioso; le visite pastorali e le periodiche ispezioni; la regolare convocazione dei sinodi diocesani, la predicazione e l'uso delle immagini sacre, l'istituzione dei seminari e l'insegnamento della dottrina cristiana. Appena un mese e mezzo dopo l'ingresso, celebrò il primo Sinodo della riforma di cui però non è rimasta documentazione. Uno dei suoi primi interventi, contenuto e ribadito con due decreti del 1566, fu il tentativo di ridurre e abolire i benefici parrocchiali plurimi indebitamente goduti dai canonici della cattedrale. La totale inosservanza delle sue disposizioni lo spinse a indire un secondo sinodo di riforma verso la fine dell'anno. In questo modo egli si inimicò i canonici che, capeggiati da Simone da Porto, si rivolsero alla curia romana dove avevano validi protettori; il vescovo allora li sospese a divinis ma, pochi mesi più tardi, essi furono liberati della scomunica per intervento del cardinale Protonotario Alessandro Riario. La battaglia contro la pluralità dei benefici e per la residenzialità dei beneficiari era perduta e a nulla valsero un terzo sinodo diocesano celebrato nell'ottobre del 1573 e un ulteriore terzo editto, emanato su quest'argomento nel 1574. In realtà si trattò di una prova di forza tra il Priuli e il capitolo della cattedrale, che si faceva forte dei privilegi secolari ottenuti dai vescovi ancora durante l'alto medioevo; ma contro di lui insorsero anche i monasteri maschili di Vicenza, capeggiati dai canonici lateranensi del monastero di San Bartolomeo, che difendevano i privilegi apostolici - e soprattutto le esenzioni - e si appellarono anch'essi alla Santa sede ottenendo, anche in questo caso, ragione. Nel suo secondo sinodo diocesano Matteo Priuli costituì i Vicariati foranei, voluti dal concilio di Trento in sostituzione della precedente organizzazione pievana; a differenza però di quanto stabiliva il concilio, i vicari nominati dal vescovo appartenevano a un'altra forania e assumevano quindi, in sostanza, la veste di controllori circa l'attuazione della riforma tridentina. Ciò che riuscì invece al vescovo Priuli fu l'istituzione del seminario diocesano, in attuazione delle disposizioni conciliari. Per la formazione culturale e disciplinare di 50 giovani di buona famiglia e di chiara attitudine allo stato ecclesiastico, il vescovo assegnò a questo nuovo istituto la chiesa di San Francesco con l'annessa abitazione; difficile invece fu il suo mantenimento, che avrebbe dovuto essere sostenuto da rendite derivanti dal capitolo delle cattedrali e dai monasteri, che invece si rifiutarono di corrisponderle. Stanco di tutte queste opposizioni, allo scadere del suo 15º anno di episcopato Matteo Priuli si dimise e nell'agosto del 1579 aveva già definitivamente abbandonato la diocesi; al suo posto venne nominato il nipote Michele. Morì a Venezia il 3 aprile 1595.


