4 marzo 1476

Viene eletto Doge Andrea Vendramin nasce a Venezia 1393 , muore il 5 maggio 1478 è stato il 71 ° Doge di Venezia. Nacque, secondogenito dopo Luca, da Bartolomeo Vendramin e da Maria Michiel. La sua era una casata di recentissima affermazione, entrata nel patriziato nel 1381 grazie ai contributi offerti alla Repubblica dall'omonimo nonno, mercante di origini friulane, in occasione della guerra di Chioggia.Il padre, già al secondo matrimonio e anziano, morì quando aveva solo due anni. Ad occuparsi della sua educazione fu quindi la famiglia materna, che a differenza di quella paterna era di nobiltà antica e riconosciuta. Entrato in Maggior Consiglio il 3 dicembre 1418, poco dopo fu accusato di sodomia assieme al fratello, venendo tuttavia scagionato già il 16 marzo 1419. In questo periodo, va detto, il Consiglio dei Dieci aveva intrapreso un'accanita campagna per estirpare la piaga dell'omosessualità, tuttavia si ritrovò impreparato quando le indagini presero a coinvolgere personalità politiche, ecclesiastiche e delle arti di mestiere. Nel 1426 sposò Regina Gradenigo, proveniente da un'altra prestigiosa famiglia e discendente dal doge Bartolomeo Gradenigo. Gli diede una numerosa prole: sette maschi (Bartolomeo, Nicolò, Alvise, Giovanni Francesco, Paolo e Girolamo) e almeno quattro femmine (Felicita, Orsa, Clara e Taddea, a cui forse vanno aggiunte Angela ed Elena). La carriera politica del Vendramin si svolse sottotono per molti anni e solo in età avanzata subì un'impennata. Nel 1422 era caposestiere di Cannaregio, mentre fu eletto stabilmente in Senato non prima del 1440 e fino al 1453. Partecipò a poche missioni diplomatiche e non sembra aver assunto rettorati al di fuori del Dogado. La tradizione spiega questo fatto con l'isolamento che la sua famiglia subì da parte delle casate più antiche e prestigiose. Tuttavia, è più probabile che Vendramin avesse trascurato la vita pubblica per dedicarsi alle attività imprenditoriali e mercantili; sappiamo infatti che con il fratello fu occupato nel commercio di seta e di grano e nella produzione di sapone. Di certo non dovettero aiutarlo le accuse subite in giovane età. Tra il 1449 e il 1450, peraltro, sedette nel Consiglio dei Dieci e nel trattare alcuni casi di sodomia assunse un atteggiamento molto cauto, che molti giudicarono con sospetto. Un altro episodio spiacevole avvenne nel 1454, quando lui e il fratello furono colpiti dalla crisi bancaria di quegli anni, aggravata da una vertenza insorta con un cassiere del banco Soranzo. Ciononostante, tra la fine dello stesso anno e l'inizio del successivo Andrea continuava a investire nel commercio di frumento, tanto da risultare creditore verso i Provveditori alle biade. La sua attività politica si fece più intensa dalla metà degli anni 1450. Consigliere ducale nel 1454-55, nel 1458 e nel 1466, tornò nel Consiglio dei Dieci dal 1455 al 1457, anche in veste di capo e inquisitore. Inoltre, a partire da Pasquale Malipiero (1457), il Vendramin risultò costantemente tra gli elettori dogali o tra i correttori della promissione. Nel periodo 1463-66 fu savio del Consiglio e intervenne più volte in Senato (solitamente su questioni di materia economica) dimostrando notevole equilibrio. A fine giugno 1467 fu nominato procuratore di San Marco de citra; durante questo mandato subì delle critiche per la libertà con cui amministrava le risorse a lui affidate, tanto che il 24 febbraio 1474 il Maggior Consiglio vietò ai procuratori di investire questi beni «in colliganciam». Nello stesso periodo fu scelto, con Ludovico Foscarini, per una missione presso papa Paolo II, ma entrambi rinunciarono per le loro cattive condizioni di salute. La sua elezione a doge, il 5 marzo 1476, fu segnata dalle critiche di Filippo Tron che lamentava la recente nobiltà della sua famiglia. Grazie al suo cospicuo patrimonio poté elargire grandi quantità di denaro al popolo che lo festeggiava in piazza San Marco. Proveniente dal ceto mercantile e imprenditoriale, anche in qualità di doge il Vendramin lavorò a diverse questioni riguardanti traffici, tasse e mutui. Per esempio si preoccupò di raccogliere denaro per finanziare l'annoso conflitto contro i Turchi, garantendo in prima persona i prestiti che il banco Soranzo concedeva al governo. La sua politica di controllo diretto sull'esazione fiscale fu adottata anche dai dogi successori, nonostante i limiti imposti dalla promissione ducale. Ebbe un atteggiamento moderato per quanto riguarda la giustizia: non risultò mai tra i proponenti di pena nei processi e, anzi, fu molto attivo nel concedere grazie. La sua irreprensibilità fu messa in dubbio per l'atteggiamento "morbido" nei confronti del figlio Bartolomeo, esiliato nel feudo di famiglia di Latisana: rimase inerte quando questi, nonostante la condanna, tornò a Venezia nel 1477 e intervenne solo quando il savio di Terraferma Ludovico Lando aveva posto la scandalosa questione all'esame del Senato. Morì nella notte del 6 marzo 1478. Il suo ragguardevole patrimonio, circa 160 000 ducati, fu ereditato dai figli maschi ancora in vita e dal nipote Daniele. Come da sue disposizioni, fu sepolto nella chiesa di Santa Maria dei Servi. Nel 1815, con la demolizione del luogo sacro, l'arca fu trasferita nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Vendramin morì nel 1478, dopo un regno di soli 2 anni. La sua vedova ha sposato il fratello Luca Vendramin.
Tratto da Wikipedia


