Il 29 marzo 1430

Dopo giorni di assedio feroce cade la città macedone di Tessalonica, circondata da una possente cinta muraria dotata di cinque torri fortificate e ben armate, è posta sotto assedio dal giugno del 1422; la sua difesa è affidata al despota cittadino Andronico Paleologo, figlio dell’imperatore Manuele II. Nonostante la salute deficitaria di Andronico, l’esiguo numero di truppe e di pezzi di artiglieria a disposizione, la coraggiosa resistenza bizantina dura circa undici mesi. Nell’estate dell’anno successivo con la città ridotta alla fame e senza nessuna possibilità di liberarsi dell’assedio, il despota, appoggiato da Manuele II, chiama in soccorso i veneziani; nel giro di pochi mesi la trattativa diplomatica tra Venezia e l’impero bizantino va a buon fine. Il doge veneziano Francesco Foscari accetta la proposta imperiale e Tessalonica viene ceduta per 50.000 ducati: nel settembre del 1423 lo stemma del leone di San Marco si innalza fiero sulla città. Per invertire le sorti del conflitto il doge affida immediatamente una consistente flotta all’ammiraglio Pietro Loredan, il quale, grazie a continue incursioni negli stretti del Mar Egeo, riesce ad allentare momentaneamente la pressione ottomana. La violenza di Murad II però non si placa, gli attacchi via terra, sempre più impetuosi, aprono le prime brecce nella cinta muraria, mentre il blocco navale isola completamente Tessalonica, impedendo così qualsiasi tipo di aiuto e di rifornimento dal mare. Nella primavera del 1425 Venezia allestisce un’altra imponente flotta composta da venti galere e la affida al Capitano Fantino Michiel: la sua spedizione si rivela un successo, viene momentaneamente spezzato il blocco marittimo e vengono conquistate due fortezze importanti nella penisola calcidica, come Platamona e Cassandria. Per la Serenessima questo è il momento di provare ad intavolare delle trattative di pace con la Sublime Porta: viene inviato quindi un rappresentante della Repubblica che propone al sultano ottomano un tributo annuo di 200.000 aspri, una cifra molto più alta di quella versata precedentemente da Andronico. Ma la proposta veneta non viene accettata e l’inviato di San Marco viene incarcerato ad Adrianopoli. La guerra continua. Intanto la situazione all’interno delle mura è insostenibile, il cibo scarseggia, scoppiano le prime epidemie e molti cittadini tentano la via della fuga per evitare il massacro da parte degli assedianti a città perduta. Nemmeno l’accorato appello a resistere e a combattere del metropolita Simeone riesce a risvegliare un sentimento di appartenenza per fronteggiare con le ultime forze il nemico. Dopo quattro anni di assedio Tessalonica è sul punto di crollare, le mura sono irrimediabilmente danneggiate e le truppe sono esauste; la conseguente e disperata ricerca di aiuto nei principati limitrofi si rivela un insuccesso, molti infatti sono antagonisti dei veneziani, molti invece sono vicini alla Sublime Porta. Nel momento del bisogno Venezia si ritrova sola. Ma un nuovo evento, nel 1429, riaccende improvvisamente la speranza veneziana: il sultano Murad viene attaccato dal beilicato Karamanide, situato a sud della penisola anatolica e questo nuovo conflitto regala tempo prezioso alle armate veneziane, che hanno il tempo di riorganizzarsi e rinforzare le proprie difese. Lo scontro però, decisamente impari, termina ben presto e l’ondata ottomana riesce a travolgere anche questo nuovo avversario. Il sultano decide quindi di concentrare e convogliare tutte le sue forze verso Tessalonica per sferrare l’assalto decisivo. Dopo giorni di assedio feroce il 29 Marzo 1430 la città macedone, quella che era stata la seconda città più grande dell’Impero Romano D’Oriente, cade e subisce un pesante saccheggio di tre giorni. Dei cinquantamila cittadini che popolavano Tessalonica prima dell’assedio, solo settemila rimangono in vita dopo la caduta della città. Per il sultano ora la strada è finalmente spianata verso la conquista di Costantinopoli.


Il 29 marzo 1516

La Serenissima impose agli Ebrei di vivere in un gruppo di case chiuse in un recinto, sotto il doge Leonardo Loredan, la Serenissima emana un decreto in cui si impone che «Li Giudei debbano tutti abitar unidi in la corte de case, sotto il doge Leonardo Loredan, la Serenissima emana un decreto in cui si impone che «Li Giudei debbano tutti abitar unidi in la corte de case, che sono in ghetto appresso San Girolamo», e precisa che di notte non devono uscire da quel «recinto» aperto solo in due punti, controllati da «quattro custodi cristiani» pagati dagli ebrei stessi. Le due porte d’ingresso sono rimaste fi•no al 1797, quando Napoleone ordinò l’apertura e la •fine del ghetto. A Venezia da tempo viveva una comunità ebraica tollerata dal Governo che imponeva a questi “stranieri” tasse elevate, l’esclusione dalle cariche pubbliche, dalle arti e dai mestieri liberali, nonché dal possesso fondiario, ma che in cambio lasciava libertà di commercio del denaro, regolando soltanto i tassi dei prestiti. Alla Serenissima interessava tenere in città gli ebrei, perché in questo modo si garantiva anche la permanenza di capitali in tempi di crisi, che permettevano il credito ai poveri. Negli anni precedenti al 1516 molti altri ebrei avevano cercato protezione in città, scappando dall’entroterra a causa delle guerre. Presto il Ghetto assunse notorietà internazionale e, dopo i tedeschi, iniziò ad accogliere ebrei dai punti più disparati della diaspora, Spagna e Portogallo, italiani, marrani. Fino a raggiungere i quattromila residenti. Il che costrinse il doge, nel tempo, ad allargarlo. Nel giro di pochi metri vi sorsero cinque sinagoghe. «Era la strategia urbana del Governo veneziano, che contemperava il controllo delle minoranze con la loro accoglienza. C’erano regole anche severe, ma molte più erano le infrazioni che non venivano punite». «Viviamo in un’Europa dove si sono moltiplicati muri e fili spinati. In fin dei conti quello di Venezia fu il ghetto meno “ghetto” del mondo».