11 marzo 1489

Viene istituita l'Arte dei Corrieri della Repubblica; una corporazione vera e propria, con tanto di "mariegola" (statuto), tutt'oggi conservata nel Museo Correr. La corporazione viene posta sotto la protezione di Santa Caterina e la sede fissata nella Chiesa di San Giovanni a Rialto; al suo capo viene nominato un Gastaldo, che sovraintende i 32 postini effettivi, tutti oriundi della bergamasca, in particolare della Val Brembana e tutti iscritti per eredità . Cosa ci facevano i postini bergamaschi a Venezia? I servizi di posta veneziani si conoscono fin dalla seconda metà del duecento ed erano appaltati a corrieri privati, per lo più fiorentini; questi effettuavano il trasporto della corrispondenza ufficiale e commerciale da e per la Repubblica e non era consentito l'uso dei corrieri per l'invio della posta privata. Con l'annessione della bergamasca a seguito delle guerre fatte sotto il dogato di Francesco Foscari contro il Ducato di Milano, la Dominante si trovò "in casa" i corrieri costituitisi in quella provincia, i più importanti dei quali erano quelli della famiglia Tasso di Cornello, peraltro già ben nominati; vi dicono qualcosa i "Thurn und Taxis" dai quali deriva il termine "Taxi"? I postini (meglio noti come "cavallari") non potevano farsi sostituire da altre persone ed avevano licenza di girare armati, sia di giorno, sia di notte.


11 marzo 1387

Nelle prime ore del mattino, il sonnolento discendere verso il mare dell’Adige e la tranquillità della campagna imbrunita dalle ultime rigidità dell’inverno, vennero lacerate da grida altissime: “Scala-Scala, carne-carne”, ritmate dal martellante frastuono delle spade picchiate sugli scudi. Quello in riva all’Adige era ancora il Veneto delle signorie, saldamente in mano a potentissime famiglie e ai loro eserciti. Quelli di Francesco il Vecchio da Carrara, signore di Padova, e Antonio dalla Scala, signore di Verona, si erano rincorsi per mesi e ora erano l’uno di fronte all’altro perché l’uno per l’altro costituiva l’ostacolo sulla via del dominio del territorio. Entrambe le famiglie avevano nel grande fiume la strada dei loro interessi, entrambe volevano espandere il proprio dominio. La sanguinosa battaglia è passata alla storia per la strategia adottata dal capitano di ventura inglese John Hawkwood (la cui memoria è perpetuata dal cenotafio eseguito ad affresco da Paolo Uccello in Santa Maria del Fiore a Firenze con il nome di Giovanni Acuto), che finse la ritirata e attirò i veronesi su un terreno acquitrinoso, ritenuto più propizio. Fece smontare i cavalieri e li fece schierare compatti su un’area asciutta, ai lati dispose i balestrieri, gli arcieri inglesi e i cannoni. I veronesi avanzarono e persero tempo a riempire di sterpaglia un canale che li separava dai nemici. Quando ripresero la marcia, gli arcieri di Padova iniziarono il tiro incrociato mentre i soldati disposti al centro fermarono l’avanzata veronese. Dopo che le frecce ebbero ucciso molti uomini, Acuto si rese conto del panico che si stava diffondendo tra le file avversarie e ordinò l’attacco ai propri cavalieri appiedati, i quali si aprirono un varco e costrinsero i veronesi a disunirsi. Ormai padroni del campo, i padovani uccisero o catturarono la maggior parte dei soldati nemici. La sconfitta di Castagnaro segnò la fine della lunga egemonia degli Scaligeri, che dopo qualche mese sarebbero stati cacciati da Verona dalle truppe viscontee. Il signore di Verona Antonio della Scala trovò rifugio presso il suocero Guido III da Polenta, signore di Ravenna, mentre il resto della famiglia si sparse in Italia e in Germania. Il grande successo ottenuto si rivelò una vittoria di Pirro per i Carraresi, che concordarono la spartizione dei territori scaligeri con Gian Galeazzo Visconti. Quest’ultimo non mantenne le promesse e dopo la cacciata degli Scaligeri, oltre a conquistare Verona, tenne per sé anche Vicenza, che a quel tempo faceva parte della signoria veronese e che era stata promessa a Francesco I da Carrara.