12 gennaio 1673

Nonostante il famoso proverbio veneziano che elenca le qualità della donna in “Che a piasa, che a tasa e che a staga in casa” (Che piaccia, che taccia e che stia a casa) le donne veneziane della Serenissima avevano più diritti e libertà degli standard delle altre nazioni dell’epoca. A Venezia già nel 1600 era stato pubblicato un libro di Lucrezia Marinelli “Le nobiltà et le eccellenze delle donne et i difetti e mancamenti de gli huomini”, quasi un’eresia per l’epoca fuori dalla Serenissima. Le donne, nubili o sposate che fossero, frequentavano circoli, feste, salotti non erano certo confinate in casa ed erano in molte a studiare anche nelle famiglie borghesi, quando lo studio era riservato quasi esclusivamente alla nobiltà e in generale il solo saper leggere e scrivere e “far di conto” era già molto per una donna. Certo c’erano matrimoni combinati, il convento per le ribelli ma c’erano anche donne assolutamente indipendenti, che seguivano la loro professione in piena libertà senza limitazioni dovute al sesso e che riuscirono a fare “carriera” proprio, come Rosalba che riuscì a diventare la più famosa pittrice italiana del ‘700 in tutta Europa. Rosalba Carriera era nata a Venezia il 12 gennaio 1673, figlia di Andrea, impiegato nell’amministrazione della Serenissima, e di Alba Foresti, ricamatrice. La famiglia era originaria di Chioggia, trasferita a Venezia per il lavoro del padre. Aveva due sorelle minori, Giovanna e Angela. Le ragazze Carriera studiarono lingue, letteratura, poesia, canto, musica e arte, tanto che il salotto Carriera divenne ritrovo degli artisti veneziani. Rosalba fin da piccola aveva dimostrato una grande capacità nel disegno, disegnava i merletti che la madre poi realizzava e dipingeva miniature su piccole lastre di avorio, fu la prima ad usare questo materiale, per i coperchi delle tabacchiere, ma iniziò presto ad avvicinarsi al pastello. Il pastello morbido era stato inventato nel ‘500 da Jean Perréal, lo usò anche Leonardo da Vinci, ma veniva usato solo per gli schizzi preliminari. Assomigliava ai pastelli a cera di oggi, i pigmenti erano minerali o vegetali, amalgamati con varie sostanze a seconda della durezza che si voleva ottenere: gomma arabica, lattice di fico, colla di pesce, cera o sapone di Marsiglia. Venivano poi formati dei bastoncini e messi ad asciugare. Era usato maggiormente dalle donne, mentre gli uomini prediligevano la pittura ad olio, aveva un effetto più leggero e trasparente, più luminoso, e soprattutto rendeva in modo fedele il colore della pelle. Aveva il vantaggio di poter essere preparato in anticipo, la pittura era veloce limitando i tempi di posa per i clienti e non necessitava asciugatura. Per contro aveva il difetto di essere molto più delicato dell’olio e necessitava di un fissatore per durare nel tempo. Rosalba fu la prima a usare i pastelli per tutta l’opera, non solo per gli schizzi, e fu un tale successo che dopo di lei molti pittori cominciarono ad usarlo. Rosalba amava sperimentare colori, usava molto il bianco di piombo per ammorbidirli e renderli più naturali, senza sapere quanto fosse velenoso e che col tempo sarebbe stato il responsabile della sua cecità. Le tre sorelle si dilettavano con la pittura, ma Rosalba era la più dotata e i genitori già nel 1690 la mandarono a bottega da Giuseppe Diamantini. Dal 1703 iniziò la sua attività indipendente con i suoi pastelli, e nel 1705 inviò a Roma la sua miniatura “Fanciulla con la colomba” che le valse l’immediata ammissione all’Accademia Nazionale di San Luca.La sua fama cresceva, arrivavano gli ordini e Rosalba nel suo studio a San Vio nel sestiere di Dorsoduro, aiutata soprattutto dalla sorella Giovanna pittrice anche lei, diventò imprenditrice di se stessa. Raccoglieva le ordinazioni, dipingeva, si occupava della spedizione delle opere, tutto in piena