16 marzo 1431

La battaglia di Soncino fu una battaglia delle guerre di Lombardia, che si svolse nel marzo 1431. Fu combattuta tra gli eserciti della Repubblica di Venezia, comandate dal Conte di Carmagnola e del Ducato di Milano, sotto Francesco Sforza e Niccolò da Tolentino. All'inizio del 1430 il duca di Milano Filippo Maria Visconti, non potendo intervenire militarmente alla difesa di Lucca contro i fiorentini a causa della pace stabilita con papa Martino V, aveva finto di cacciare Francesco Sforza dal suo dominio, affidandogli in realtà il comando di alcune truppe e finanziando le operazioni militari in Toscana. Lo Sforza era riuscito a costringere il generale nemico Niccolò Fortebraccio a togliere l'assedio e aveva poi abbandonato la città sotto il pagamento di 70.000 fiorini da parte dei fiorentini. In seguito questi avevano ripreso le operazioni contro la città che, richiedendo ancora una volta l'aiuto dei milanesi e di Genova, aveva ottenuto il soccorso di un esercito guidato da Niccolò Piccinino che il 2 dicembre 1430 sbaragliò Guidantonio da Montefeltro nella battaglia del Serchio. Il 20 febbraio 1431 Martino V morì e al suo posto fu eletto il veneziano Eugenio IV. I veneziani, considerando rotta la pace stabilita dai milanesi con il precedente pontefice e ritenendo la situazione favorevole, mossero con un esercito guidato dal Carmagnola da Orzinuovi verso Soncino, borgo fortificato di grande importanza strategica in quanto posto a difesa di un ponte sul fiume Oglio. L'esercito veneziano, guidato dal Conte di Carmagnola, era riuscito dopo vari tentativi ad accordarsi con il capitano della guarnigione di Soncino, al fine di ottenere la resa della città senza spargimento di sangue in cambio di una grossa somma di denaro. Il capitano tuttavia stava trattando anche con i milanesi, guidati da Niccolò da Tolentino e Francesco Sforza il cui esercito era appena giunto a Cremona da Mirandola. Il 16 marzo 1431 il Carmagnola decise di far marciare l'esercito veneziano, accampato a Orzinuovi, forte di 2.000 fanti e 3.000 cavalieri, alla volta di Soncino al fine di ottenere una volta per tutte la resa della città, convinto che non gli sarebbe stata opposta alcuna resistenza. Giunto sul campo fu assalito dai milanesi guidati da Francesco Sforza. La battaglia imperversò per ore fin quando il Carmagnola riuscì a respingere lo Sforza che, non è chiaro se costretto o di proposito, si ritirò dal campo inseguito dai veneziani. Durante la ritirata i soldati di Niccolò da Tolentino piombarono sui veneziani, ormai stanchi per il combattimento, ne dispersero le schiere e le costrinsero alla fuga. Il Carmagnola riuscì a stento a scampare alla cattura e si rifugiò a Brescia con soli sei cavalli al seguito. I milanesi catturarono 1.600 cavalli e i 500 fanti veneziani superstiti. L'esercito milanese riuscì a catturare circa duemila prigionieri e conservò uno dei borghi fortificati più strategici al confine con il territorio della Repubblica di Venezia. L'esercito veneziano si spostò verso sud puntando su Cremona. Fallita l'offensiva terrestre, i veneziani inviarono lungo il Po una possente flotta fluviale di 37 galee e 100 navi di minori dimensioni al comando di Niccolò Trevisan. I milanesi risposero raccogliendo a Pavia una flotta di 56 galee e decine di navi minori guidate da Pasino degli Eustachi. Lo scontro tra le due flotte si sarebbe poi svolto tra il 21 e il 22 giugno 1431 nei pressi di Cremona risolvendosi con una schiacciante vittoria milanese.

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16 marzo 1516

L'assedio di Asola vide contrapporsi la Repubblica di Venezia e l'esercito imperiale comandato dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo in persona. Il paese era passato dal 1509 sotto il controllo dei Gonzaga di Mantova. Nell'ottobre 1515 venne invece recuperato dalle milizie veneziane, che insediarono il loro provveditore. Nel 1516 l'imperatore Massimiliano I decise di scendere in Italia, desideroso di riprendere la Lombardia e con essa Milano. A contrastare la sua avanzata scese in campo Andrea Gritti, già provveditore di Asola e futuro doge di Venezia. L'imperatore decise di attaccare ed espugnare Asola, che fu circondata e bombardata dalle truppe imperiali il 19 marzo 1516. Tutta la cittadinanza, in particolar modo Rizino d'Asola alla testa di 100 lance, resistette strenuamente all'assedio di tre giorni, concluso il 19 marzo con la ritirata di Massimiliano I, che ripiegò verso il Tirolo. Il senato della Repubblica di Venezia riconobbe la fedeltà ed il valore degli asolani, ripristinando i privilegi goduti dal 1484. Da quel giorno Asola rimase veneziana sino al 1797, anno della caduta della Repubblica.

