27 settembre 1259

Muore Ezzelino III da Romano. Con Ezzelino II i da Romano, raggiunsero il più alto grado di potenza, prode in battaglia, spietato con i nemici, fedele con gli amici, abilissimo negli intrighi, fermo nei propositi era un uomo pieno d'ambizioni. Le continue contese interne di Verona, gli posero un'occasione per intervenire nelle faccende di questa città, i Montecchi avevano cacciato il conte di San Bonifazio, che si rivolse al marchese d'Este. I Montecchi chiesero il soccorso di Ezzelino, e questi nel 1226 accorse, sconfisse due volte il marchese d'Este e rimase a Verona con la carica di Podestà, dignità che nel medesimo tempo il fratello Alberico conseguiva a Vicenza. Ezzelino nel 1228 occupa il castello di Fonte, muove guerra contro i Camposanpiero, in loro aiuto entrano i padovani che cingono d'assedio Bassano. Ezzelino non è in grado di resistere, e dietro consiglio del padre e della repubblica di Venezia, restituisce Fonte alla famiglia rivale e giura obbedienza a Padova. L'anno dopo, ottenuta la cittadinanza di Treviso indusse quest'ultima ad occupare Feltre e Belluno, vassalle di Padova provocando una guerra tra le due città, che ebbe fine per l'intromissione della lega lombarda. Era il tempo in cui le cose dell'impero, sembravano rimettersi nell'alta Italia e la fiducia era rientrata negli animi dei Ghibellini. Ezzelino riabbraccia la causa dell'imperatore, ed insieme al Salinguerra scese in campo contro la lega, e la guerra fratricida riesplose, i Mantovani vanno contro Verona e ne incendiano le borgate, Padova muove contro i Romano, ma sono sconfitti dalle milizie di Treviso comandate da Alberico. Ezzelino vittorioso sui mantovani ad Opeano, accorre da Verona e batte i Vicentini e s'impadronisce del castello di San Bonifacio. Federico II è lieto di quei successi, poiché le vittorie dei Romano, tengono aperte ai suoi vassalli tedeschi il varco in Italia. Nel 1237 lo troviamo a fianco dell'Imperatore nella battaglia di Cortenuova, sempre sprezzante del pericolo, terrificante e crudele con i nemici, ma la sua presenza moltiplica il coraggio delle milizie. Ora Ezzelino è padrone di Verona, Vicenza, Padova, Feltre, Belluno e Bassano, alleato con Buoso di Dovara e del marchese Oberto Pelavicino, e il fratello Alberico governa Treviso. Personaggio privo di qualsiasi sentimento d'umanità, le sue carceri anguste e luride gremite di persone, nell'attesa del supplizio finale. Nelle piazze, spesso il popolo era costretto ad assistere atterrito, alle spietate esecuzioni. Verso la fine del 1255, lettere pontificie pervennero ai vescovi dell'alta Italia e ai comuni, papa Alessandro IV bandiva una crociata, contro il signore di Romano. Nel marzo 1256, l'arcivescovo di Ravenna Filippo Fontana, recatosi a Venezia bandì la crociata contro Ezzelino, trovando preziosi aiuti nei fuoriusciti padovani, tra cui Tiso Novello di Camposanpiero, e al governo della serenissima che fornì al legato pontificio, le navi da guerra per risalire il Brenta ed assaltare Padova. Alla crociata aderirono anche il marchese Azzo d'Este e Luigi di San Bonifacio signore di Mantova, le città di Bologna e Trento che si era ribellata ad Ezzelino. I crociati iniziarono le ostilità nell'estate del 1256, mentre Ezzelino con le sue milizie si trovava nel territorio mantovano. Le milizie crociate s'impadronirono dei castelli di Concadalbero, di Bovolenta e di Consilva, da Pieve di Sacco mossero verso Padova contando l'inno (Vexilla regis Prodeunt) e il 18 giugno, rotte alcune schiere di Ansedio dei Guidotti (incaricato da Ezzelino di difendere Padova) al ponte Bacchiglione, s'impadronirono lo stesso giorno dei sobborghi di Padova. Il giorno successivo entrarono in città per la porta di Ponte Altinato, saccheggiandola orribilmente per una settimana intera, poi la crociata languì per tutto l'anno. I combattimenti ripresero nel 1258, il marchese Pelavicino e Buoso di Dovara con le milizie cremonesi s'erano impadroniti dei castelli di Villongo e di Torricella posti sulle rive dell'Oglio. Contro i due marciò il legato pontificio, con i guelfi bresciani e le milizie mantovane, ma assalito da Ezzelino fu sconfitto presso Torricella, e cadde prigioniero con quattromila