autonomia. Il suo studio divenne anche un famoso circolo artistico frequentato da artisti e da clienti, spesso stranieri in visita a Venezia, che volevano vedere le sue opere e commissionarle ritratti. Fra questi Federico IV di Danimarca, che le ordinò un ritratto ed una serie di dipinti a tema donne veneziane. Nel suo studio iniziò anche a insegnare la tecnica del pastello, fra le sue allieve predilette vi furono Felicita Sartori e Marianna Carlevarijs. Nel 1720, su invito di Pierre Crozat, mecenate e collezionista d’arte, si trasferì a Parigi con tutta la famiglia, tranne il padre morto nel 1719, e compreso il cognato Antonio Pellegrini marito di Angela e anche lui pittore. Crozat, invitandola, le scrisse di andare tranquillamente in Francia, dove sarebbe stata accolta a braccia aperte, data la richiesta dei suoi ritratti: “voi che non avete nulla della debolezza delle donne e che siete migliore di cento uomini”. E Rosalba era proprio così, indipendente, qualunque legame sentimentale avrebbe limitato la sua libertà. Non se ne conoscono amori o relazioni, e se ce ne furono ebbero davvero poca importanza (tanto da non essere neppure ricordati) e rifiutò ogni proposta di matrimonio. Non volle e non ebbe mai mecenati e protettori, trattava in prima persona con i committenti, forse la prima vera businesswoman dell’arte. A Parigi conobbe Antoine Watteau, del quale fece un ritratto e divenne amica, e la sua fama arrivò alla corte di Francia dove fece i ritratti di tutta la famiglia reale compreso il piccolo Luigi XV, e venne ammessa a parere unanime, senza neppure la necessità del “ballottaggio” all’Académie Royale de Peinture et de Sculpture. In Francia cominciò a tenere un diario minuzioso, copia di tutte le lettere e curiosamente fece una copia di tutti i suoi pastelli aiutata dalla sorella Giovanna, un vero e proprio archivio e a questa abitudine, che continuò per tutta la vita, si devono la maggior parte delle notizie sul suo lavoro e informazioni personali dalle quali si possono notare in lei una certa tendenza alla malinconia e un carattere solitario. A Parigi si trattenne un anno, era sempre richiestissima dal bel mondo questa veneziana virtuosa, seria, libera e indipendente, che incuriosiva i parigini non solo come artista ma anche come donna. Lasciata la Francia viaggiò con la sorella Giovanna per tutta l’Europa, sempre accolta entusiasticamente dalle corti, e finì per ritrarre quasi tutti i sovrani dell’epoca. Nel 1730 rientrò a Venezia, dopo essersi fermata 4 mesi nel Ducato Modena per ritrarre tutta la famiglia estense, e nel 1735 si trasferì a Vienna dove si trattenne a lungo per realizzare le tante opere commissionatele dagli Asburgo. Era principalmente una ritrattista ma sono famose le sue allegorie, di gran moda all’epoca, come i quattro elementi e le quattro stagioni, pochi invece i soggetti religiosi. Il suo stile influenzò fortemente l’arte rococò e venne imitato, non solo per la tecnica pittorica, ma anche per la sua abitudine di “fotografare” i soggetti. La delicatezza e la naturalezza dei suoi ritratti ne fecero la regina del pastello riconosciuta in tutta Europa. La stessa Elisabeth Vigèe Le Brun si ispirò allo stile di Rosalba. Si conoscono più di 300 opere autentiche di Rosalba, più di 100 sono a Dresda, raccolte dal suo più grande ammiratore e collezionista Federico Augusto di Sassonia, più una serie di attribuzioni. Rientrata a Venezia, pur continuando a dipingere, non c’era nobile o facoltoso che in viaggio in città non visitasse il suo studio, commissionandole un ritratto anche con lunghi tempi di attesa, si occupò di istruire allieve e allievi al suo stile particolare di pastello e scrisse il manuale di tecnica, “Maniere diverse per formare i colori nella Pittura”. Tutte le copie delle sue opere che formavano ora quasi una galleria d’arte vennero