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16 marzo 1819

A Venezia è stato cannoneggiato e ucciso dalla gendarmeria austriaca un elefante indiano cinquantenne (che 200 anni dopo risulterà quindicenne, massimo ventenne, invece!), !), ammaestrato con termini lessicali in lingua francese, alto 7 piedi e mezzo, pesante 4622 libbre grosse venete (2.203,4 kg), nella Chiesa Sant’Antonin alle ore otto e quattro minuti antimeridiani del 16 marzo 1819, giorno quaresimale. Durante i giorni del carnevale, conclusosi il 23 febbraio, è stato mostrato in apposito casotto, con altri animali esotici in altri casotti, sbarcato sulla Riva degli Schiavoni nel Sestiere Castello dal “mostratore” svedese Claudio Garnier (originario di Gauter Corout), tra il Ponte del Sepolcro e il Ponte della Cà di Dio. E’ stato ucciso per impedirgli di causare danni alle cose e alle persone, maggiori dei danni già causati rifiutandosi a ogni tentativo d’imbarco, uccidendo il suo giovane custode Camillo Rosa di Rovigo e travolgendo di tutto durante la fuga fino alla chiesa, inseguito e bersagliato dalle fucilate dei gendarmi. Venti uomini armati di funi e di leve hanno imbarcato e trasportato la sua carcassa al Lido, coperta da stuoie su una chiatta, alle ore 5 pomeridiane con l’ordine di seppellirla. Un contrordine del Commissariato Speriore l’ha fatta, poi, traslocare due ore dopo sull’Isola della Giudecca nella chiesa dismessa di San Biagio (usata come ospedale per le malattie contagiose nel 1814-1816 e destinata alla demolizione per favorire nel 1882 la edificazione del Molino Stucky): dove sarà mantenuta pulita con lavacri continui di acqua salata, per essere sezionata e studiata dal Prof. Stefano Andrea Renier, aiutato dal Dott. Paolo Zannini marito di Adriana Renier. Con l’intento di salvaguardare e ricomporre le ossa del suo scheletro che sarà esposto nella Pubblica Galleria di Storia Naturale (non ancora Museo Zoologico) della Università di Padova. Il Renier e la sua equipe daranno inizio ai lavori di concia della pelle e sezionamento del cadavere il 24 marzo, eseguendo molti schizzi e disegni delle diverse parti anatomiche e delle ossa, per poterlo rimontare poi correttamente. La conclusione di tali lavori è prevista per l’autunno, destinata ad essere considerata dai posteri impresa epica e memorabile. Claudio Garnier ha riferito di avere acquistato l’elefante per 20.000 franchi (30.088 lire venete) dagli eredi del duca tedesco Federico di Wurstemberg, divenuto Re nel 1806 e morto sessantaduenne il 30 ottobre 1816: monarca di un Regno Breve… perciò. L’avrebbe condotto e “mostrato” a Milano, fosse riuscito a imbarcarlo. Meditando su una richiesta d’acquisto dell’Accademia di Berlino, alla quale aveva comunicato di essere disposto a venderlo per 1.200 luigi d’oro (equivalenti a 55.231,3 lire venete). Il pachiderma si è ribellato all’imbarco, perché reso inquieto da evidenti pulsioni sessuali primaverili irreprimibili e dopo ripetuti tentativi d’imbarco falliti, causa non ultima l’instabilità della passerella collegata al barcone predisposto all’uopo. La sua ribellione l’ha manifestata uccidendo il suo giovane custode, dopo averlo aggredito con la proboscide un’ora dopo la mezzanotte, terrorizzando gli astanti sulla riva e causando il ribaltamento in acqua di altri in piedi sopra un battello. La gendarmeria austriaca presente, comandata dal Commissario Tolomei, ha reagito sparandogli addosso tante pallottole da spingerlo a correre terrorizzato di qua e di là sulla riva tra i due ponti, dove ha travolto alcuni casotti predisposti per altri animali e il chiosco di un fruttivendolo, sfondando anche una caffetteria, prima d’inoltrarsi nella Calle del Dose dove ha avuto inizio il percorso che lo ha condotto nella chiesa luogo della sua esecuzione sommaria. In Campo della Bragora è stato bersagliato dai gendarmi austriaci con particolare accanimento, costringendolo a infilarsi nella Salizada del Pignater e poi nella Calle morta del Forno Vecchio, dove si è ritrovato nella corte di un’abitazione privata, con pozzo di marmo e scala di legno che ha danneggiato stramazzando al suolo, tanto da farsi supporre colpito a morte. Invece si è rialzato e ha ripreso la corsa, dopo aver terrorizzato una vedova con quattro figli già nei letti in una camera con l’affaccio nella calle, data l’ora oramai notturna: prima di percorrere la Salizada Sant’Antonin fino al ponte che non è riuscito a superare, incalzato da fucilieri inefficienti.

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