10 gennaio 1315

Giovanni Soranzo decise che non c’era modo migliore, per dimostrare lo splendore della Serenissima, di organizzare una fastosa regata. Da allora, ogni volta che veniva eletto un nuovo Papa o un Doge, il lieto evento veniva festeggiato così, con abili rematori a destreggiarsi lungo il Canal Grande e in testa alla processione il Bucintoro, l’imbarcazione rappresentativa della Serenissima. Proprio per questo, ancora oggi, la Regata Storica, che si svolge ogni anno la prima domenica di settembre, è considerata uno degli eventi più tipici di Venezia. I momenti rappresentati sono diversi: il corteo e le regate. Dapprima, lungo il Canal Grande, sfilano le barche tipiche del XVI secolo, ricche di decorazioni. Bissone, gondole, dodesone sono condotte dai gondolieri e dai rappresentanti delle società remiere, in abiti tradizionali. Apre il corteo, come vuole la tradizione dei secoli, proprio il famosissimo Bucintoro. E il tuffo nel passato è di grosso impatto emotivo. A seguire le gare di voga alla veneta. A sfidarsi sono, nell’ordine: i giovanissimi (dai 17 ai 20 anni), le caorline (6 vogatori da Sestieri e Isole), le donne (2 vogatrici) ed i campioni. La competizione più coinvolgente, come è ovvio, è quella dei campioni che, fatalmente, farà poi discutere ogni veneziano per giorni e giorni. Per l’occasione il pubblico si dispone lungo le fondamenta e le rive, sulle tribune galleggianti (le tipiche ‘machine’) e nelle barche ormeggiate lungo il canale. Le urla d’incitamento si sprecano, gli autoctoni riescono a trascinare, con il loro tifo, anche i turisti che partecipano incoraggiando questo o quel vogatore. Il vincitore, e negli anni ricordiamo Strigheta, Ciaci, Gianfranco Vianello "Crea", i fratelli Vignotto da Sant’Erasmo, Giampaolo D’Este, solo per citarne alcuni, è destinato a diventare il beniamino della città. L’intero equipaggio viene premiato con la tipica bandiera rossa seguita per il secondo terzo e quarto posto rispettivamente da quella bianca, verde e infine blu. Lo spagheto o cordin, vale a dire il filo della partenza, viene teso al’altezza dei Giardini mentre il paleto, il palo attorno al quale le barche girano e che determina i primi in bandiera, è infisso nel mezzo del Canal Grande, dove si trova Sant’Andrea della Zirada. Il percorso si snoda quindi da Riva Schiavoni fino a punta della Salute. Per la premiazione i vincitori raggiungono la machina, un immobile galleggiante poggiato su una chiatta lignea, ricca di intagli policromi e dorati. Va ricordato che i campioni gareggiano su gondolini, le donne su mascarete e i giovani su pupparini . Nonostante sia un evento estremamente spettacolare per i turisti, la Regata Storica è considerata dai veneziani una festa autentica e molto seguita tanto che per l’occasione chi può si organizza con ogni sorta di imbarcazione, lungo il bacino di San Marco e il Canal Grande per poter meglio seguire la gara e fare animosamente il tifo. Non a caso questo è tra i più caratteristici e trascinanti momenti della vita cittadina, capace di coinvolgere e appassionare chiunque vi partecipi.


