30 gennaio 1585

Viene condannato a morte per decapitazione Gabriele Emo Comandante di una galera. Mentre veleggiava presso Cefalonia si era scontrato con una nave turca sulla quale si trovava anche la vedova di un Re Vassallo dell'Imperatore dei Turchi, che stava recandosi a Costantinopoli per farvi incoronare il proprio figliolo. L' Emo, non contento di essersi impadronito dei tesori che si trovavano a bordo della galea, fece tagliare a pezzi tutti i prigionieri e gettare a mare tutte le donne. La notizia suscitò scalpore e allarme nel governo della Serenissima. I Turchi, che erano stati tempestivamente informati dell'accaduto, protestarono vibratamente e presentarono al bailo una versione dei fatti diametralmente opposta a quella fornita dall'Emo. L'ambasciatore Giovan Francesco Morosini condusse con molta abilità e sangue freddo l'intera questione, sfruttando ampiamente la mancanza di volontà di entrambe le parti di venire ad uno scontro armato di più vaste proporzioni e utilizzando sapientemente il denaro messogli a disposizione con gli esponenti turchi che contavano. Il Senato ordinò subito un'inchiesta sull'operato dell'Emo e intanto ne ordinò l'arresto e la traduzione a Venezia. Il 30 gennaio 1585 (1584 more veneto) tra le due colonne della piazzetta S.Marco, "fu fatto morire - si legge negli Annali mss. di Alvise Michiel - il quale non parlò mai e fu levata la testa con un colpo solo alla presenza di più di quarantamila persone, che quasi tutte biasimavano per compassione". Le spoglie ebbero sepoltura nella chiesa veneziana dei servi ove riposavano i suoi antenati. Il Senato, respingendo la proposta di Leonardo Donà di non far eseguire la sentenza in pubblico per rispetto alla nobiltà veneziana, aveva voluto dare un esempio.