15 marzo 1529

Inizia l'assedio di Monopoli. Fu un episodio della Guerra della Lega di Cognac. Quest'ultimo episodio è molto importante per la riconquista di diversi porti della Puglia, che da anni erano in mano della Repubblica di Venezia e del Regno di Francia. L'assedio, che vede come vincitore effettivo la Repubblica di Venezia, sarà una sostanziale vittoria per l'Impero spagnolo, che grazie alla resa finale di Venezia, si impadronirà dei maggiori centri commerciali della Puglia. Con la riconquista di Monopoli l'Impero spagnolo si impone in Europa come maggiore potenza marittima e militare. Nella notte del 19 marzo le truppe imperiali approntarono due bastioni a punta, uno davanti al torrione delle Pignate e l'altro presso quello di Santo Stefano, dietro i quali piantarono l'artiglieria. I cannoni iniziarono a battere la zona del porto tirando un totale di circa 25 colpi ciascuno che causarono danni lievi alle mura. I veneziani risposero al fuoco con due falconetti che invece inflissero gravi perdite al nemico inoltre fortificarono i tratti di mura bersaglio dei cannoni nemici, aiutati dai monopolitani, 800 dei quali avevano preso le armi. La notte successiva gli imperiali irrobustirono i bastioni e i ripari a protezione dell'artiglieria e dei guastatori e iniziarono a battere le torri su cui erano posizionati i falconetti per neutralizzarli. Nondimeno i veneziani riuscirono a mettere fuori uso due cannoni. Alfonso d'Avalos fu costretto a richiedere a Scipione da Somma altri due cannoni ed altrettanti mortai. Il marchese di Vasto aveva fin qui sottovalutato le difese di Monopoli, in parte perché male informato da spie e disertori, i quali gli avevano riferito che le fortificazioni della città erano deboli, in parte perché faceva affidamento sui suoi contatti che gli avrebbero permesso di catturarla con un colpo di mano, facendogli perdere solo una manciata di giorni. Il 22 marzo le trincee raggiunsero le mura e i cannoni cominciarono a bersagliare le navi che cercavano di entrare o uscire dal porto, in modo da interrompere i rifornimenti via mare alla città, che già scarseggiavano. Il Contarini, dopo aver scaricato viveri e munizioni dalle galee, uscì al largo con la Mosta e la Salomona per evitare che fossero distrutte. Per ovviare al problema dei rifornimenti si iniziò a fare la spola tra la città e le navi al largo per mezzo di piccole barche. Il Contarini fu poi inviato a Trani con la Salamona e la Mosta per rifornirsi di munizioni e caricare altri 300 fanti da Barletta. Tra il 22 e il 23 marzo l'artiglieria imperiale riuscì ad abbattere sia la torre che il campanello dove si trovavano i due falconetti, senza però danneggiarli. Nella notte successiva si scoperchiò la torre realizzando una terrazza e si riposizionarono i due pezzi d'artiglieria leggera. Il giorno successivo giunse in porto la Bondimiera, proveniente da Valona, da cui furono scaricate due colubrine e i veneziani furono informati da un disertore guascone che il marchese di Vasto aveva intenzione di realizzare una batteria di cannoni per poi tentare un assalto. Alle tre di notte del 25 marzo gli imperiali iniziarono a tirare con i mortai sulle mura della città causando danni modesti mentre l'artiglieria veneziana risultava poco attiva per la scarsità di munizioni. Nel frattempo gli assediati scoprirono che nella casa di Marco Antonio Palmier, addossata alle mura, si trovava una falsa porta da cui intendevano penetrare i nemici. Il Vitturi lo fece arrestare e lo inviò a Venezia insieme ad altra gente sospetta per tradimento. Verso le ventuno si convocò un consiglio di guerra per decidere il da farsi, dal momento che i guastatori, avendo raggiunto le mura, si apprestavano verosimilmente a minarle. Si deliberò di costruire un ponte nel fossato con il favore delle tenebre e di farlo presidiare da 50-60 uomini coperti dall'artiglieria. In tarda nottata, i veneziani entrarono nelle trincee nemiche prendendo alla sprovvista guastatori e soldati spagnoli e facendone strage anche con l'ausilio dei "fuochi artificiati". L'accampamento imperiale si sollevò e accorse verso le mura per massacrare i fuoriusciti ma questi fecero in tempo a mettersi al sicuro al prezzo di pochi feriti. La sortita costò agli imperiali la perdita di almeno 500 uomini tra morti e feriti e sollevò il morale degli assediati. Nei giorni successivi proseguirono le sortite al fine di tenere impegnati gli assedianti, sebbene meno efficaci della prima. Nella notte tra il 26 e il 27 marzo gli imperiali si dedicarono alla realizzazione della batteria di cannoni che venne posizionata davanti al torrione di San Rocco. I veneziani cercarono di disturbarne le