23 agosto 1683


Giovanni Poleni nasce a Venezia, è stato un matematico, fisico e ingegnere.Destinato dal padre alla carriera giuridica, la abbandonò presto per dedicarsi agli studi di architettura civile e militare, sotto la guida di Giuseppe Marcati, e a quelli di fisica, matematica ed astronomia. Pubblicò i suoi primi studi in un volume, Miscellanea (1709), che gli valse, giovanissimo, la cattedra di Astronomia e Meteore all’Università di Padova. Nel volume espone ricerche sul barometro, sul termometro, sulle macchine calcolatrici e sulla gnomonica. Nel 1709 ottenne la cattedra di astronomia e meteore presso l’Università di Padova. Nello stesso anno (il 30 novembre) venne eletto membro della Royal Society. Nel 1715 passò alla cattedra di fisica, dove aggiunse ai suoi interessi gli studi di idraulica. Nello stesso anno fu nominato membro dell’Accademia di Berlino per interessamento di Leibniz. Nel 1719 passò alla cattedra di matematica, che era stata di Nicolaus Bernoulli. In questo periodo scrisse di calendaristica e di navigazione. Nel 1725 iniziò una serie di sistematica di osservazioni e misurazioni meteorologiche, che saranno continuate con regolarità dal figlio Francesco, da Giovanni Battista Morgagni e dall’abate Giuseppe Toaldo. Umanista a tutto campo, oltre che di idraulica e architettura, studiò a fondo l’opera di Vitruvio, pubblicando le Exercitaxiones Vitruviane (1739). Nel 1739, ottenne della Serenissima Repubblica la fondazione a Padova di una delle prime cattedre europee di Fisica Sperimentale. Associato alla cattedra fu costituito il Teatro di Filosofia Sperimentale, una raccolta di strumenti scientifici utilizzati per la didattica e la ricerca e realizzati dai più esperti costruttori dell’epoca. Poleni continuò ad arricchire la raccolta fino alla sua morte, così che questa raggiunse la dimensione di quasi quattrocento diversi strumenti, diventando la più importante d’Europa. Nel 1740 fondò il primo laboratorio di fisica in una università italiana. Nel 1743 prese parte agli studi per il restauro della cupola di San Pietro a Roma. L’ultima cattedra da lui ricoperta fu quella di scienze nautiche e costruzioni navali (1755). Appassionato di musica, fu protettore di Giuseppe Tartini. La prima opera a stampa di Giovanni Poleni fu un libricino dal titolo di “Miscellanea”, pubblicato verso la fine del 1709 presso l’editore veneziano Aloisio Pavino. Nel frontespizio della breve opera si legge che in essa si trattano tre diversi argomenti:

  • 1. una dissertazione sui barometri e sui termometri
  • 2. la descrizione di una ‘macchina aritmetica’ e del suo uso
  • 3. un trattato sulle sezioni coniche e sul loro uso nel progetto degli orologi solari

    La seconda sezione della Miscellanea tratta quindi della prima calcolatrice meccanica inventata e realizzata in Italia ed una delle prime in assoluto. Il capitolo si apre con le seguenti parole: “Avendo più volte inteso, sia dalla viva voce, sia dagli scritti degli uomini eruditi che sono state realizzate dalla perspicacia e dalla cura dell’illustrissimo Pascal e di Leibniz due macchine aritmetiche che servono per la moltiplicazione, delle quali non conosco la descrizione del meccanismo e non so se essa sia stata resa manifesta, ho desiderato: e di indovinare col pensiero e la riflessione la loro costruzione, e di costruirne una nuova che attuasse lo stesso scopo.” Il progetto di Poleni era quello di realizzare una macchina che potesse eseguire ‘automaticamente’ le quattro operazioni aritmetiche, ad emulazione di quella di Leibniz, ma ricorrendo ad un meccanismo totalmente diverso ed originale. Giuseppe Gennari, nella sua biografia del Poleni, precisa: “Dall’aver letto che il signor Pascale e il signor Leibnizio avevano inventate due macchine aritmetiche, fu eccitato a pensare alla struttura di una macchina che moltiplicasse in quella maniera che viene indicata dal signor Leibnizio in una sua lettera registrata nel III tomo dell’opere del Vallisio”; riferendosi probabilmente all’Opera Mathematica di John Wallis. Poleni ha quindi saputo delle macchine ideate da Blaise Pascal e da Gottfried Leibniz nel secolo precedente, ma non ne conosce l’intimo meccanismo, e sorge in lui il desiderio di mettere alla prova il proprio ingegno progettandone e costruendone una nuova, possibilmente migliore. Il suo progetto fu quindi originale e di elevato valore, non solo costruttivo, ma soprattutto concettuale. Poleni continua: “Per un felice caso, ho concepito una macchina con l’uso della quale anche un inesperto nell’arte del calcolo, purché conosca le cifre, possa eseguire le singole operazioni aritmetiche . Pertanto mi sono preoccupato che fosse realizzata in legno, come l’avevo progettata e ciò, sebbene in un primo tempo costruita con scarsa precisione, ha dimostrato che la cosa era conseguibile piuttosto che fatta. Pertanto l’ho ristudiata da capo, l’ho costruita in legno più duro, con tutta la possibile attenzione ed il lavoro intrapreso non è riuscito vano.” Non siamo quindi a conoscenza di quando la macchina fu ideata e di quando ne iniziò la costruzione. Neppure sappiamo se Poleni abbia provveduto personalmente o abbia affidato la lavorazione ad un esperto artigiano – nel Settecento era raro che un nobile mettesse mano personalmente ad attrezzi e materiali, anche gli strumenti del Teatro di Filosofia Sperimentale di Padova furono commissionati o acquistati da artigiani sparsi per tutta l’Europa. Il progetto di Poleni era quello di realizzare una macchina che potesse eseguire ‘automaticamente’ le quattro operazioni aritmetiche, ad emulazione di quella di Leibniz, ma ricorrendo ad un meccanismo totalmente diverso ed originale, quello che fa uso del così detto traspositore a denti variabili. L’altra idea originale di Poleni riguarda il movimento dell’intero meccanismo che non si ottiene ruotando una manovella, come in Leibniz e in altre macchine dell’epoca, ma è prodotto dalla caduta di un peso, come negli orologi. Una volta impostati moltiplicando e moltiplicatore, l’operazione avviene quindi in modo veramente automatico. Nel 1849 i francesi T. Maurel e I. H. Jayet proporranno una calcolatrice mossa da un mototre a molla, ma bisognerà attendere l’avvento delle calcolatrici elettriche del XX secolo per trovare calcolatrici veramente automatiche. Muore a Padova, il 15 novembre 1761.

