2 settembre 1642

Avviene la consacrazione della rinnovata Cattedrale di San Pietro di Castello.La consacrò nuovamente Il Patriarca Cornaro, L'isola ove sorge la chiesa, si chiamava Olivolo. La denominazione di Castello, che vi è aggiunta, si reputa tale nome dai ruderi di antico Castello, forse di costruzione romana, che si dice qui rinvenuti. Sembra però verosimile, che questo nome sia derivato dalla muraglia di fortificazione qui eretta sotto iI Doge Pietro Tribuno, intorno al 906. Questa opinione trova appoggio nella circostanza, che Enrico Contarini, vescovo di questa chiesa, fu il primo che s'intitolò Castellano nel 1091,e quindi dopo la erezione di quel forte. La prima chiesa, in questa località, si dice fondata nel V secolo dalla famiglia Samacali, poi chiamata Caotorta, abitante nella contrada; era titolata ai Santi Sergio e Bacco, dei quali si custodiscono tuttavia le spoglie mortali. Nel 774 venne riedificata in maggiore estensione, dedicata a San Pietro Apostolo, ed eretta in Cattedrale. Il Vescovo Orso Participazio, figlio di Angelo, primo Doge in Rialto, la condusse a compimento, e la consacrò nel 30 Maggio 841. Nei secoli successivi fu restaurata più volte, e alla fine riedificata nell'attuale sua forma per cura dei Patriarchi Priuli, Cardinale e Tiepolo . Il Patriarca Cornaro la consacrò nuovamente nel 2 Settembre 1642.


2 settembre 1513

l’inflessibile Consiglio dei Dieci, sentenziava la fine di un gruppo di giovani patrizi che avevano seminato il terrore tra il popolo, con aggressioni,violenze e furti. Uno dei Capi del Consiglio, accompagnato da un Avogador (rappresentante la pubblica accusa), si recò dai prigionieri ad annunciare il loro verdetto e quando spiegò loro che sarebbero stati descopati, “essi rimasero come morti, e in zenochion suplicarono: signori! Ameno ne sia tajà la testa! il 22 seguente, all’ora solita, la nona, al suono della campana, la piazzetta era gremita di gente; dal P?alazzo, visto l’affollamento, uscirono parecchi “zaffi” (guardie, sbirri); infine accompagnati dalla confraternita di san Fantin, apparvero i condannati, vestiti con una camicia e una tela nera, la testa coperta da una cuffia, i piedi scalzi; baciarono i parenti e prima di morire, domandarono perdono a tutti; quel giorno solo Lorenzo Polani venne impiccato, altri quattro gentiluomini subirono i fatidici colpi alla nuca. L’ultimo, Baldissera Molin, giovine ben piantato, crollò sotto i colpi inferti, ma non morì, tanto che si volte col capo ad assistere alla impiccagione del Polani, costringendo il carnefice a tornare sui suoi passi, per finirlo… Il popolo assistette in silenzio, approvando la condanna ma uscendone frastornato. Tanto che il Sanudo scrive: “Et compita questa justitia, tutti li piacque, ma si dolseno de la morte di tal zoveni, massimo di zentilhomeni”.