4 marzo 1678

Antonio Lucio Vivaldi, nasce a Venezia, suo padre Giovanni Battista Vivaldi, era un violinista professionista che insegnò a suonare anche al suo giovane figlio. Tramite suo padre, Vivaldi incontrò e imparò da alcuni dei migliori musicisti e compositori di Venezia in quel momento. Mentre la sua pratica del violino fioriva, una mancanza cronica di respiro gli impediva di padroneggiare strumenti a fiato. Vivaldi ha seguito la formazione religiosa e l'istruzione musicale. All'età di 15 anni, ha iniziato a studiare per diventare sacerdote. Fu ordinato nel 1703. A causa dei suoi capelli rossi, Vivaldi era conosciuto localmente come "il Prete Rosso. La carriera nel clero fu di breve durata. I problemi di salute gli hanno impedito di tenere la messa e lo hanno spinto ad abbandonare il sacerdozio poco dopo la sua ordinazione. All'età di 25 anni, Antonio Vivaldi è stato nominato maestro di violino presso l'Ospedale della Pietà di Venezia. Qui ha composto la maggior parte delle sue opere per circa tre decenni. L'Ospedale era un'istituzione in cui gli orfani ricevevano insegnamenti, i ragazzi nei commerci, le ragazze nella musica. I musicisti più talentuosi sono stati uniti a un'orchestra che ha suonato le composizioni di Vivaldi, compresa la musica corale religiosa. Sotto l'orchestra ha attirato l'attenzione internazionale. Nel 1716, fu promosso direttore musicale. Oltre alla sua musica corale e ai suoi concerti, Vivaldi aveva iniziato a scrivere regolarmente partiture d'opera. Le sue due opere liriche di maggior successo, La costanza trionfante e Farnace, sono stati eseguiti anche oltralpe, Vivaldi ha accettato una serie di concerti a breve termine finanziate da patrocinatori a Mantova e Roma. Fu durante il suo mandato a Mantova, dal 1717 al 1721 circa, che scrisse il suo capolavoro in quattro parti, Le quattro stagioni. Ha abbinato i pezzi a quattro sonetti. Tra i sostenitori troviamo membri di famiglie reali europee. Una delle sue cantate, Gloria e Imeneo, è stato scritto appositamente per il matrimonio di re Luigi XV. Era anche un favorito dell'imperatore Carlo VI, che onorò Vivaldi pubblicamente nominandolo un cavaliere. La fama di compositore e musicista non si è tradotto in un successo finanziario duraturo. Eclissato da compositori più giovani e stili più moderni, Vivaldi lasciò Venezia per Vienna, in Austria, probabilmente sperando di trovare una posizione nella corte imperiale. Si ritrovò senza un mecenate di rilievo dopo la morte di Carlo VI, e morì in povertà a Vienna il 28 luglio 1741. Fu sepolto in una semplice tomba dopo un funerale che procedette senza musica. Musicisti e studiosi resuscitarono la sua musica all'inizio del XX secolo, furono recuperate opere sconosciute. Alfredo Casella, amava molto la musica di Antonio Vivaldi, tanto che nel 1939 dedicò la prima “Settimana Musicale Senese” dell’Accademia Chigiana in settembre al musicista veneziano: la riscoperta del grande genio barocco si deve quindi anche alla sua sensibilità e alla sua intuizione. La musica di Vivaldi è stata eseguita ampiamente dopo la seconda guerra mondiale. La composizione corale Gloria, reintrodotto al pubblico dal Casella è particolarmente famosa e viene eseguita regolarmente durante le celebrazioni natalizie in tutto il mondo. La musica di Vivaldi, ha influenzato i compositori successivi, tra cui Johann Sebastian Bach.