operazioni tirando l'artiglieria in modo da ritardarne l'approntamento il più possibile. Vitturi inviò un messaggero a Zara per chiedere al provveditore Pesaro di fornirgli quante più munizioni e polvere da sparo possibile dal momento che Monopoli ne era ormai a corto e senza di esse non avrebbe potuto resistere a lungo. Il 27 marzo la Pisana sbarcò 130 fanti ma due ore dopo la Mosta naufragò incagliandosi contro le rocce presso Porta Nuova. Il disastro costò la vita a 30-40 uomini della compagnia di Giovanni Calabrese e determinò la perdita totale del carico che includeva denaro per la paga dei soldati e 50 barili di polvere e palle di cannone. Vitturi cercò di rimediare inviando il Morosini a Cattaro e a Ragusa per recuperare polvere e munizioni, nel frattempo ordinò di tirare solo a bersaglio sicuro malgrado le rimostranze dell'Orsini. L'assenza di denaro per pagare i soldati non fece che peggiorare la situazione, sebbene le proteste, sino a quel momento, fossero limitate agli uomini inviati da Renzo dell'Anguillara e a parte dei monopolitani. Tra il 27 e il 30 marzo gli imperiali allargarono le trincee e rinforzarono la batteria di cannoni pressoché incontrastati e il Morosini non riuscì a salpare alla volta di Cattaro a causa delle condizioni del mare. Il Vitturi allora ebbe l'intuizione di far leva sul basso morale dei nemici ed aumentare i dissidi tra italiani e spagnoli. Fece annunciare un bando preceduto da squilli di tromba in cui, a nome del re di Francia, invitava i soldati italiani a passare dalla parte dei veneziani promettendo che sarebbero stati pagati e trattati bene. Nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile giunsero a Trani tre galee, una guidata dal Contarini con 80 uomini, una da Giovanni Corrado Orsini con 100 uomini e una da Giacomo da Mosto con altri 100 uomini. La mattina del giorno successivo si scatenò una tempesta tale da spezzare le gomene e far imbarcar talmente tanta acqua ad una galea da farla affondare con la perdita di alcuni uomini ma il salvataggio di gran parte del carico; altre due galee andarono alla deriva e non riuscirono a tornare in porto. Al 2 aprile quindi restarono a Monopoli solo la Pisana e la Marcella (dal momento che la Bondimiera versava in cattive condizioni e sarebbe stata riparabile solo con grandi spese) e il Vitturi pregò il provveditore Pesaro di fornirgli 2-3 galee. Non ebbe maggior fortuna il Morosini che al 6 aprile non era ancora riuscito a trovare munizioni a sufficienza a Ragusa. Nel frattempo Alfonso d'Avalos, dopo aver perso circa 1.500 uomini tra morti e feriti e 3 cannoni dall'inizio dell'assedio, decise di arretrare l'accampamento di un miglio, portandosi quindi a circa tre miglia dalle mura. Alla fine del mese, Monopoli era così difesa: Camillo Orsini con i suoi stipendiati, Orazio da Carpegna con 250 fanti, Giulio da Montebello con 250 fanti, Ricciardo da Pitigliano con 270 fanti, Angelo Santo Corso con 80 fanti, Giulio da Macerata con 120 fanti, Raffaele da Ravenna con 110 fanti, Paolo Antonio Ferrarese con 140 fanti, Cherubino da Spoleto con 110 fanti, Giovanni Calabrese con 130 fanti (90-100 dopo il naufragio della Mosta), Augusto con 130 fanti e circa 800 monopolitani per un totale di circa 2.350 uomini. A questi si aggiungeva il piccolo contingente di cavalleria costituito da Piero Frassina con 70 cavalieri e da Alvise Mattafari con 40 cavalieri per un totale di 110 uomini. L'artiglieria era composta da almeno due colubrine e due falconetti, infine la città poteva disporre di 4-5 galee e una galeotta. Il 2 aprile il Vitturi e l'Orsini fecero realizzare tre false porte, diversi controfossi e una trincea parallela al fossato in modo da intercettare eventuali cunicoli nemici minati ed accogliere le macerie causate dal bombardamento nemico; si distinse ancora una volta Orazio da Carpegna che riuscì a sottrarre fascine agli spagnoli incontrando scarsa resistenza. In quello stesso giorno gli imperiali riuscirono ad intercettare e catturare con due navi provenienti da Mola una marciliana che stava entrando a Monopoli, oltre a un brigantino e tre barche uscite per caricare fascine; il 6 aprile la batteria verso San Rocco riuscì ad affondare un brigantino veneziano. Nella notte tra il 2 e il 3 aprile crollò un tratto di cinque passi di mura presso il torrione delle Pignate a causa delle cavità naturali sottostanti e del peso aggiuntivo determinato dai ripari; la breccia fu sistemata con grande rapidità dai difensori. Nel campo nemico gli italiani, rimasti senza paga da molti giorni e a cui veniva impedito di lavorare nelle trincee per paura che disertassero, iniziarono a passare dalla parte dei veneziani