10 gennaio 1604

10 gennaio 1604 (m.v. 1603) vietato erigere conventi e chiese senza autorizzazione della Serenissima. Negli ultimi anni, innanzi all’ascensione al trono di Paolo V, le usurpazioni sul terreno ecclesiastico avevano abbondato. Clemente VIII aveva dovuto lagnarsi ripetutamente per violazioni della giurisdizione vescovile da parte del Senato veneziano.! Nel 1603 sorse a Brescia una questione fra la citta e il clero locale intorno all’obbligo di contribuire al restauro delle mura cittadine.” La Signoria decise contro il clero, e poiché in seguito al conflitto a taluni era stata negata I’assoluzione nella confessione, essa decise di citare in giudizio gli autori di simile procedimento. Ma il clero di Brescia non riconobbe la giurisdizione della Signoria su tale materia, si lamentò presso il papa di dover pagare il doppio dei laici, e prego si procedesse con censure contro i suoi oppressori. Allora la Signoria si richiamo, per giustificazione del suo diritto, alla consuetudine secolare; ‘ ma la Santa Sede comando al vescovo di Brescia di sollevare opposizione contro I’esecuzione dei decreti governativi, ciò che tuttavia il vescovo non ebbe il coraggio di fare. Maggiore attenzione destarono in Roma due leggi veneziane, ancora degli ultimi anni innanzi l’elezione di Paolo V, emanate ambedue non solo per la citta di Venezia, ma per tutto il territorio della repubblica. Chiunque fondasse chiostri, chiese, ospedali e simili senza permesso del Senato viene punito, secondo I'una di queste leggi, col bando perpetuo o, in caso di recidiva, colla perpetua prigionia; le costruzioni erette devono essere demolite, il terreno su cui esse erano sorte confiscato e diviso tra il funzionario esecutore della legge e il denunziante. Trascuranza nell'’esecuzione della legge portava con sé 500 ducati di multa. L'altra legge stabiliva che beni immobili non potevano essere trasmessi senza il permesso dello Stalo a persone ecclesiastiche, né mediante compera nè mediante donazione o in qualsiasi altro modo; altrimenti essi vengono confiscati a profitto della repubblica, del funzionario esecutore della legge e del denunziante; il Senato dev'essere cosi rigoroso nel concedere il permesso come se si trattasse di alienazione di beni statali.


10 gennaio 1606

Leonardo Donà, o Donato (Venezia, 12 febbraio 1536 – Venezia, 16 luglio 1612), è stato il 90º doge della Repubblica di Venezia dal 10 gennaio 1606 fino alla sua morte. Fervidamente religioso - scapolo, per tutta la vita aveva osservato il voto di castità fatto in gioventù, l'intransigente "anti–papista" affrontò la minaccia dell'interdetto di papa Paolo V e, dopo averlo subito, riuscì ad annullarne gli effetti attraverso una dura battaglia condotta sul piano teologico-giuridico da Paolo Sarpi. I due "brevi" promulgati da papa Clemente VIII, a Venezia sortirono l'effetto di eleggere un convinto assertore della più completa autonomia della Repubblica. Dopo "soli" 22 scrutini, il 10 gennaio 1606, all'età di 70 anni, venne eletto il procuratore di San Marco Leonardo Donà. Di famiglia benestante, ma non ricca, Leonardo riuscì a costruire una fortuna amministrando e rinvigorendo una cospicua eredità lasciata da Chiara da Mosto vedova di un prozio. Laureato a Padova e a Bologna in filosofia e morale, erudito e fine paleografo aveva ricoperto parecchi incarichi pubblici: Bailo a Costantinopoli, podestà di Brescia, savio del consiglio ducale, provveditore generale per la terra ferma ed ambasciatore presso la Santa Sede dove Sisto V, suo grande estimatore arrivò a proporgli il vescovado di Brescia e la porpora cardinalizia. La sua investitura avvenne nel segno della più severa austerità tanto da non compiere nemmeno il giro in pozzetto, con grande disappunto del popolo. Essendo scapolo dopo l'insediamento portò a vivere con se, nel Palazzo Ducale tutta la famiglia del fratello Nicolò, con il quale per altro non andava d'accordo, ma forse fu una mossa calcolata per tenerlo più sotto controllo. La sua intransigenza sull'autonomia di Venezia portò presto allo scontro con lo Stato Ponticio che chiedeva invece l'abrogazione delle leggi "anticlericali" promulgate sotto il suo predecessore e la scarcerazione dei due prelati incarcerati per delitti comuni. Da parte di papa Paolo V vi fu l'ultimatum letto in concistoro il 17 aprile 1606 che dava tempo a Venezia di ottemperare entro 24 giorni, pena la scomunica alla città, al doge al senato e l'interdizione di tutti i territori. Prima della scadenza il doge fece affiggere a tutte le porte delle chiese il Protesto redatto da Paolo Sarpi. ( I "protesti" erano delle delibere del Senato mediante le quali non solo si contestava l'operato dei pontefici ma a questi, la Repubblica opponeva la propria ragion di Stato, motivata da elaborati giuridico-teologici, ed accompagnato spesso da divieti e vere e proprie ritorsioni, sia amministrative che penali.) . Leonardo Donà, da profondo conoscitore degli ambienti romani qual'era, aveva voluto accanto, fin da subito, quale consulente "in jure" il famoso teologo e giurista canonico, proprio in previsione di poter parare eventuali colpi da parte dello Stato Pontificio che, da sempre mal vedeva la scelta libertaria di Venezia, nei confronti di tutte le religioni. Il Protesto fu inoltre diramato in tutti i territori accompagnato da specifiche delibere senatoriali con le quali si faceva obbligo a tutti i presuli di tenere aperte le chiese e di mantenere l' ordinaria celebrazione delle funzioni religiose. L'inosservanza di tali disposizioni avrebbe comportato l' immediata esecuzione della pena capitale, mediante impiccagione, senza alcun processo. La reazione da parte del clero non si fece attendere ed i primi ad abbandonare Venezia furono i Gesuiti, seguiti dai Cappuccini e da Teatini, mentre per frate Servita Paolo Sarpi ( Pietro, il nome secolare, oltre che teologo fu anche scienziato, stimato da Galilei, e insigne medico scopritore del sistema valvolare cardio-circolatorio) arrivò la scomunica " ad personam". La situazione incandescente fu relativamente raffreddata dalla mediazione della Francia, tramite il cardinale Joyeus, con l' accordo del 21 aprile 1607. Venezia consegnò i due presuli incarcerati agli emissari di Enrico IV, sottoscrivendo la rinuncia a processarli, non senza alcune riserve e ritirando il Protesto, mantenendo però la prerogativa sulle leggi già promulgate. Il papa, dal canto suo e molto a malincuore, ritirò le scomuniche e l' interdetto. Il risentimento del popolo veneziano, aizzato dalla nobiltà, nei confronti di questo doge integerrimo che pur di mantenere alta la testa della Repubblica aveva però intaccato qualche interesse personale, si manifestò con l'aggressione a Paolo Sarpi, questi la sera del 5 ottobre 1607 fu aggredito ( nei pressi del ponte di Santa Fosca) con tre pugnalate al collo. La risposta del Senato fu il rifiuto di far rientrare i Gesuiti in città e nel 1612, un editto vietò in tutti i territori, la possibilità di far educare i propri figli presso quella confraternita, l'inosservanza, anche questa volta avrebbe comportato l'immediata esecuzione della pena capitale per i trasgressori.Leonardo Donà si spense il 16 luglio 1612 e fu sepolto a San Giorgio Maggiore (detto anche San Giorgio in isola, di fronte al Palazzo Ducale).


