26 gennaio 1283

La dedizione di Pirano alla Serenissima Repubblica di Venezia rappresenta un momento significativo nella storia della città e del potente stato veneziano. Questo atto di sottomissione volontaria ha cementato un legame duraturo tra Pirano e Venezia, creando una connessione che si è mantenuta forte nel corso dei secoli. Di seguito, le ragioni dietro questa decisione e l'impatto duraturo che ha avuto sulla città. Il periodo tra il XIII e il XIV secolo fu caratterizzato dalla crescente espansione marittima e territoriale di Venezia. La Serenissima Repubblica, nota per la sua potenza economica e militare, estendeva la sua influenza su numerose città costiere dell'Adriatico. Pirano, una città situata lungo la costa dell'Istria, divenne un obiettivo strategico per Venezia, in quanto possedeva un porto importante e un'economia fiorente. Nel 1283, Pirano decise volontariamente di sottomettersi alla Serenissima Repubblica di Venezia attraverso un atto di dedizione. Questa decisione fu guidata da diversi fattori. In primo luogo, la popolazione di Pirano era consapevole della potenza e dell'influenza di Venezia e vedeva nella dedizione un modo per garantire la protezione e la stabilità. Inoltre, la città sperava di beneficiare degli scambi commerciali e delle opportunità economiche offerte dalla Repubblica veneziana. La dedizione di Pirano a Venezia portò notevoli cambiamenti nella vita della città. Venezia garantì a Pirano un certo grado di autonomia amministrativa, mantenendo una struttura governativa locale. Tuttavia, la città divenne parte integrante dell'impero veneziano e dovette adattarsi alle leggi e alle politiche della Repubblica. Pirano si beneficiò del sistema legale stabile e dell'organizzazione amministrativa di Venezia, che portarono ad una maggiore sicurezza e prosperità. L'influenza culturale e architettonica di Venezia si fece sentire a Pirano. La città adottò lo stile architettonico veneziano, con palazzi e chiese che riflettevano l'estetica veneziana. Questo lascito si può ancora ammirare nel centro storico di Pirano, caratterizzato da stretti vicoli, piazze affascinanti e un'atmosfera suggestiva che richiama l'epoca veneziana. La dedizione di Pirano a Venezia aprì le porte a intense relazioni commerciali e marittime tra le due città. Pirano beneficiò dell'accesso ai mercati veneziani e alle rotte commerciali dell'Adriatico, permettendo un notevole sviluppo dell'economia locale. Il porto di Pirano divenne un importante scalo commerciale per il trasporto di merci verso e da Venezia. Inoltre, la flotta veneziana garantì protezione contro i pirati e contribuì a mantenere la sicurezza nelle acque circostanti. La dedizione di Pirano alla Serenissima Repubblica di Venezia ha lasciato un'impronta indelebile sulla città e sulla sua identità storica. Questo legame duraturo ha forgiato la cultura, l'architettura e l'economia di Pirano nel corso dei secoli. Ancora oggi, Pirano conserva un forte senso di appartenenza alla tradizione veneziana e un'atmosfera unica che richiama il passato glorioso. La dedizione di Pirano alla Serenissima Repubblica di Venezia rappresenta un esempio di come una decisione politica possa plasmare il destino di una città e influenzare il suo sviluppo nel corso dei secoli. Questo legame storico è testimone del potere e dell'influenza della Serenissima Repubblica di Venezia nel Mediterraneo orientale e dell'importanza di Pirano come città costiera strategica.


