22 marzo 1486

L’avvio ufficiale per derivare acqua dal Piave a Pederobba e scavare il canale derivatore Brentella risale al 22 marzo 1436 quando il Consiglio dei Pregadi della Serenissima Repubblica Veneta decise di dar corso alla richiesta formulata solo due mesi prima dalla Città di Treviso, che, facendosi interprete di un bisogno che ormai da anni era ben noto, supplicava di dare rimedio allo stato assai critico di un territorio che per sua natura, fortemente ghiaioso e privo di idrografia naturale superficiale, non disponeva dell’elemento fondamentale per consentire la vita, cioè l’acqua. Si decise di estrarre l’acqua dal Piave a Pederobba e di costruire un canale, al fine di irrigare e provvedere all’abbeveraggio di 59 villaggi della campagna dell’alta pianura trevigiana. I lavori ebbero inizio subito ma si protrassero per molti anni con notevoli difficoltà. A coordinare la costruzione e l’utilizzo della derivazione fu istituito uno specifico “collegio” di 12 esperti prima di 3 poi, che avevano sede a Treviso e che avevano tra l’altro il gravoso compito di risolvere le controversie legate all’acqua derivata, numerose e pesanti fin dai primi tempi. Erano i primi fondatori del Consorzio irriguo del Canale Brentella di Pederobba, il primo e più importante consorzio nato nel Veneto per gestire un’opera che tutti, senza alcun dubbio, ritenevano di fondamentale importanza per la vita e la sopravvivenza nel territorio interessato. Le difficoltà si rivelavano soprattutto nel garantire la costanza della derivazione, specie a causa del frequente deposito di materiale che tendeva ad ostruire la bocca di presa dal Piave. Si era messa in dubbio anche la posizione geografica della presa, posta per alcuni troppo a nord, sollevando il dubbio che in realtà fosse corretta la posizione di presa del canale Piavesella, costruito più o meno negli stessi anni, con prelievo a nord di Nervesa, all’estremità est del Montello. Ci pensò Frà Giocondo, insigne letterato, ingegnere, architetto dell’epoca, a fornire la necessaria conferma alla bontà della scelta di derivare a Pederobba, che, come è evidente, si rivelò corretta. Per l’intera sua durata il governo della Serenissima Repubblica Veneta contribuì a favorire l’irrigazione della campagna trevigiana e ad estendere il beneficio del canale. Peraltro riconobbe sempre in capo alla Città di Treviso l’onere di amministrare la costruzione e la condotta del canale e delle acque derivate. La Città di Treviso stabilì la ripartizione delle acque a favore delle singole comunità. Svariati problemi nacquero per la inevitabile corsa allo sfruttamento della forza motrice che l’acqua del canale compiendo vari salti di quota metteva a disposizione. L’attività degli opifici si rivelavano spesso in contrasto con l’utilizzo irriguo e più volte si ordinò la loro demolizione, fino a riconoscerne l’importanza per la vita e l’economia dei villaggi, ma stabilendo regole precise per la loro costruzione ed esercizio, riportate in vere e proprie “concessioni”, in modo che comunque non ostacolassero la vera funzione del canale, quella di portare acqua per il consumo umano, gli animali e per l’irrigazione dei campi. Dopo la caduta della Repubblica Veneta ed il breve periodo di governo austriaco fu il momento del primo Regno d’Italia. In questo periodo la normativa idraulica ebbe un sostanziale ammodernamento: tra il 1804 ed il 1808 avvenne di fatto l’istituzione del Consorzio irriguo Brentella di Pederobba, come consorzio tra gli utilizzatori, di fatto i Comuni, gli opificianti, i privati derivatari. Fu nominata una Presidenza del Consorzio e adottato uno specifico Regolamento, con il quale furono stabiliti due ordini di canali, i principali di competenza del Consorzio, i secondari in gestione ai rispettivi beneficiari, ovvero i Comuni, cui man mano villaggi e parrocchie venivano aggregati. Fu allora che cominciarono a manifestarsi differenze tra i Comuni più prossimi al canale o alla presa, che godevano di condizioni di alimentazione tutto sommato costante e soddisfacente da quelli posti più a valle, che lamentavano condizioni di servizio non costanti, specie nei mesi estivi quando spesso l’acqua veniva a mancare. Si cominciò già allora, era il 1834, ad ipotizzare un ampliamento dei canali. Il Governo Austriaco, subentrato a quello del I Regno d’Italia, mantenne sostanzialmente inalterate la normativa, confermando autorità e funzioni del Consorzio.