10 gennaio 1690

Il 3 aprile 1688 Francesco Morosini è stato eletto all'unanimità Doge di Venezia. Insieme alla richiesta di rimanere come comandante militare, gli sono stati consegnati i simboli della sua dignità 26 maggio sull'isola Egina dove poi ha preso posto. Ha poi abbandonato i suoi tentativi di raggiungere l'isola Eubea conquistare, concentrarsi completamente sull'assunzione di monemvasia, dove si trova 1689 alla fine è riuscito. Stanco e determinato a rivolgere ormai la sua attenzione alla sua carica di doge, torna a Venezia, senza attendere il parere del Senato, dove 10 gennaio 1690 ha celebrato il suo ingresso trionfale. Ma dopo che Girolamo Corner, il suo vice in Grecia, è morto inaspettatamente e i turchi hanno approfittato del vuoto di potere per raccogliere qualche successo militare, ha ripreso il comando su richiesta del Senato. Sopra 24 maggio 1693 lasciò piazza San Marco, acclamato dai veneziani, di nuovo alla Grecia. Aveva già le isole prima della fine dell'anno Salamina, Idra e Spetsae ripreso dai turchi quando improvvisamente si ammalò gravemente. Morì a Nauplia il 6 gennaio 1694. Le sue spoglie furono trasferite a Venezia e sepolte nella chiesa di Santo Stefano. Francesco Morosini è stato l'ultimo belligerante doge di Venezia, che - prima della sua elezione - è stato onorato dallo Stato per i suoi meriti personali.