7 settembre 1298

La battaglia navale di Curzola, svoltasi nei pressi dell’isola omonima con la vittoria di Genovesi, ripristinò l’equilibrio tra le due repubbliche marinare di Genova e Venezia. L’7 settembre 1298, vicino a Zara, dato che i Genovesi per provocare i Veneziani avevano devastato la costa dalmata, 90 vascelli Veneziani diedero battaglia a 80 vascelli Genovesi. La formazione ligure era a favore di vento e a “voga arrancata” (ovvero la massima velocità raggiungibile da una galea) piombò in formazione serrata sullo schieramento di Venezia, rompendone i ranghi. Memore del successo alla battaglia della Meloria, Doria lasciò in disparte 15 delle 78 galee come rinforzo, nonostante l’alto rischio: i Genovesi infatti erano in netta inferiorità numerica contro le 95 navi Veneziane al comando del Doge Pietro Gradenigo e dell’Ammiraglio Andrea Dandolo. Quando i Veneziani credettero di avere la meglio, dal ridosso dell’isola di Lastovo le quindici galee dei Genovesi piombarono sui Veneziani cambiando la sorte dello scontro. La battaglia fu particolarmente sanguinosa, e costò caro in termini di perdite umane, alla flotta della “Superba”. Nella battaglia i Veneziani persero ottantacinque navi: di queste, diciotto furono catturate e le rimanenti, in spregio, furono bruciate. I morti tra i veneti furono 7000, circa 7500 i prigionieri, tra cui forse un personaggio che sarebbe divenuto celebre, Marco Polo, che tornato dal suo viaggio in Oriente, fino al lontano Catai,era stato insignito dell’onore del comando di una delle galee. Sebbene la sua presenza nella battaglia non è certa, sicuramente fu catturato dai Genovesi, anche se non nei pressi di Curzola, come sostenuto da alcuni studiosi, ma forse più probabilmente a Laiazzo in Cilicia, dopo uno scontro navale nel Golfo di Alessandretta. Nelle prigioni di Palazzo San Giorgio a Genova il grande navigatore veneto incontrò Rustichello da Pisa, scrittore, incarcerato in seguito alla sconfitta di Pisa nella Battaglia della Meloria (1284). Questi durante la prigionia si offrì di scrivere i resoconti orali del viaggio di Marco Polo che fu scritta in lingua d’oïl, lingua medievale romanza-galloromanza da cui nacque il francese moderno.


7 settembre 1729

Nasce a Venezia Novelli Pietro Antonio da Francesco, figlio di Giambattista nobile trevigiano e da Caterina Pedrini, veneta, ma di origine bergamasca. Il padre morì prima ancora ch’egli nascesse: si fece quindi carico della sua educazione un intraprendente sacerdote, l’abate modenese Pietro Antonio Toni che lo erudì nelle lettere e gli istillò l’amore per la musica e l’arte, orientandolo verso l’arte dei maestri bolognesi (si addestrò a copiare disegni di Guido Reni), ma conducendolo anche all’Accademia del Nudo e negli studi dei pittori veneziani di maggior fama in modo che, scrive lo stesso Novelli, «stando a vederli operare imparassi il vario modo del compor delle tinte e del maneggiare i pennelli». Divenuto “accademico professore” nel 1754, e membro dell’Accademia di Venezia nel 1768, si diede ad un’intensa attività pittorica, volta soprattutto all’illustrazione libraria, pur se non mancarono opere di maggior impegno, quali la pala d’altare (1760) della chiesa di S. Fosca a Venezia raffigurante il Cuore di Gesù adorato da S. Giuseppe, o La Discesa dello Spirito Santo del duomo di Lendinara. Al 1765 risale la prima delle tre pale d’altare che eseguì per il duomo di Tolmezzo, un dipinto che il pittore così descrive nell’autobiografia: «la Beatissima Vergine con Giesù fanciullo alle sue ginocchia tutto vestito, poi S. Giuseppe, S. Domenico e S. Catterina da Siena e un gruppo di tre puttini con una cesta di rose». È inserito in un altare eretto su progetto di Giovanni Battista Bettini nel 1764-65, a spese di Pietro Antonio Linussio, della nota famiglia di imprenditori carnici ben conosciuti a Venezia. Nello stesso anno dipinse una pala d’altare per la chiesa udinese di S. Pietro in borgo Aquileia: dispersa la tela in seguito alle soppressioni napoleoniche, ne rimane il disegno preparatorio in collezione privata.