26 gennaio 1675

Muore il doge Domenico Contarini, secondo dei due figli maschi di Giulio di Domenico del ramo contariniano detto dei ronzinetti, e di Lucrezia di Andrea Corner, naque a Venezia il 28 gennaio 1585 ed ebbe come il fratello Angelo una accurata istruzione. Mentre il fratello Angelo dall’adolescenza mira con forte decisione alla carriera politica, Domenico si ritira nell’ombra con l’intento di assecondare il fratello cercando di agevolarlo in tutti i modi, accontentandosi di una esistenza meno impegnativa. A testimonianza di questa argomentazione Domenico Contarini nell’autunno del 1605, entra a fare parte nel novero dei “gentilhomeni” al seguito dell’ambasciata straordinaria d’omaggio a Paolo V, e anche in questo frangente egli ricopre una figura molto modesta a confronto del fratello Angelo. Col passare del tempo però si instaura tra i due fratelli una divisione delle parti le cui modalità vanno definendosi dopo tempo di collaudo, ovvero nel periodo che va tra il gennaio 1627 e il dicembre 1629. Infatti il fratello Angelo rimasto scapolo, dedica tutto il suo tempo alla politica con i connessi onori ed oneri delle cariche più dispendiose e prestigiose. Domenico al contrario, il 28 novembre 1607, si accasa vantaggiosamente con Paolina Tron, da lei avra' sei figli di cui cinque femmine, Chiara che andrà in moglie a Tommaso Mocenigo, Maddalena sposa di Girolamo Dandolo, Laura che rimarrà nubile, mentre le ultime due andranno monache nel convento veneziano di S.Caterina, infine l’unico maschio Giulio che diverrà, il 12 novembre 1651, procuratore di S.Marco con l’esborso da parte del padre per questa carica di una somma da capogiro quantificata in ducati 25.000. In questo periodo Domenico Contarini nel suo stupendo palazzo cinquecentesco nella contrà di S.Benedetto dedica il suo tempo alla vigilanza continua sul cospicuo patrimonio familiare consistente in un nutrito e differenziato assieme di immobili. Oltre al palazzo di famiglia possiede un’osteria a rialto, una bottega in calle degli stagneri, case a Padova, campagne sempre nel padovano nell’opitergino a Motta di Livenza. Sicuramente è grazie a questo che Domenico Contarini può permettersi di dare alle figlie sposate un’ingente dote, di spedire lettere di cambio al fratello lontano, di pagarne gli incessanti dispendi anche se a volte è costretto a metterlo in guardia pregandolo di non esagerare. Per Domenico Contarini accasare le sue figlie è un fastidio onerosissimo, tanto è vero che alla fine di ogni matrimonio celebrato e festeggiato riporta la stessa esclamazione dicendo: dio ne sia lodato, mi sono...sbrigato. Un’operazione da soppesare con cura, invece, quella di Giulio, sempre, comunque in termini pratici. Pietro Giustinian, tramite Fderico Corner, gli propone “una sua figlia”. Domenico Contarini si dichiara disponibile e ritiene non inadeguata la dote di 27.000 ducati. viene stipulato il contratto anche se contro il volere del figlio Giulio. Il supporto di Domenico Contarini verso il fratello Angelo è evidente e lo testimonia il carteggio che in data 2 ottobre 1627 dice. ”io sto fuori di pregadi e me ne duole per rispetto vostro, poichè sempre occorre qualche cosa...(ovviamente altro denaro) et esser in senato giova mirabilmente, come ben sapete. Se Dio benedetto volesse concedermi gratia ch’io potessi rimaner di zonta, sarebbe un buon punto. Farò quel che potrò e procurerò di esser eletto”, a costo di una rottura con Lazzaro Morosini che desidera lo stesso". Domenico Contarini contatta i savi del consiglio perchè agevolino gli interessi del fratello; si consiglia con il segretario Franceschi nel quale “Angelo potrà esser nominato consiglier”, dispone di un amico influente che dietro sua richiesta racconti “balle non sincere”. Infine da alcune lettere di Domenico Contarini si desume il grande disdegno da grande patrizio, per la “malignità” che dilagava nella città di Venezia, ove anche il più piccolo spiantato nobile, discorre a modo suo raccontando molte “fandonie”. Domenico Contarini giudica in maniera molto severa l’intrigante ambizione dei Corner (con i quali è imparentato per parte di madre) accusandoli in maniera continua per il loro discutibile appoggio verso il fratello Angelo, pur comprendendo come la “prettensione” del figlio del doge al vescovado di Padova conferisca all’opposizione di Ranier Zeno il fatto, della moralizzazione e autorizzi anche i più sprovveduti a chiassose proteste. Domenico Contarini è pieno di sgomento di fronte all’emergere antagonistico dei nobili poveri -(patriziato povero). Alla reazione di uomo d’ordine si