22 marzo 1848

Venezia appartiene all'impero austriaco e il malumore serpeggia in città. La notizia che anche in Austria è scoppiata una rivolta contro il governo Venezia appartiene all'impero austriaco e il malumore serpeggia in città. La notizia che anche in Austria è scoppiata una rivolta contro il governo, spinge la popolazione a scendere in piazza e a chiedere la liberazione di due "sovversivi" dell'epoca: Niccolò Tommaseo e Daniele Manin arrestati solo un paio di mesi prima. Il cedimento dimostrato dal governatore, con il rilascio dei due patrioti, spinge la città e lo stesso Daniele Manin a premere sull'acceleratore. In poche ore la situazione precipita: ci furono morti e feriti e ormai, nonostante il tentativo di trattare da parte del governatore austriaco, Manin, che divenne il punto di riferimento politico dei rivoltosi, si convince ad andare fino in fondo innescando una vera e propria rivoluzione. Era sua convinzione liberarsi del governo austriaco per partecipare attivamente ad un progetto che, dopo la proclamata Repubblica di San Marco, scomparsa ormai mezzo secolo prima, comprendesse una sorta di unità federale d'Italia in grado di opporsi al potere austriaco. Rinasce così, il 22 marzo del 1848, la Serenissima in versione moderna. Manin viene eletto presidente ma questo stato dei fatti dura appena poco più di un anno. Venezia è l’ultima città d’Europa a resistere agli Asburgo. Il 22 una delegazione si reca nella terraferma mestrina, a Marocco, per trattare la resa di Venezia. Il 24 agosto il Governo provvisorio, con la dichiarazione di Manin, chiude la propria esperienza; il governo della città viene assunto dal podestà Correr e da 14 membri. Daniele Manin guida la lista dei 40 esiliati. E la poesia di Arnaldo Fusinato descrive in maniera straordinariamente commovente e incisiva le giornate conclusive di quello che è, almeno per il momento, l’ultimo periodo di indipendenza del nostro popolo. Ode a Venezia E’ fosco l’aere, il cielo e’ muto,ed io sul tacito veron seduto, in solitaria malinconia ti guardo e lagrimo, Venezia mia! Fra i rotti nugoli dell’occidente il raggio perdesi del sol morente, e mesto sibila per l’aria bruna l’ultimo gemito della laguna. Passa una gondola della città. ”Ehi, dalla gondola, qual novità ? ””Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca!” No, no, non splendere su tanti guai, sole d’Italia, non splender mai; e sulla veneta spenta fortuna si eterni il gemito della laguna. Venezia! l’ultima ora e’ venuta; illustre martire, tu sei perduta… Il morbo infuria, il pan ti manca, sul ponte sventola bandiera bianca! Ma non le ignivome palle roventi, ne’ i mille fulmini su te stridenti, troncan ai liberi tuoi di’ lo stame… Viva Venezia! Muore di fame! Sulle tue pagine scolpisci, o Storia, l’altrui nequizie e la sua gloria, e grida ai posteri tre volte infame chi vuol Venezia morta di fame! Viva Venezia! L’ira nemica la sua risuscita virtude antica; ma il morbo infuria, ma il pan le manca… Sul ponte sventola bandiera bianca! Ed ora infrangasi qui sulla pietra, finché e’ ancor libera, questa mia cetra. A te, Venezia, l’ultimo canto, l’ultimo bacio, l’ultimo pianto!