bresciani e numerosi soldati di Mantova, fra i quali lo stesso podestà. Dopo questo successo Ezzelino entrò in Brescia, Oberto Pelavicino e Buoso di Dovara sdegnati dal comportamento di Ezzelino, e timorosi di una sua vendetta, proposero al marchese d'Este di unirsi alla crociata, a patto che non dovessero rinunciare al loro giuramento di fedeltà, verso la casa sveva. Il trattato fu concluso a Cremona 11 giugno 1259, tra Oberto Buoso e la città di Cremona da una parte, il marchese Azzo d'Este, Luigi di San Bonifacio e i comuni di Mantova, Ferrara e Padova dall'altra. Nel primo capitolo, tutti riconobbero i diritti di Manfredi sul regno di Sicilia e promisero di impegnarsi, al fine di raggiungere un accordo tra lo svevo e la Santa Sede. Con il secondo capitolo, si obbligarono a lottare senza pietà contro i due fratelli da Romano. Nel frattempo, Ezzelino chiamato dai ghibellini milanesi, armò un potente esercito e per nascondere il suo vero obiettivo (Milano) alla fine d'agosto marciò verso Orzinuovi, castello bresciano in riva all'Oglio presidiato dai cremonesi. In difesa del castello, accorse il marchese Pelavicino che si accampò a Soncino. Ezzelino mise in opera un abilissimo piano, per dividere i nemici mandò a Brescia tutta la sua fanteria, nella speranza che i nemici passassero l'Oglio per inseguirla, mentre con la sua numerosa cavalleria andò a Palazzolo dove passò l'Oglio, raggiunse l'Adda che superò senza incontrare resistenza e si diresse verso Milano. Le milizie guelfe milanesi di Martino della Torre in marcia verso Soncino, con l'intenzione d'unirsi ai crociati, vedendo in pericolo la loro città, ritornano indietro per sbarrare il passo a Ezzelino. Lo fermarono a Monza, e a questo punto a Ezzelino apparve la gravità in cui si era messo, il suo piano d'attacco per dividere i nemici era fallito, ora si trovava con due eserciti nemici alle spalle e due fiumi da ripassare. Si riportò verso l'Adda, ripiegò verso Vimercate e si portò a Cassano, attaccato dalle milizie guelfe e respinto cercò un passaggio tra Cassano e Vaprio, era appena giunto con le sue schiere ancora disordinate sulla riva opposta, quando gli si fecero incontro le milizie del Pelavicino, di Buoso e di Azzo d'Este. Nel frattempo i guelfi milanesi giunsero alle spalle d'Ezzelino, che ridotto con pochi fedeli cercò d'aprirsi una strada per Bergamo, ma mentre lottava con furia e più volte ferito, il suo cavallo cadde morto ed egli stramazzato al suolo. Fu fatto prigioniero. Ezzelino in prigione rimase in minaccioso silenzio, tenendo fisso a terra lo sguardo feroce, condotto prima nelle tende di Buoso, poi nel forte di Soncino, rifiutò le cure dei medici, il cibo e si tenne lo strazio delle proprie ferite. Undici giorni dopo la sua sconfitta che era avvenuta il 27 settembre 1259, fu rinvenuto morto nella sua prigione. Volle morire con la stessa feroce ostinazione con cui in un solo giorno, aveva fatto uccidere diecimila padovani. Alla notizia della sua morte, tutte le città che precedentemente controllava si ribellarono, Vicenza e Bassano chiesero podestà a Padova, e Verona diede questa carica a Mastino della Scala. Treviso cacciò il fratello Alberico, che si rinchiuse nel castello di San Zeno con la sua famiglia, il 25 agosto del 1260 le truppe di Venezia, Treviso, Padova e Vicenza assediarono il castello, Alberico da Romano si arrende e spera d'aver salva la vita per lui e per i suoi cari. Ma erano troppi gli orrori compiuti dal fratello Ezzelino, e la vendetta dei vincitori fu tremenda. Alberico dovette assistere alla morte, dei suoi sei figli maschi e delle due figlie femmine, e della moglie, poi legato alla coda di quattro cavalli, lo trascinarono a corsa sfrenata per le vie del paese. I pezzi del suo cadavere, furono mandati come trofeo alle città che avevano patito la tirannide dei da Romano. La madre di Ezzelino, aveva predetto al figlio che la sua fortuna sarebbe terminata "in Axanume per questo Ezzelino, si tenne sempre lontano da Bassano veneto (Baxan). Ma quando si trovò in difficoltà, durante la battaglia nel settembre 1259 e saputo che si trovava vicino a Cassano (Caxan) , disse "Heu Caxan Axan Baxan! Hoc lethum michi, fatale dixit mater, hic finem fore!"