acquistate in blocco da Augusto III re di Polonia. Nel 1738 morì la sorella Giovanna, che era stata con lei per tutta la vita aiutandola nel lavoro, e Rosalba cadde in una forma di depressione che si accentuò negli anni seguenti, con il calo progressivo della vista. Nel 1746 si sottopose ad un intervento chirurgico alle cornee che purtroppo non riuscì e peggiorò la situazione rendendola totalmente cieca. E’ di quell’anno il suo ultimo dipinto, l’impietoso autoritratto che la mostra invecchiata, ingrigita, spettinata e con un occhio già cieco. Morì a Venezia nella sua casa di San Vio il 15 settembre 1757, da 10 anni non dipingeva più, i dieci anni più duri della sua vita. La casa di Rosalba esiste ancora, è proprio di fianco al Ca’ Venier dei Leoni, ora museo Guggenheim, non esiste invece più lo studio che era comunque nelle vicinanze. Rosalba fu sepolta nella chiesa di San Vio, insieme alla sorella Giovanna. Purtroppo la chiesa fu chiusa nel 1808 e demolita nel 1813. Delle loro tombe non resta traccia ma Rosalba continua a vivere nelle sue opere esposte in tutto il mondo. A Venezia se ne trovano all’Accademia e a Ca’ Rezzonico, il bellissimo Museo del ‘700 veneziano del quale potrete vedere gli interni nel video di Vanilla su Youtube su Giacomo Casanova, suo contemporaneo.

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12 gennaio 1728

L’ultimo bucintoro fu varato sotto il dogato di Alvise Mocenigo e finì distrutto dagli occupanti francesi alla caduta della Serenissima Repubblica. Alla vigilia della festa dell’ Ascensione si metteva in acqua il famoso Bucintoro, cioè l’imbarcazione di rappresentanza del Doge. Lo si portava dall’ Arsenale alla piazzetta dove il popolo si affollava per ammirarne la singolare magnificenza. L‘ultimo fu ideato dall’ architetto navale Michele Stefano Conti e varato il 12 gennaio 1728; uscì dall’Arsenale il 12 maggio dello stesso anno per la menzionata cerimonia ma con il solo apparecchio in rosso, avendo mancato il tempo necessario per coprirlo d’oro: il che venne subito eseguito da Giovanni Adami sugli intagli di Antonio Corradini. Quest’imbarcazione lunga 100 piedi veneti (34 mt), largo 21 (7,30mt) e alto 24 (8,35mt), era diviso in due piani. Nell inferiore stavano i 42 remi mossi da 168 arsenalotti (4 per ogni remo) i cui capi o maestri assistevano alla funzione prendendo posto sul ballatoio esterno di poppa intorno ai seggi del Doge e della Signoria. Il piano superiore, tutto ricoperto di velluto cremisi con guarnizioni e fiocchi d oro, formava un salone, adorno di bassorilievi simboleggianti le scienze e le arti, per tutta la lunghezza del naviglio. All’estremità della poppa, rappresentante una Vittoria navale coi suoi trofei, si trovava un apposito finestrino dal quale il Serenissimo Principe gettava l’anello in mare, anello che era soltanto una copia molto meno preziosa dell’originale. Questo pertugio stava dietro alla poltrona del Doge che si trovava sotto ad un baldacchino a forma di conchiglia sostenuto da due bambini, mentre ai lati del seggio vi erano altre due figure rappresentanti la Prudenza e la Forza : mente e forza, i veri sostegni del Dogato. Presso i gradini si trovavano anche i magnifici sedili per il Patriarca, gli ambasciatori esteri, sei consiglieri ducali, tre capi della Quarantia criminale, i sotto pregadi e i governatori dell’ Arsenale. Al lato opposto, sulla prora, giganteggiava la statua della Giustizia con una bilancia nella mano destra e una spada nell’altra, a simboleggiare non solo il fine supremo del veneto Stato, ma l’affermazione dei propri diritti rispetto alle altre potenze e il deliberato proposito di sostenerli. fu il più imponente e il più tragico: l´avidità delle truppe napoleoniche, dopo aver fatto bottino di tutte le sue decorazioni, lo bruciò per ricavare l´oro e l´argento delle dorature sullo scafo.