15 settembre 1254

Marco Polo nasce a Venezia. La sua è una famiglia di mercanti che da tempo intrattiene rapporti commerciali con l’Oriente. Marco Polo parte nel 1271, all’età di 17 anni, con il padre Niccolò e lo zio Matteo. Essi impiegano quattro anni per compiere il tragitto da Venezia a Pechino percorrendo a piedi, a cavallo, su cammelli la favolosa Via della seta. Questa è una pista che attraversa città magiche per le loro merci esotiche, e poi steppe, montagne, deserti pianure allagate dalle risaie, per incontrare finalmente la scorta mandatagli incontro dal Gran Khan: «Finalmente arrivammo a Xanadu e vedemmo il palazzo estivo del Grande Kane della Mongolia e dei quattro regni del mondo. Ci inginocchiammo di fronte al Grande Kane. È il più possente signore di genti e terre e di tesori che sia né che mai fu. Ed egli fu allegro e gioviale e quant’altri mai cortese con noi dicendo di levarci in piedi e come stavamo e se avevamo fatto buono e dilettevole viaggio». [da Milione, di Marco Polo]. La grande via dei traffici tra Oriente e Occidente si era spesso interrotta nei secoli dell’Alto Medioevo a causa dei disordini che avevano investito l’Asia, ma ora è tornata a essere interamente percorribile grazie alla Pax Mongolica, la “Pace dei Mongoli”. Essi, infatti, presidiano con guardie armate e fortezze militari; bloccano i predoni che prima attaccavano le carovane, rapinando e uccidendo i mercanti. Arrivato a Pechino, Marco Polo è accolto nella splendida corte di Kubilày;diviene consigliere e amico del Gran Khan e per lui svolge incarichi delicatissimi; resterà in Cina per ben diciasette anni. Meno felice è il ritorno di Marco Polo in Italia. Rientrato a Venezia, gli è affidato il comando di una delle galee protagoniste della Battaglia navale di Curzola. Questa si svolge l’8 settembre 1298 nei pressi dell’isola omonima, al largo della Dalmazia, tra la Repubblica di Genova e la Repubblica di Venezia. È fatto prigioniero dai genovesi e gettato in carcere. In carcere detta le sue memorie a un compagno di cella, Rustichello da Pisa. Ne nasce un libro, Il Milione, chiamato così perché la famiglia di Marco si chiama Polo Emilione.


15 settembre 1448

Nelle campagne fra Caravaggio e Fornovo San Giovanni, all'estremità meridionale dell'attuale provincia di Bergamo fu combattuta La battaglia di Caravaggio. La morte senza eredi diretti di Filippo Maria Visconti (1447) getta il Ducato di Milano nel caos. Alcuni nobili locali e giuristi dell’università di Pavia proclamarono la nascita dell’Aurea Repubblica Ambrosiana, mentre la maggior parte delle città lombarde proclamò l’indipendenza, come Pavia, mentre Lodi e Piacenza si sottomisero a Venezia. I repubblicani si videro costretti a chiedere aiuto allo Sforza che nel giro di un anno ridusse all’obbedienza i centri ribelli e il 15 settembre 1448 inflisse una devastante sconfitta ai veneziani nella battaglia di Caravaggio. Qui, con un voltafaccia clamoroso, firmò un accordo con la Serenissima: i veneziani affidavano allo Sforza il comando della guerra in Lombardia in cambio del mantenimento del confine sull’Adda, garantendo al capitano di ventura l’appoggio di Venezia nella conquista di Milano.

Ne Il principe di Niccolò Machiavelli nel dodicesimo capitolo, dedicato alle milizie mercenarie è scritto:
« E' Milanesi, morto il duca Filippo, soldorono Francesco Sforza contro a' Viniziani; il quale, superati gli inimici a Caravaggio, si congiunse con loro per opprimere e' Milanesi suoi patroni.»


