3 gennaio 1117

si è verificato il più forte terremoto dell’area padana di cui si abbia notizia. Nonostante siano trascorsi ben nove secoli e il terremoto si sia verificato in un’area caratterizzata all’epoca da sporadici nuclei abitati situati tra zone paludose e foreste, disponiamo di un gran numero di informazioni su questo evento. Grazie anche alla fitta rete di monasteri benedettini presenti nel XII secolo, esiste infatti un’ampia tipologia di fonti coeve, quali annali monastici, documenti di varia tipologia ed epigrafi, che ci forniscono differenziate e puntuali informazioni su questo terremoto. Si trattò di un evento assai importante per la società del tempo, contraddistinta da un contesto di generale sviluppo economico, infatti le città in quegli anni attraversavano una fase di ripresa economica e demografica e venivano edificati edifici pubblici e chiese. Il terremoto del 1117 si impresse a lungo nella memoria delle popolazioni colpite divenendo un elemento di riferimento cronologico per datare altri avvenimenti, come testimoniato da numerosi documenti successivi. Il terremoto ebbe una grande fama in tutta l’Europa medievale ed è ricordato in quasi tutti gli annali monastici europei del tempo anche perchè molto probabilmente si è trattato di un evento multiplo. L’ampia e accurata ricerca cronachistica e archivistica svolta ha solo parzialmente fatto luce sulla grande complessità di questo evento; da alcuni ricercatori sono state individuate tre diverse scosse: la prima avvenuta nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, la seconda, la più forte, avvenuta nel primo pomeriggio (alle ore 15:15 GMT) del 3 gennaio in concomitanza con una terza scossa di minore entità . La prima scossa si sarebbe verificata nella Germania meridionale causando danneggiamenti in particolare nell’area di Augusta e Costanza. La seconda scossa ha duramente colpito la Pianura Padana, ed è stata caratterizzata da un’area di danneggiamento molto ampia, comprendente il Veneto, la Lombardia e l’Emilia. Il terzo evento avrebbe interessato l’Alta Toscana, causando il crollo di torri, edifici e campanili nel territorio di Pisa e Lucca. L’evento più forte della sequenza si è quindi verificato nel primo pomeriggio del 3 gennaio 1117 e ha duramente colpito l’area della Pianura Padana veronese, causando danni da Piacenza sino alla costa adriatica. Parte di questi danni sono stati identificati per mezzo di un’estesa ricerca su restauri e ricostruzioni, in edilizia ecclesiastica, successivi al 1117. Chiesa di San Pietro a San Pietro in Valle (Verona). Le differenti tipologie di muratura testimoniano il periodo di costruzione. Il transetto e la base della torre sono databili all’alto Medioevo; la sommità della torre invece risale al XII secolo, molto probabilmente è stata ricostruita dopo il terremoto del 1117. I dati di intensità macrosismica mostrano che l’area dei maggiori danneggiamenti è localizzata nella valle del Fiume Adige, a sud di Verona. Nel Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani la magnitudo stimata di questo evento è pari a 6.5. Diversi elementi rendono complessa l’individuazione geologica della/delle faglie responsabili dell’evento in questione, vediamo solo i principali: le intensità macrosismiche più elevate sono distribuite su di una porzione molto ampia di pianura; non possiamo escludere che il forte evento denominato Veronese del 3 gennaio sia stato in realtà una sequenza di più scosse molto ravvicinate nel tempo; l’area epicentrale è sede oggi di pochi terremoti strumentali di bassa magnitudo; l’epicentro macrosismico è localizzato in un’area pianeggiante ritenuta usualmente “indeformata” dal punto di vista sismotettonico; le faglie della Pianura Padana non arrivano a tagliare la superficie terrestre ma si fermano in profondità, sono infatti definite faglie cieche. Pertanto possono essere rilevate solo grazie allo studio di prospezioni geofisiche o attraverso altri metodi indiretti. Il complesso e articolato paesaggio della Pianura Padana, sia quello visibile in superficie sia quello sepolto sotto i sedimenti di origine marina e fluviale. Le strutture compressive, o thrust, delle Alpi Meridionali, a nord, e dell’Appennino Settentrionale, a sud, proseguono al di sotto dei sedimenti della Pianura Padana e sono attualmente in avvicinamento, come mostrano i dati geodetici satellitari. In profondità questo raccorciamento si trasforma in uno sforzo di caricamento di faglie di tipo compressivo localizzate al piede delle Alpi e al piede dell’ Appennino. Identificare la faglia responsabile del terremoto del 1117 richiede che si prenda in dovuta considerazione sia l’assetto delle due catene montuose sia l’assetto paleogeografico preesistente. L’avvicinamento delle due catene è infatti fortemente condizionato dalla presenza di un contesto geologico “ereditato”. Quando l’area epicentrale del terremoto del 1117 è localizzata in una zona ritenuta “indeformata”, ci si riferisce a quella porzione di territorio che non è ancora stata apparentemente raggiunta, in profondità, dai thrust delle due catene montuose in avvicinamento.


