20 marzo 1441

Dedizione di Ravenna a Venezia, all’epoca la città, ancora di proprietà papale, aveva appena visto la fine della Signoria dei Da Polenta, e veniva da un lungo periodo di depressione economica. I veneziani a Ravenna, però, riuscirono a sollevare le sorti della città. Per ottenere il potere pagarono una forte tassa al papato, rinnovata di anno in anno. I veneziani rinnovarono il porto e il canale di Candiano, ricostruirono il centro, rafforzarono le fortificazioni e dettero un nuovo impulso all’economia cittadina. Fu in questi anni che Ravenna si abbellì di molti palazzi signorili che rifletterono il gusto in voga nella Serenissima. Questa fioritura, però, ebbe vita breve. Già nel 1509 i veneziani ne persero il possesso, a seguito della sconfitta nella battaglia di Agnodello. Nel 1512, infine, Ravenna fu tremendamente saccheggiata dalle truppe francesi di Gastone de Foix. Un colpo da cui Ravenna non si riprese più. Di ciò che fecero i veneziani a Ravenna rimangono poche tracce. Dopo il 1512, la città decadde con rapidità, perdendo tutto l’antico fasto. Nel Settecento, furono avviati grandi campagne di ricostruzioni, affidate soprattutto a Camillo Morigia, che diedero l’attuale aspetto tardobarocco, ma cancellarono molte delle opere rinascimentali. Con uno sguardo attento, tuttavia, se ne possono trovare tracce ancora oggi. L’edificio più importante del periodo veneziano a Ravenna è sicuramente la Rocca Brancaleone. Si tratta di una rocca dall’estetica gradevole, con le mura ben ritmate dai beccatelli, ed i tozzi torrioni circolari a incorniciare ogni angolo. Dalla rocca si vira verso il centro, in via Andrea Costa. Attorno alla sbilenca Torre Civica, così pendente da strozzare gli edifici attorno (sì, anche Ravenna ha la sua torre pendente), si trovano molte delle dimore dei patrizi veneziani a Ravenna. Basta alzare gli occhi, infatti, per accorgersi della presenza di antiche bifore e cornici in cotto, oltre ad altri dettagli gustosi. A Casa Maioli spicca la sua lunga canna fumaria ottagonale tra le due finestre a bifora di marmo, capace di rendere la facciata unica a Ravenna. Oppure Casa Melandri, schiacciata dalla torre, con le sue belle finestre ed il porticato. Purtroppo questi edifici hanno subito rimaneggiamenti anche molto recenti, tuttavia questi caratteri più veneziani sono ancora ben riconoscibili! Da qui ci si dirige in Piazza del Popolo, ovvero il fulcro del potere veneziano a Ravenna. La principale piazza di Ravenna fu in realtà aperta dai Da Polenta nel XIII secolo; tuttavia i veneziani ne rivoluzionarono l’aspetto. Nonostante molti lavori in epoca papale, si sono mantenuti alcuni caratteri peculiari veneti, a cominciare dalle due alte colonne davanti al palazzo comunale. Esse, infatti, richiamano quelle presenti in piazza San Marco nella stessa Venezia. Sulle cime si riconoscono Sant’Apollinare e San Vitale, i due patroni ravennati, mentre, in origine, vi era anche il Leone di San Marco, abbattuto nel 1509 dopo la fine del dominio veneto. I basamenti, con le formelle dell’oroscopo, sono tra i più belli di tutta la Romagna. Sul fianco della piazza si trova il Palazzetto veneziano, databile 1444. Tra gli edifici meglio conservati, mantiene intatto il suo bellissimo portico a cinque archi. I capitelli di marmo sono materiale di reimpiego, e portano le insegne addirittura del re goto Teodorico. La zona a sud della piazza conserva ancora molte abitazioni di epoca veneziana. Molte di esse sono state adattate, in tempi recenti, a scopo di bottega o negozio, tuttavia conservano ancora il loro fascino. È il caso della cosiddetta “casa veneziana” o Zabberoni, proprio dietro la Palazzina Veneziana. Alzando gli occhi oltre la tettoia colorata si scorgono le quattro finestre originali e le modanature ad intaglio, graziose ed eleganti. Così come il vicino Palazzo Lando, con la sue belle bifore, voluta dal podestà Vitale Lando, colui che promosse la costruzione di molti edifici veneziani a Ravenna. Proseguendo su via Raul Gardini appaiono Casa Succi e Palazzo Diedo, le eleganti terrazzine marmoree ricordano l’epoca veneziana. La casa meglio conservata, però, è Casa Ghigi, che conserva ancora il suo originale portico a cinque colonne. Sotto il portico, l’ingresso mantiene ancora la sua bella e lucente cornice in Pietra d’Istria. Scendendo verso via Roma, si raggiunge la testimonianza più bella dei veneziani a Ravenna. Nel monastero di Santa Maria in Porto, sede del MAR e della Collezione del mosaico contemporaneo, si trova la Loggetta Lombardesca, il capolavoro rinascimentale della città. Si tratta di una loggia in pietra d’Istria su due piani, armonica e ben bilanciata, opera degli architetti Lombardi, artisti di origine ticinesi, ma trapiantati a Venezia, degli inizi del Cinquecento. A conclusione del percorso si raggiunge la vicina Porta Mama. Qui, infatti, l’11 aprile 1512 si combatté la Battaglia di Ravenna, che rivoluzionò la scienza militare: per la prima volta i francesi usarono l’artiglieria in modo massivo, sconfiggendo così gli spagnoli, nonostante una netta inferiorità di uomini e disciplina. Un giorno importante per la storia dell’uomo, in un periodo in cui Ravenna, sebbene non più sotto il dominio di Venezia da tre anni, ne risentiva ancora la sua influenza.


