10 marzo 1396

Venezia con la "Legge promulgata dalla Quarantia a protezione dei fanciulli e delle fanciulle nelle officine, Venezia 1396" mette un punto fermo, da antesignana, a quello che ancora oggi non viene rispettato, e prescrive comportamenti che dovevano osservare i genitori, la famiglia ed il mondo del lavoro nei confronti dei minori femminili e maschili. O come si direbbe oggi, dell'avviamento all'apprendistato di un mestiere. Senz'altro sarà stata la prima legge scritta, forse anche in assoluto, che riprende un messaggio di Gesù. Il messaggio che troviamo nei vangeli "Lasciate che i fanciulli vengano a me" viene ripreso da uno Stato laico che, nel riconoscere ai suoi cittadini di terra e di mar la libertà di culto (senza imporne uno), "dichiara" che "non rispettare l'infanzia è un crimine contro Dio e la Giustizia". Questa Legge rafforza la tesi sostenuta da molti studiosi che "Il Modello Veneziano di Governo" fu il primo tentativo imperiale attuato in applicazione dei Princìpi della nuova Religione Cristiana.
Versione in Italiano della Legge Veneziana di tutela del lavoro minorile.
1396 Marzo 10, in Consiglio dei Quaranta Sempre e più frequentemente si presentano molte persone all'Ufficio della Giustizia Vecchia per chiedere di essere autorizzate a collocare fanciulli e fanciulle di ambo i sessi presso artigiani di questa città di vari mestieri ed arti. Non di rado sono gli stessi fanciulli e fanciulle che si presentano al detto Ufficio, incaricato per legge del controllo dell'avviamento al lavoro, per omologare i patti e gli accordi di lavoro conclusi, con la determinazione del salario e degli obblighi di frequenza della bottega, per poter così conseguire l'iscrizione allo speciale albo degli artigiani ed artieri. ... I maestri aggirano il controllo legale e si fanno omologare i contratti di istruzione professionale da notai liberi professionisti, ponendo a carico dei predetti fanciulli le imposizioni che loro aggrada, che spessissimo sono contro Dio e la sua Giustizia. ... Gli stessi genitori di tali ragazzi spesso non hanno alcun rispetto dei loro figli e nessuna considerazione del loro vero profitto.

Tratto da dalvenetoalmondoblog

10 marzo 1571

Viene proibito alle cortigiane di recarsi in chiesa nei giorni di festa e delle principali Solennità religiose. Una delle più famose cortigiane fu Veronica Franco, era nata a Venezia nel 1546 ed era figlia di una cortigiana che l’educò per fare di lei una donna dedita alla stessa “arte “. Ella fu – come ha scritto Benedetto Croce – “perfettamente contenta e serena per la professione che aveva abbracciata, quanto può essere per qualsiasi altra che natura e fortuna ci abbiano assegnata…e non pensando punto che quella professione non comportasse senno, saggezza, buon giudizio, amore del bene, rispetto e ammirazione della virtù, osservanza dei doveri; tutte doti delle quali si conosceva fornita.” Molte notizie sulla sua vita e sul mondo in cui visse ci giungono da un suo biografo Giuseppe Tassini, autore di Veronica Franco celebre poetessa e cortigiana del secolo XVI e da Arturo Graf, scrittore e critico letterario che ha studiato l’arte e la sensibilità di poetessa della Franco. Sappiamo che la sua casa era frequentata dal pittore Tintoretto, che le fece un ritratto, da Domenico Veniero, patrizio e letterato veneziano e da molti altri artisti e intellettuali della Venezia del Cinquecento. Sappiamo che era in corrispondenza col Duca di Mantova, Guglielmo, col cardinal d’Este, Luigi e che ebbe l’onore di ospitare nella sua casa il futuro Re di Francia Enrico III e il filosofo Montaigne. Da ciò si comprende – ha notato – Giulio Dolci- “ come la sua fine personalità emanasse un fascino non volgare ma signorile.” Nel 1570 Veronica maturò una vera e propria conversione spirituale, lasciando scritto nel testamento di quell’anno che in mancanza di eredi diretti il suo residuo fosse lasciato a due “donzelle da bon” o in alternativa a due meretrici che “volessero lasciar la cattiva via a maritarsi o a monacarsi”. Inoltre, insieme ad alcuni patrizi, si adoperò per fondare un ospizio per le donne abbandonate e convertite. Nel 1580 subì l’umiliazione del processo pubblico di fronte al Tribunale dell’Inquisizione difendendosi personalmente dalle accuse di vita immorale e antireligiosa che gli furono mosse da Rodolfo Vannitelli, un suo dipendente.Nel processò ribattè colpo su colpo alle domande dei giudici grazie all’abilità retorica maturata nelle frequenti tenzoni poetiche. Ma fu soprattutto l’intervento del patrizio veneziano Domenico Veniero, protettore di Veronica, a far cadere le accuse. La disavventura con l’Inquisizione non frenò il percorso di maturazione religiosa di Veronica. Ne sono testimonianza questi versi di un suo sonetto dedicato a sè stessa: “ E tu, pura alma, in tanti affanni involta, slègati omai, e al tuo Signor divino leggiadramente i tuoi pensier rivolta: sforza animosamente il tuo destino e i lacci rompi, e più leggiadra e sciolta drizza i tuoi passi a più sicur cammino.” Veronica Franco morì nel 1591 a soli 45 anni.