19 settembre 1469

Un antenato del diritto d'autore è il sistema dei privilegi, che fu introdotto a Venezia nel XV secolo. Il primo privilegio concesso a Venezia, e in Italia, reca la data del 19 settembre 1469; riguardò non un autore, bensì uno stampatore. In quell'anno il tedesco Giovanni da Spira introdusse l'arte tipografica nella città lagunare. Per la stampa della Naturalis historia di Plinio il Vecchio (la sua seconda produzione) chiese e ottenne dalle autorità veneziane il privilegio di essere l'unico a stamparla nel territorio della Repubblica[5]. Il primo privilegio concesso a un autore, invece, è datato 1486: avvenne sempre a Venezia e ne fu beneficiario Marco Antonio Sabellico[6]. Da allora furono sempre più frequenti le richieste di privilegi da parte di autori, editori e stampatori. Per una legge vera e propria sull'editoria si dovette attendere il 1603.[7] Negli anni seguenti il sistema dei privilegi si diffuse sul resto del suolo italico. Più precisamente, nel Granducato di Toscana vi fu un particolare rapporto tra gli stampatori che venivano tutelati dal granduca, il quale emanava dei decreti che vietassero ad altri di stampare, introdurre o vendere in Toscana le opere stampate da coloro che fruivano dei privilegi. Nello Stato della Chiesa si puntò, come tradizione, soprattutto sulla censura. Papa Leone X si assunse il potere di censura su tutte le opere letterarie di argomento religioso pubblicate in qualsiasi luogo. In ogni caso il sistema dei privilegi fu adottato anche dallo Stato della Chiesa, e anzi i privilegi papali erano molto più ricercati di qualunque altri, in quanto più efficaci. Infatti la pena per i contraffattori comportava molto più che una semplice multa, ovvero la scomunica. Ne discende che la validità di tali privilegi oltrepassasse i confini dello Stato, e si applicasse all'intero mondo cattolico.


Il «privilegio» di stampa nella Venezia del Cinquecento
Il privilegio si poteva richiedere solo per la pubblicazione di opere nuove. Erano esclusi tutti i testi già pubblicati (quindi anche i classici latini e greci, considerati un bene comune della collettività) e i libri liturgici. Il privilegio non veniva concesso all'autore in quanto tale, ma a chi, possedendo l'opera fisicamente (ovvero possedendo il manoscritto), affrontava le spese della realizzazione tipografica. Durava di solito da 10 anni a 25 anni; all'interno di tale periodo il titolare poteva, a seconda della richiesta, stampare l'opera una sola o più volte. Si doveva chiedere un privilegio per ciascuna opera; il libro doveva essere stampato nel territorio della Repubblica e la tiratura doveva essere almeno pari a 400 copie. Le pene previste per i trasgressori consistevano sostanzialmente nel sequestro delle copie pubblicate in violazione di privilegio, più una multa. Vere e proprie leggi in materia di stampa furono approvate a Venezia solo nel secolo XVII (la prima, organica, che fu anche la prima in Italia, venne emanata nel 1603).