a piccoli gruppi; per sicurezza il Vitturi li inviò a Barletta. Il 6 aprile una delle trincee nemiche raggiunse il torrione di San Rocco senza che i veneziani riuscissero a contrastare efficacemente i guastatori a causa della penuria di munizioni. Il Vitturi si scontrò con l'Orsini che voleva effettuare una sortita con 300-400 uomini al fine di evitare che gli imperiali riuscissero ad aprire una breccia in quel tratto di mura; alla fine furono inviati trecento guastatori che aumentarono la profondità del fossato sino a raggiungere il livello del mare, minacciando di allagarlo qualora i nemici avessero cercato di riempirlo con fascine e detriti per livellarlo con il terreno soprastante. Il 10 aprile si era ormai molto ridotto il numero di guastatori attivi nelle trincee dal momento che da una parte gli imperiali non si fidavano degli italiani, dall'altra le sortite e l'artiglieria veneziana avevano fatto strage di guastatori spagnoli per cui si aveva difficoltà a reclutarne di nuovi. Il 18 aprile il Vitturi chiese al provveditore Pesaro di passare da Barletta per caricare le sue galee con i 1.500 uomini messi a disposizione a Renzo dell'Anguillara. Quest'ultimo, per far sollevare l'assedio di Monopoli, reputava si dovessero attaccare Molfetta e Giovinazzo. Il Vitturi però gli chiese di farli sbarcare a Monopoli perché riteneva prioritario sconfiggere gli assedianti così da infliggere un colpo mortale nel morale del nemico, già compromesso da oltre un mese di assedio. Attaccare le due cittadine avrebbe inoltre comportato un consumo di viveri, munizioni, polvere e denaro che non ci si sarebbe potuti permettere. Il 2 maggio, dopo un consiglio di guerra, si deliberò di far assaltare le trincee dalla parte del torrione delle Pignate da Paolo Antonio da Ferrara, il migliore dei capitani di bentura di Barletta, insieme ad altri 30 uomini, quelle davanti alla Porta Vecchia da Angelo Santo Corso insieme a 120 fanti; affinché si potessero distinguere gli alleati dai nemici fu ordinato di apporre una fascia bianca sopra le armi. I nemici opposero una strenua resistenza presso Porta Vecchia poiché lì vi era una delle batterie. Dopo qualche giorno vi fu una nuova sortita di 100 fanti armati dalla parte delle mura chiamata delle Pignate: un incendio divorò gli appostamenti nemici e fu vanificato il lavoro di un mese. Dal 3 al 9 maggio, secondo alcuni testimoni oculari, Alfonso d'Avalos non uscì dal suo padiglione, scoraggiato dall'andamento dell'assedio. Spie riferirono ai veneziani che il marchese si era abboccato con Filiberto di Chalons il quale, benché alquanto infastidito per un assedio durato molto più del previsto, gli aveva ordinato di proseguirlo in quanto cedere avrebbe significato far esplodere rivolte in tutta la Puglia e sarebbe stato disonorevole. Il 9 maggio gli imperiali furono rinforzati da sette compagnie del Maramaldo per un totale di circa 500 uomini e da altre tre spagnole ma l'Avalos non aveva denaro per pagarle e pensava di sfruttarle per coprire la ritirata. Gli imperiali, il 28 maggio 1529, visti inutili i propri sforzi, scoraggiati dalla defezione di molti degli italiani e delle truppe di Maramaldo (che a corto di viveri e mal pagate nel frattempo si erano date al saccheggio del territorio), abbandonarono il terreno e si trasferirono a Conversano e di là infine a Napoli. Con il cessare del pericolo, sorsero disordini in città determinati dalla mancanza di rifornimenti e dal cronico ritardo delle paghe. Furono saccheggiati due magazzini; l'Orsini fece subito impiccare due uomini rei del fatto e prese la decisione di rinviare a Barletta gli scontenti. Nel novembre del 1529 Venezia firmò la pace con Carlo V, consegnando all'Imperatore le città di Monopoli, Barletta e Trani. Nel 1530 Monopoli viene ceduta da Venezia a Carlo V: nella città entrarono così gli imperiali spagnoli e tra essi Diego Borrassa o Borrassà, nobile di Valencia, cui viene affidato il comando della piazza monopolitana.


15 marzo 1591

Vengono istituite le prigioni dei Piombi, al di là del Rio di Palazzo,
essendo divenute inopportune le celle interne al Palazzo Ducale anche in seguito ad alcuni incendi scoppiati al loro interno, che avevano messo in pericolo la sede centrale del governo stesso di Venezia. Nel 1589 l'architetto Antonio da Ponte aveva ripreso la costruzione già iniziata con la parte interna nel 1563 da G. A. Rusconi. Una volta ultimato, lo stabile ospiterà anche la Magistratura dei Signori de Notte al Criminal. Per collegare direttamente le prigioni al Palazzo Ducale verso l'anno 1600 Antonio Contino di Bernardino costruirà il ponte pensile, universalmente noto come "Ponte dei Sospiri".