20 marzo 1797

Mentre in tutto il Nord Italia dilaga la rivoluzione francese, Verona, Padova e Treviso rinnovano il giuramento di fedeltà alla Serenissima. Il 24 lo rinnovano Udine, Conegliano, Pordenone; il 25 Feltre, Belluno e il Cadore, Desenzano e la Val Sabbia; il 26 Vicenza; ai primi di aprile infine lo rinnovano Rovigo, Adria, Lendinara, Cologna Veneta, la Val Trompia e la Val Seriana. La tela di Francisco Goya, dipinta nel 1814 e oggi visibile al Museo del Prado a Madrid, rappresenta con grande forza narrativa e visiva gli orrori della repressione operata da parte dell’esercito napoleonico. Successe pure qui, ma non se ne parla. Lo stesso 20 Marzo il Senato riceve un dispaccio dai Deputati Pesaro e Corner, in viaggio verso l'incontro con Bonaparte. Tale dispaccio espone il doloroso stato delle Città e Terre trevisane e friulane, a causa delle vessazioni e delle enormi requisizioni messe in atto dai Francesi. Pesaro e Corner trasmettono anche gli attestati di fedeltà al Governo Veneto che vanno raccogliendo fra quei popoli vessati dagli invasori. Il Senato risponde con due Ducali del 21 Marzo 1797, spedite la sera del 22.La prima esprime il rammarico per le devastanti condizioni delle Province di Treviso, Conegliano, Sacile, Pordenone e Udine descritte dai Deputati nel loro Dispaccio del 20 Marzo. Porge poi le lodi del Senato ai Rappresentanti di quelle città per i loro impegno nel tentare di lenire i gravissimi disagi della popolazione mantenendo vivo il sentimento di sudditanza a Venezia.Questa Ducale si conclude con la raccomandazione ai Deputati di "accelerare in tutti i modi possibili" il loro colloquio con Bonaparte, raggiungendolo "in qualunque luogo, anche fuori del Veneto Stato". La seconda Ducale 21 Marzo 1797 si limita a trasmettere "copie tratte dalle stampe pubblicate in Bergamo", affinché i Deputati possano provare le gravi ingerenze francesi nel colpo di stato in quella città.