4 marzo 1840

muore a Roma Domenico Pellegrini (nasce a Galliera Veneta, 19 marzo 1759) è stato un pittore neoclassico. Non esistono relazioni di parentela con Giovanni Antonio Pellegrini, altro pittore veneto viaggiante. Domenico Pellegrini nacque a Galliera Veneta nel 1759. Avviato alla professione di parrucchiere, presto la abbandonò per cimentarsi nella pittura, frequentando prima l'Accademia di Belle Arti di Venezia come allievo di Ludovico Gallina, e, successivamente, la bottega di Domenico Corvi a Roma. A Venezia, tuttavia, ebbe contatti con svariati artisti, tra i quali Antonio Canova, del quale fu amico per tutta la vita, tant'è che su invito stesso del Canova, Pellegrini trascorse un periodo a Napoli, prima di tornare a Roma e, in seguito, partire per Londra. Nel 1792 partì per Londra, dove si mise a frequentare la Royal Academy of Arts, incoraggiato dall'amico e mentore Francesco Bartolozzi, cui dedicò un ritratto. Visse per lungo tempo nella capitale inglese, partecipando a diverse mostre. Nel 1803, però, si trasferì a Lisbona, sempre su consiglio del Bartolozzi, che già vi risiedeva, dopo aver considerato il clima di tensione politica presente all'epoca, essendo l'Inghilterra in guerra contro la Francia di Napoleone. Pellegrini lasciò Lisbona nel 1810, in seguito alla Setembrizada, l'occupazione del Portogallo per la seconda volta da parte delle truppe di Napoleone; ugualmente venne deportato nell'isola di Terceira nelle Azzorre. Fuggitovi, scappò a Londra, dove trovò un riparo sicuro fino al 1816, anno in cui scelse di ritornare in Italia. Nel Bel Paese vi tornò da benestante ed operò soprattutto a Roma e Milano. Da questo momento iniziarono i suoi innumerevoli viaggi in giro per l'Europa, tra cui possiamo citare Parigi (1816-1817, 1819, 1821, 1822). Nel 1821 si incontrò con Canova a Possagno. A Lisbona ha fatto il ritratto del Barone di Quintela, uno dei fondatori del Teatro Reale di San Carlos - Opera di Lisbona. Questo ritratto è di proprietà del teatro.
Tratto da Wikipedia


4 marzo 1861

muore Ippolito Nievo. Nasce a Padova il 30 novembre 1831, autore di “Le confessioni di un italiano”, garibaldino convinto, lo troviamo volontario fra i Cacciatori delle Alpi nel 1859 e successivamente partecipa alla Spedizione dei Mille, salpando da Quarto nel maggio del 1860 a bordo del Lombardo. Si distinse nella battaglia di Calatafimi e venne nominato colonnello, con il compito di riportare a Torino i documenti relativi alle entrate e alle uscite della spedizione e a tal fine si imbarca nella nave a vapore Ercole in partenza da Palermo il 4 marzo 1861, a pochi giorni dalla fatidica proclamazione del Regno d’Italia. Nella notte, durante la navigazione da Palermo a Napoli la nave si inabissò e, cosa stranissima, il mare non restituì nulla, né cadaveri (78 i passeggeri) né parti della nave, né le merci imbarcate (233 tonnellate). Dopo la tragedia ci fu l'inchiesta ma tutto venne prontamente insabbiato; ci furono roventi polemiche fra il partito di Garibaldi e quello di Cavour. I garibaldini erano accusati di una gestione “allegra” e cialtronesca delle finanze e che quindi era loro interesse far sparire le prove, i cavouriani di un’operazione compiuta da agenti segreti finalizzata a far scomparire documenti scottanti. Fu, un secolo dopo, un discendente di Ippolito, lo scrittore Stanislao Nievo, a tentare di far luce sulla tragica fine del suo antenato, con il romanzo storico “Il prato in fondo al mare”, dove si parla di naufragio dovuto a esplosione, ma è soprattutto dal volume “La tragica morte di Ippolito Nievo.Il naufragio doloso del piroscafo Ercole” di Cesaremaria Glori, uscito nel 2010 ed edito da Solfanelli che, come si comprende dal titolo, viene data una lettura ben precisa dei tragici eventi. Nel libro di Glori si parla apertamente del ruolo della massoneria inglese, dei notevoli finanziamenti consegnati dalla stessa ai garibaldini a Talamone durante lo scalo, somma che doveva “sponsorizzare” lo sbarco dei Mille ma soprattutto fondamentale per “ungere” l’esercito borbonico (come avvenne), dell’ingente somma “rapinata” al Banco di Sicilia (si parla di 21 milioni di lire dell’epoca), di una gestione di questi soldi estremamente disinvolta. Di sicuro troppa gente preferiva che quei documenti sparissero…