3 gennaio 1731

Angelo Emo nasce a Venezia, è stato l'ultimo capitano di mare della Serenissima Repubblica di Venezia. Appartenente alla famiglia patrizia degli Emo, Angelo era figlio di Giovanni e Lucia Lombardo. All'età di dodici anni, dopo essere stato educato da un precettore, si trasferì a Brescia, dove frequentò il locale e prestigioso Collegio dei Gesuiti, eccellendo nelle lettere, nella filosofia e soprattutto nella letteratura latina, che era sempre stata la sua grande passione. A 20 anni entrò nella Marina Veneta, come ufficiale patrizio, a bordo dei velieri della cosiddetta Armada Grossa e, già nel 1760, gli fu affidato il comando di una nave da settantaquattro cannoni, con l’incarico di scorta del delegato Francesco Grimani a Corfù. Le sue idee innovative gli valsero una rapida carriera, durante la quale prese coscienza delle debolezze e delle inefficienze che affliggevano l'antica potenza navale veneziana. Propose l'introduzione di nuovi tipi di navi e riuscì a migliorare il livello degli equipaggi, presentando anche al Senato proposte per un radicale rinnovamento della Marina, proposte che però non trovarono accoglimento. Impegnato nella carriera, mai sposato. Pur vivendo in un periodo di relativa tranquillità per la Repubblica, anche per la consapevolezza veneziana della progressiva riduzione della propria capacità d'azione, ebbe modo di distinguersi dal punto di vista bellico sotto la guida di Paolo Renier. In questo periodo, infatti, le continue incursioni dei corsari barbareschi danneggiavano il mercato veneziano e le rotte marittime e si decise di punirli per questo. Per l'occasione la Repubblica dichiarò guerra al Bey tunisino. Dopo aver condotto la flotta, ed avendo facilmente sconfitto nel mare dei nemici, con sole galee ed altri vascelli leggeri con poco pescaggio, Emo, quando questi si rifugiarono nei loro porti, protetti dalle basse acque, ebbe l'astuta idea di bombardare i porti (Sfax, Tunisia, Biserta, solo per citarne alcuni) utilizzando le zattere con sopra i cannoni, con questo sistema arrivava a bombardare in prossimità dell'imboccatura dei porti. Secondo alcuni testimoni dell'epoca, la città di Biserta fu quasi distrutta. Grazie a Emo fu assemblata l'ultima flotta di una certa consistenza nella storia della Serenissima, composta da cinque navi di linea e cinque fregate e una serie di mortai trasportati su zattere, inventate dallo stesso Emo. La Repubblica di Venezia, promosse una successiva spedizione, al comando di Emo, che però, nonostante i gravi danni arrecati alla città barbara, non induce i rivali a cedere; Emo non rimase al comando fino alla fine della spedizione, ma tornò a Venezia, consegnando il comando al suo luogotenente, Thomas Condulmer. Carattere non facile, durante una delle sue visite a Malta, al comando di una pattuglia di Venezia, a causa del suo comportamento definito "altezzoso", venne avvicinato e insultato nella tolda della sua ammiraglia,la fregata della serie Fama, la sua reazione fu quella di ritenere il fatto "un affronto alla “repubblica" e, come tale, chiese a Emmanuel de Rohan-Polduc Gran Maestro dell'Ordine di Malta una punizione esemplare; di conseguenza, due cavalieri furono condannati a 20 anni di carcere e gli altri espulsi dall'ordine e dall'isola. Dopo la pace, tentò una nuova riforma della Marina veneziana, prendendo a modello la Royal Navy britannica. Angelo Emo morì improvvisamente a Malta, all'età di 61 anni, il 3 marzo 1792, e fu sepolto con grandi onori dai suoi marinai, che lo avevano sempre stimato e apprezzato. Emo è considerato uno dei grandi ammiragli della storia navale veneziana