27 settembre 1483

L'assedio di Asola, città controllata da Venezia, ebbe luogo tra il 27 settembre e il 12 ottobre 1483 durante la guerra di Ferrara, che vide contrapporsi la Repubblica di Venezia e una lega antiveneziana, formata dal Papa, Mantova, Ferrara, Firenze, Napoli e Bologna, per ragioni di confini tra i veneziani e gli Estensi. La presa di Asola rientrava nella manovre militari che portarono gli eserciti della Lega a spostarsi, nella prima metà di settembre 1483, dalla Lombardia verso il Veneto, nonostante le resistenze del marchese di Mantova Federico I Gonzaga, che pare avesse stretto un patto di non belligeranza con Venezia, al fine di essere risparmiato da una possibile invasione dei suoi territori, tra il ducato di Milano e la Serenissima. Anche il duca di Milano Gian Galeazzo Maria Sforza non approvava l'impresa e scese direttamente in campo, ma stazionò nei pressi di Cremona. Le manovre di avvicinamento da Goito e Casaloldo, arresasi ai Gonzaga, verso Asola furono condotte dal duca di Calabria Alfonso d'Aragona[2] e da Francesco Secco. La fortificazione di Asola, costituita da fossato, da alte mura e da 14 torri cilindriche, venne realizzata dai veneziani tra il 1458 e il 1482, ma era poco adatta a respingere gli attacchi con armi da fuoco. Sei bombarde della lega furono portate sotto le mura nei giorni antecedenti l'attacco e utilizzate per aprire ampie brecce nelle mura. La caduta di Asola (12 ottobre 1483) venne festeggiata con l'ingresso trionfante in paese di Francesco Gonzaga, figlio del marchese Federico proveniente da Canneto e mai sceso in battaglia, accompagnato dal Secco. Asola venne restituita a Venezia il 7 agosto 1484 con la Pace di Bagnolo, poco dopo la morte del marchese Federico Gonzaga, avvenuta il 14 luglio.
Tratto da Wikipedia


27 settembre 1587

Gli scansadori, furono istituiti provvisoriamente, nel 1546, con il titolo di provveditori e revisori sopra la scansazione (l’evitare) e regolazione delle spese superflue. Vennero trasformati in magistratura nel 1576, con parte del senato 22 ott., approvata il 28 dal maggior consiglio Dovevano ridurre di numero le cariche di ministero, profittando della vacanza di molte di esse a causa della peste. Divennero magistrato definitivo il 27 settembre 1587. In quanto organo non gravato da troppi compiti, furono giudici delegati della signoria in cause civili della città e Terraferma. Il 14 ag. 1754 vennero incaricati dal senato del controllo e supervisione sui monti di pietà dello Stato. Il compito degli “Scansadori” era preciso: Individuare le cariche inutili, le spese ingiustificate, le poltrone e gli stipendi che non avevano senso, per eliminarli. Il fine era guadagnare economia ed efficienza. Laddove non fosse proprio possibile sopprimere alcunché, gli Scansadori dovevano allora studiare e proporre risoluzioni atte ad introdurre economie nella gestione degli uffici, cercando il modo migliore per aumentarne gli introiti sollecitando l'esazione puntuale dei dazi, con particolare riguardo a quelli di competenza dei Provedadori al Sal, dei Provedadori a le Biave, dei Governadori a le Intrade, dei Provedadori sora Camere. Tutto veniva verbalizzato in appositi quaderni. Di seguito alcune annotazioni: “Restituiti li Ducati 670. V.C. a chi acquistò la Scrivania del Quinto perché in fresca età l’acquirente”. “Abolita la Carica di Lino nell’Offizio stesso”. “Il Magistrato de’ Scansadori esamini il numero, e la qualità delle Cariche de’ Ministri della Dominante con dividerli nelle varie loro Cattegorie, dando la prelazione alle più importanti per conoscere le utilità che vengono conseguite dai Ministri se leggitime, o arbitrarie, come pure gli assegnamenti, e i salari per suggerire a sollievo della pubblica Cassa quelle scansazioni, e rispettive Regolazioni, che fossero riputate di Equità, e Convenienza”. Successivamente gli Scansadori ebbero delegate anche funzioni di giudici delegati dalla Signoria su alcuni casi particolari di cause civili il cui dibattimento si tenesse a Venezia oppure nel dominio di Terra Ferma. A partire dal 1754, ebbero delegato il completo controllo amministrativo su tutti i Monti di pietà operanti nel territorio della Repubblica.