19 settembre 1603

Nasce a Venezia Lorenzo Marcello quarto di otto figli. A 15 anni si imbarca come "nobile di nave" nella galea di Antonio Pisani, provveditore dell'Armata. La sua fu una carriera fulminante. A 22 anni fu nominato sopracomito (comandante) di galea sottile.
A 25 fu eletto patron all'Arsenale.
A 27 nominato governatore di galea grossa , inizio scortando i mercantili diretti in Siria e combattendo i Turchi nell'Egeo e alle Cicladi.
A 31 anni fu nominato capitano della guardia del Regno di Candia e condusse un'intensa campagna contro i corsari che infestavano la zona, scacciandoli definitivamente
A 34 anni nuova promozione come capitano delle galeazze.In questo ruolo fece da scorta alle navi da trasporto nel mediterraneo orientale, combatté i pirati barbareschi che nel 1638, avevano devastato le coste della Puglia. Guidata da Antonio Marino Cappello, la flotta veneziana aveva stretto d'assedio i nemici che si erano rifugiati a Valona. Durante questo evento, il Marcello, che combatteva sotto il tiro delle batterie dei forti, venne ferito a un braccio da una scheggia; ciononostante, rimase al comando del proprio contingente sino alla vittoria, guadagnandosi l'elogio del Senato. Tornato a Venezia, i suoi meriti gli valsero, il 24 agosto 1638, la nomina a censore.
A 39 anni divenne provveditore dell'Armata, la seconda carica dopo quella di capitano generale da Mar e operò ancora contro i pirati barbareschi attaccando Senigallia, che avevano occupato. All'inizio della guerra di Candia, il Marcello si trovava ancora in mare per ostacolare l'arrivo di rinforzi verso la Canea, occupata dai Turchi. Queste operazioni proseguirono anche nell'inverno successivo, tuttavia i Veneziani avevano bisogno di un intervento offensivo drastico ed efficace. Il Marcello fu uno dei più accesi sostenitori. Nel maggio 1647, inseguì un gruppo di navi turche che da Chio erano fuggita a Napoli di Romania. I legni del Marcello, passati sotto i tiri delle batterie del forte di Cisme, riuscirono comunque a raggiungere il nemico e catturarono numerose imbarcazioni cariche di rifornimenti. La primavera dell’anno seguente militò nello Ionio e nell'Adriatico, difendendo le rotte di navigazione; dopodiché si riunì al resto della flotta, mostrando ancora una volta la sua propensione a una strategia aggressiva. Il governo veneziano, ora più vicino alle sue idee, si rivolse a lui per risollevare le truppe (demoralizzate dal terribile naufragio di centocinque navi, appena occorso) e il 9 maggio 1648 lo nominò "provveditore estraordinario in armata". Dopo una parentesi in patria, venendo per quattro volte eletto senatore. Nel giugno 1655 tornò ad occuparsi direttamente della flotta: morto il capitano generale Girolamo Foscarini, ne prese il posto, scontrandosi subito con i diversi orientamenti di alcuni comandanti dello stato maggiore, ma fu sempre sostenuto dal governo e dalla stima dei suoi uomini. Nel marzo 1656 il Marcello salpò da Candia con un piano ambizioso: distruggere la flotta nemica non appena avesse passato lo stretto dei Dardanelli e quindi ripiegare alla Canea per liberarla. Dopo aver sostanzialmente temporeggiato per qualche tempo, in aprile gli giunse la notizia di un'uscita della flotta da Costantinopoli; il Marcello, di conseguenza, si diresse verso lo stretto, giungendovi il 23 maggio con una flotta composta da 23 galee, 7 galeazze, 28 navi a vela e da naviglio minore, le quali, pur non perfettamente efficienti, contavano su uomini addestrati e dal morale elevato. Dopo un mese di attesa, il 23 giugno apparvero le navi turche: un centinaio di unità. I Veneziani erano schierati in tre formazioni disposte a semicerchio, in modo da bloccare l'intero passaggio dalla costa europea a quella asiatica. I legni turchi, protetti da terra dai forti, si rivolsero inizialmente al centro del semicerchio, dove si trovava proprio il Marcello. Il comandante si pose al centro dei combattimenti senza risparmiarsi: venne colpito da una cannonata mentre si accingeva ad abbordare una nave nemica e morì tra le braccia del suo luogotenente Giovanni Marcello, il quale ne coprì la salma per non demoralizzare gli equipaggi. Sotto il nuovo comando di Barbaro Badoer, i Veneziani conseguirono un grandissimo successo, con decine di navi nemiche catturate o distrutte. Fu Lazzaro Mocenigo a portare in Patria la notizia della vittoria, assieme al corpo del Marcello che, dopo i funerali di Stato, venne sepolto nella tomba di famiglia a San Vidal. I familiari ebbero numerose ricompense e il fratello Girolamo ricevette il titolo di cavaliere di San Marco. Della sua eredità, come riportato nel suo testamento del 1652, godettero alcuni enti religiosi e assistenziali, la servitù e i parenti, mentre il grosso del suo patrimonio (circa 75.000 ducati) finiva ai pronipoti, figli del nipote prediletto Andrea.