15 settembre del 1509

Massimiliano decise di iniziare ad assediare Padova. Intanto dentro le mura tutto era pronto per resistere all’attacco che si temeva. Dopo che le truppe imperiali furono cacciata, ci volle del tempo perché Massimiliano potesse contare su di un vero e proprio esercito organizzato e pronto per porre l’assedio alla città. Un tempo che si rivelò prezioso per i padovani e i veneziani che infatti lavorarono forsennatamente in quelle settimane per dotare la città delle necessarie difese. Vennero così irrobustite le fortificazioni mentre si provvedeva a riempire i magazzini e le cantine di scorte alimentari e di acqua. Ci si preparava infatti ad un lungo assedio. E all’orizzonte infatti fecero ben presto la loro comparsa le soldatesche imperiali con le loro pesanti artiglierie in tutto ben 106 pezzi. Mentre il grosso dell’esercito imperiale si stava disponendo attorno alle mura della città, l' imperatore si era portato con altri uomini verso il Polesine per garantirsi una strada sicura dalla quale far arrivare i rinforzi e le vettovaglie per il suo esercito assediante. Prese così d’assalto il castello d’Este e si diresse poi verso Monselice che facilmente conquistò. Per trattato invece riusciva ad ottenere anche Montagnana. Quest’ultima cittadina era una base ideale per poter muovere poi verso Padova. E così infatti fece, arrivando fino al ponte del Bassanello dove tentò di dirottare il corso del fiume che portava sin dentro alla città. Intanto si iniziava ad organizzare l’assedio. Si decise, scartando l’idea di Borgo S. Croce, di piantare il campo dal lato del Portello approfittando di quegli ultimi momenti di “calma” per saccheggiare e distruggere la campagna circostante. Infine, il 15 settembre del 1509 si decise di iniziare l’impresa. Intanto dentro le mura tutto era pronto per resistere all’attacco che si temeva, come in realtà fu, potente e continuo. Per due settimane, infatti, l’artiglieria congiunta tedesca e francese martellò ininterrottamente le mura settentrionali di Padova che, miracolosamente, seppur fatte a pezzi, non cedettero. Il miracolo era merito dei cittadini padovani e di quei Provveditori veneziani che nelle settimane precedenti l’assedio avevano lavorato al massimo per fortificare la città. Il lungo lavoro dava ora i suoi frutti. Tutti gli attacchi nemici vennero infatti respinti. Il merito principale di tanta efficienza da un punto di vista logistico ed organizzativo, fu in realtà di Niccolò Orsini di Pitigliano, proprio colui che volente o nolente contribuì con il suo immobilismo alla disfatta veneziana di Agnadello. In qualità di supremo rettore e comandante, ora, il Pitigliano aveva organizzato la città predisponendola per il lungo e difficile assedio. Ma non c’era solo una città fisica da fortificare. Anche gli animi e la volontà dei cittadini dovevano essere sostenuti. E così l’Orsini d’accordo e insieme con il Provveditore Andrea Gritti, fece riunire la cittadinanza in Piazza S. Antonio dove con un accorato discorso si rivolse primariamente ai soldati esortandoli ad abbandonare rancori, paure e odii particolari per votarsi completamente alla difesa della città. Alla fine, anzi, fece loro giurare sul Vangelo che non si sarebbero risparmiati durante l’arduo compito. Il primo a giurare fu lo stesso Pitigliano al chè tutti i Provveditori, Capitani e soldati fecero altrettanto. Un importante lavoro di fortificazione e la totale dedizione ed abnegazione dei cittadini e dei soldati, dunque, furono le due “armi” vincenti che trasformarono l’assedio di Padova per l’imperatore Massimiliano in un incubo. Alla fine del mese dopo 15 giorni di inutili cannoneggiamenti, l’imperatore infatti cedeva e toglieva l’assedio alla città. Venezia naturalmente esultava. Padova aveva resistito a uno dei più duri e imponenti assedi mai visti, forte di 40.000 uomini e di 100 pezzi d’artiglieria. Il morale risaliva alle stelle e con il morale la speranza di salvezza. Il 14 Orsini poi, marciava da Padova anche su Vicenza dove l’imperatore aveva lasciato un’insignificante guarnigione prima del suo frettoloso ritiro oltralpe. Dopo Vicenza, Padova e Treviso anche Cittadella, Bassano, Belluno, Este, Montagnana e Monselice passarono ad appoggiare Venezia. La repubblica non era più sola!


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