/> Antonio Pigafetta

8 settembre 1522

La nave Victoria, ritorna con Pigafetta dal giro del mondo. La spedizione partì da Sanlùcar de Barrameda il 20 settembre 1519; l’8 settembre 1522 la nave Victoria, unica delle cinque a completare la circumnavigazione, fece ritorno a Siviglia con soli 18 uomini a bordo: uno di questi era Antonio Pigafetta, Magellano era morto il 27 aprile 1521, ucciso in uno scontro con gli indigeni a Mactan, nelle Filippine. In conseguenza della scomparsa di Magellano, Pigafetta assume ruoli di maggiore responsabilità nell'equipaggio, in particolare gestendo le relazioni con le popolazioni autoctone. La Victoria, rientrò al comando di Juan Sebastián Elcano, nel porto di Siviglia. Con Pigafetta si salvarano altri due italiani: con lui tornò Martino de Judicibus, anch'egli sulla Victoria, mentre un altro italiano, Luca Pancaldo, tornò sulla Trinidad nel 1525. Probabilmente nel 1524, Pigafetta pubblicò la Relazione del primo viaggio intorno al mondo con il Trattato della Sfera , le sue memorie sul viaggio, redatte a partire dai suoi minuziosi diari che aveva tenuto nei tre anni di viaggio. Personaggio tanto affascinante quanto sfuggente, Antonio Pigafetta rappresenta ancor oggi un'irriducibile incognita per gli studiosi. Di lui si sa poco, troppo poco per definire un profilo appena soddisfacente sul piano biografico. Scarsi i documenti originali, un paio di lettere autografe e qualche altra debole traccia archivistica, tutti comunque posteriori al viaggio. Poche anche le testimonianze dei contemporanei, spesso fondate su notizie di riporto e ricche di ambiguità e imprecisioni. Antonio nacque a Vicenza agli anni '80' del 1400 e la data della sua morte dovrebbe collocarsi verso il 1530. Della sua formazione vicentina, dei suoi studi e precedenti attività alla grande avventura al fianco di Magellano non si sa nulla. Fino agli inizi del 1900 era dubbia anche la paternità. È stato solo grazie a un pubblicato da P. Pastells nel 1920 che è riuscito ad definire Giovanni Antonino Pigafetta come padre del nostro viaggiatore. Ancora incertezze permangono sul nome della madre, dal momento che i documenti archivistici rivelano almeno tre matrimoni di Giovanni: il primo con Castellana Terrenato da Caltrano, il secondo con Lucia Muzan da Malo, il terzo con Angela dalla Zoga. Il temperamento del personaggio, nelle sue caratteristiche fondamentali, si ricava in parte da quanto egli stesso scrive nella Relazione . Ne emerge, in sostanza sapere, uno spirito permeato da una nobile curiosità, da una tensione umanisticamente rivolta alla gloria.


8 settembre 1717

La serenissima repubblica di Venezia assegna l’isola di San Lazzaro al nobile armeno Pietro da Mansig detto Mechitar (il consolatore), che vi fonderà la Congregazione dei Padri armeni mechitaristi. L'isola, prima di diventare "degli Armeni" fu: nel IX secolo, sede dei benedettini di Sant'Ilario;
nel XII secolo, casa dei lebbrosi;
nel '500, alloggio per malati e poveri;
nel '600, dimora per domenicani espulsi da Creta;
nel '700, dopo un periodo di totale abbandono, accolse una confraternita di padri Armeni, fuggiti dalla propria terra in seguito all'invasione turca. L'isolotto, trovandosi ad una certa distanza dalle isole principali che formano il centro storico di Venezia, era nella posizione ideale per lo stazionamento in quarantena e fu perciò usato dal XII secolo come lebbrosario (lazzaretto), ricevendo il relativo nome da San Lazzaro mendicante, patrono dei lebbrosi. Nel 1716 Mechitar andò a visitare l'isola di San Lazzaro. Abbandonata nel XVI secolo, il 26 agosto 1717 fu data dalla Repubblica di Venezia a un gruppo di monaci armeni in fuga dalla greca Modone, nel Peloponneso sud ovest. L'8 settembre dello stesso anno, Mechitar e i suoi monaci presero possesso dell'isola, dove presto cominciarono a restaurarne la chiesa e i vecchi edifici. L'obiettivo di Mechitar, oltre al restauro, era quello di costruirne di nuovi e recuperare i terreni circostanti, pensando anche ad un accurato giardino. Nel 1740 terminarono i lavori e i monaci poterono darsi allo studio ed educare i nuovi discepoli. L'isola si trasformò in un centro di cultura e scienza, destinato a mantenere in vita la lingua, la letteratura, le tradizioni e i costumi del popolo armeno. Nel 1789 venne aggiunto un nuovo padiglione, in cui sorse la prima piccola tipografia; così i monaci non dovettero più ricorrere alle tipografie veneziane e poterono diffondere autonomamente la lingua e la cultura armena, con una macchina da stampa che produsse lavori in 38 lingue e dieci alfabeti. Dopo che, tra il 1823-25, venne costruita una nuova tipografia, venne pure allestita una biblioteca. A San Lazzaro degli Armeni sono conservati circa 170.000 volumi, di cui 4.500 sono manoscritti, e molti altri manufatti arabi, indiani (un trono principesco del XIII secolo in tek con intagli eburnei) ed egiziani, tra cui la mummia di Nehmeket. Vi si trova anche un testo in pali scritto con il sistema bustrofedico. La comunità e i suoi edifici furono risparmiati durante l'invasione napoleonica; sebbene, infatti, l'imperatore avesse dato ordine di abbattere tutti i monasteri di Venezia, il 17 agosto del 1810, con provvedimento firmato e consegnato ai Padri alla vigilia della festa della Natività di Maria, decretò di preservare la comunità dei monaci armeni, in quanto il monastero venne considerato a tutti gli effetti una accademia di scienze e pertanto poteva godere della protezione imperiale. Dopo la caduta di Napoleone, nel 1814 Francesco I, imperatore austro-ungarico, constatate le dimensioni ridotte del territorio rispetto alla crescente attività della comunità, decide di cedere un pezzo della Laguna ai mekhitaristi per ampliare i possedimenti armeni, che raggiungono così una superficie di 15 000 m². Un'altra fase di espansione si avrà a metà del Novecento, quando l'Abate Serafino decide di ampliare l'isola, che raggiungerà così gli attuali 30 000 m². L'isola ha, inoltre, una lunga tradizione di ospitalità agli eruditi e agli allievi armeni e no, fra i quali anche Lord Byron che vi studiò l'armeno lì nel 1816. Secondo una leggenda, nel 1907 Iosif Stalin, quando dovette lasciare la Russia, qui lavorò come campanaro.