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    23 agosto 1797

    Grazie allo spontaneo aiuto dato nel 1368 alla flotta veneta durante un terribile assedio, la città di Perasto si guadagnò il titolo di “fedelissima gonfaloniera”, che mantenne fino alla fine della Repubblica. La città ebbe l’onore e privilegio di custodire il gonfalone di guerra della flotta veneta; anche i dodici Gonfalonieri di Perasto, che in corso di battaglia costituivano la guardia personale del doge ed avevano il compito di difendere il vessillo sulla nave ammiraglia, provenivano esclusivamente da Perasto. La devozione della cittadina alla Repubblica di Venezia non venne meno neppure alla caduta di quest’ultima: mentre il 12 maggio 1797 il doge depose le insegne di San Marco, i perastini decisero di rimanere veneziani e si ressero in autogoverno fino all’arrivo delle truppe austriache. I vessilli veneti rimasero così issati fino al 23 agosto, giorno in cui vennero seppelliti con una cerimonia solenne, l’ultima della Serenissima, sotto l’altare del duomo.

    prima di iniziare il discorso Il capitano della guardia, conte Giuseppe Viscovich si rivolge a suo nipote e gli dice:
    "INXENOCITE ANCA TI, ANIBALE, E TIENTELA A MENTE PER TUTA LA VITA".


    Ti con nu, nu con ti («tu con noi, noi con te»)
    «En sto amaro moment, che lacera el nostro cor; in sto ultemo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenisimo Dominio, el Gonfaon de a Serenisima Republica, ne sipa de confort, o Sitadini, che né a nostra condota pasà né queła de sti ultemi tempi, ga portà a sto ato fatal, ma virtoso, che ora xe doveroso par nu. Savarà da nu i nostri fioi, e a storia del dì farà saver a tuta l'Europa, che Perasto ga degnament sostenù fin l'ultemo l'onor el Veneto Gonfałon, onorandoło co sto ato sołene e metendoło bagnà del nostro universal amar piant. Sfoghemose, sitadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultemi sentimenti coi quai sigieremo a nostra gloriosa cariera corsa sot el Serenisimo Veneto Governo, rivolxemose verso sto vesiło che o rapresenta e su eo sfoghemo el nostro dołor. Par tresentosetantasete áni a nostra fede, el nostro vaor senpre custodìa par tera e par mar, par tut n'do né ga ciamà i so nemisi, che xe stai pur quei de a Reison. Par tresentosetantasete áni e nostre sostanse, el nostro sangue, e nostre vite e xe stae senpre par Ti, o San Marco; e feisisimi senpre ce semo reputà Ti co nu nu co Ti; e senpre co Ti sul mar nu semo stai ilustri e vitoriosi. Nisun co Ti ce ga vist scanpar, nisun co Ti ce ga vist vinti o spaurosi! Se i tempi presenti, infeisisimi par inprevidensa, par disenxion, par arbitri iłegai, toe saría stae senpre e nostre sostanse, el sangue, a nostra vida e pìtost che vederte vint e desonorà dai toi, el corajo nostro a nostra fede se gavarà sepeì sot de Ti! Ma zà che altro no ne resta da far par Ti, el nostro cor sipa l'onoratisema to tomba, e el pi puro e el pi grand to ełozo e nostre lagreme!»