30 marzo 1797

Giorgio Anselmi pittore nacque a Verona nel 1720 e morì a Lendinara nel 1797.E’ lo stesso Giorgio Anselmi a riportare notizie riguardanti la sua origine veronese e la sua attività nella biografia manoscritta inviata all’erudito bolognese Marcello Oretti nel 1773. Giorgio Anselmi dichiara di essere allievo di Antonio Balestra, sebbene le sue opere manchino della compostezza classica che contraddistingue il maestro. Opera esemplare della prima attività è San Biagio risana un giovinetto, presso la chiesa di San Giacomo alla Pigna di Verona. L’opera è una sorta di omaggio al maestro Balestra, da cui Giorgio Anselmi dimostra di aver appreso l’arte del disegno. Recentemente, sono state segnalate dal prof. Sergio Marinelli due opere inedite raffiguranti la Vergine e santi, che si distinguono per essenzialità e chiarezza compositiva. In aggiunta, le opere mostrano anche il richiamo alla pittura di Santo Prunato e a Giambettino Cignaroli. In seguito, lo stile di Giorgio Anselmi si orientò verso una gestualità caricata che manca d’introspezione psicologia. Forse per questo non si dedicò mai alla ritrattistica. La propensione di Giorgio Anselmi per espressioni retoriche e vigorose si espresse nella decorazione ad affresco di vaste superfici. Tra gli affreschi realizzati da Giorgio Anselmi si segnala il trionfo del carro di Minerva presso Palazzo Salvi Erbisti a Verona. Il ciclo è databile 1742-1744 e si configura come un’opera d’ esordio, a cui seguiranno numerose altre commissioni. In questo si riconoscono i tratti tipici dell’artista: il gusto per le pose plastiche, la marcata ombreggiatura e l’inquadratura architettonica. La formazione del giovane Giorgio Anselmi, avvenuta nell’ambito veronese, influenzò molto l’attività artistica. Lo studio degli artisti locali, in particolare del Cinquecento, fu fondamentale. Tra gli artisti più studiati da Giorgio Anselmi figurano Paolo Farinati e Domenico Brusasorci. In particolare, la suggestione esercitata dal Brusasorci ben si evince dalla decorazione del soffitto di palazzo Porto a Vicenza che raffigura La caduta dei giganti. L’iconografia sarà ulteriormente riproposta a palazzo Ferrari sturm a Bassano del Grappa (Vi) e palazzo Allegri a Verona. In quest’ultimo in particolare affresca intorno al 1771 anche due stanze con scene dell’Arcadia e delicati monocromi. Il tema della caduta dei Giganti, che riprende il modello mantovano, consente a Giorgio Anselmi di rappresentare energiche e drammatiche figure. Nel 1750 circa, realizza l’affresco raffigurante Sant’Agostino scaccia l’eresia dell’oratorio dei Santi Giuseppe e Fidenzio a Verona. In questo Giorgio Anselmi dimostra il talento nella resa del nudo e dell’effetto illusionistico-prospettico. Nel 1764, avvenne l’incontro con Antonio Galli Bibiena, chiamato a Verona per l’allestimento del teatro Filarmonico. Giorgio Anselmi realizzò il soffitto raffigurante Lucifero e l’Alba scacciano le tenebre. Grazie a questo incontro, Giorgio Anselmi fu chiamato ad affrescare la cupola del Duomo di Mantova. La posizione di rilievo assunta procurerà a Giorgio Anselmi il ruolo di maestro di settimana per diversi anni all’interno dell’Accademia dei pittura di Verona e commissioni per la realizzazione di apparati decorativi per solenni processioni. Inoltre, per il palazzo di Pier Antonio Serpini nei pressi del Duomo Giorgio Anselmi realizzò una delle decorazioni di maggiore rilievo, riproponendo nel soffitto del salone l’Olimpo. Giorgio Anselmi provò a insediarsi anche nel territorio vicentino, dove, tuttavia, la predilezione per lo stile di Giambattista Tiepolo rendevano l’arte di Giorgio Anselmi poco apprezzata. A Bassano del Grappa si conserva la decorazione per la chiesa parrocchiale e il già citato ciclo decorativo di Palazzo Ferrari Stum. Negli ultimi venti anni d’attività Giorgio Anselmi esibisce una pittura dai modi aggraziati e grandiosi, dove si può cogliere una reviviscenza del decorativismo rococò. In questi anni si distacca dal contemporaneo recupero dei modelli archeologici in pittura per uno stile che riprende i modi e l’esuberanza del barocco. Nel 1775 Giorgio Anselmi realizza la decorazione della galleria dei Fiumi presso Palazzo Ducale a Mantova e gli fu affidato l’incarico di decorare la grande volta di Juvarra nel Duomo della città. L’affresco, raffigurante il trionfo della chiesa, fu particolarmente elogiato da Francesco Antoldi nel 1871. L’eco dell’impresa mantovana nel 1795 gli consentì di ricevere una simile commissione nel Duomo di Lendinara, nei pressi di Rovigo, iniziò a dipingere la cupola del duomo dove due anni dopo morì cadendo da un'impalcatura il 30 marzo 1797