aggiunge una sorte di rigurgito di classe. I patrizi scuattrinati ai suoi occhi sono di un’altra classe, quindi se protestano si degradano ulteriormente. Ranier Zeno, che li capeggia, è per Domenico Contarini molto pericoloso, pieno di interminabili discorsi saturi di rabbia e i suoi seguaci sono “mal nati...gran banda di gente bassa”, cui occorre che “li cittadini dotati di buon senso” e di “zelo del ben publico” sbarrino il passo". Domenico Contarini è spaventato dal contenuto e dai toni estremistici degli interventi di Ranier Zeno: convinto della pericolosità di questo personaggio, non esita, a proclamare di “voler che tutti”, nobili e ricchi e nobili poveri beninteso, “...di esser eguali et di voler far ch’ogn’uno possi andar a capello rispetto ai debitori”. Queste e molte altre prese di posizioni fanno eleggere Ranier Zeno nel maggio 1629, con sbalordimento e riprovazione di chiunque a procuratore di S.Marco. Per fortuna in questo brevissimo periodo avviene il riflusso della nobiltà impoverita e Ranier Zeno viene emarginato. Compiaciuto Domenico Contarini vede Ranier Zeno destituito da ogni luogo e bloccato da ogni aspirazione di diventare savio al maggior consiglio. Politico a tempo limitato Domenico Contarini viene rimproverato da alcuni patrizi per la preferenza agli interessi privati che ai pubblici. Sebbene bisogna ammettere che la sua forza era quella di essere un esperto conoscitore dei meccanismi interni per il suo andamento, portava a suo vantaggio la scaltrezza nel piccolo cabotaggio delle elezioni e delle sostituzioni, rimanendo saldamente attento per favorire il fratello Angelo. I buoni rapporti con la casta dei segretari rendono Domenico Contarini uomo influente, anche se in forma non vistosa. Ottiene permessi con estrema facilità ad esempio per il transito delle granaglie; alleggerisce le responsabilità di chi è accusato di concessa ospitalità ai banditi; riesce a trovare soddisfacenti sistemazioni per i figli di chi lo serve. Navigatore negli affari di sottogoverno è lieto di elargire favori, anche perchè così può rafforzare il suo prestigio. Ripetutamente per lungo tempo Domenico Contarini è membro del senato o della zonta, più volte fa parte del consiglio dei dieci, talvolta ricopre la carica di savio del consiglio, ed è in veste di “consiglier più vecchio e vicedoge” che nel marzo 1655 sollecita l’elezione del successore al defunto doge Molin. L’unico neo della sua carriera è stato quello di contemplare ai “domestici negotii...” e nella presenza pubblica l’addebito di oltre 5.129 scudi addossatogli per un’ammanco emerso durante i tre mesi in cui Domenico Contarini è stato provveditore alla “cassa degl’ori et arzenti”. Trattasi di un operato avvenuto tra il gennaio 1637 e l’ottobre 1641, antecedente, quindi all’ingresso, del 28 giugno 1642, di Domenico Contarini nella “carica”. La condanna perciò inflitta a Domenico Contarini e ai due colleghi si limitò solamente al puro rimborso. Si legge che farà di tutto per recuperare la somma da lui esborsata e congelata in zecca ma, non la esige a gran voce davanti al consiglio fino a che durerà la guerra col turco. Domenico Contarini essendo avanti con gli anni e quindi libero da obblighi verso il fratello ormai defunto, è ormai delegata al figlio procuratore la rappresentanza, in sede pubblica della famiglia. 16 ottobre 1659, Domenico Contarini è doge. Mentre si gode questa tranquillità lo raggiunge la notizia dell’elezione, del 16 ottobre 1659, a doge di Venezia. Questa elezione lo scuote molto e nel suo testamento dice di riconoscersi poco atto a sostenere questa grande “dignità”. L’ascensione alla carica del doge fu spinta per volontà sopratutto dai Giustinian (parenti della nuora), questi “onnipotenti dei voti di tutti i consigli”. Certamente quasi imbarazzati i politici di fronte alla esilità del profilo politico di Domenico Contarini. Si legge che Domenico Contarini abbia sostenuto “...la dignità senatoria più col lustro della famiglia che per la cospicua degli impieghi esercitati...et non fu mai huomo di ricchi talenti” anche se si riconosce in lui uomo giusto. Certo non gode di un’alta opinione da parte del patriziato potente portandosi con sé per trentasei anni “giro e raggiro nelle volute di pregadi”. All’unanimità dei voti dei quarantuno elettori subentra lo sconcerto per l’evanescenza dei concreti fatti specifici. Trovano questi che un’aggravante di Domenico Contarini sia quella di essere un pessimo oratore “...mai pronto di parlare da huomo”, affermando che non si addice al principe di collegio. Superate comunque bene o male le difficoltà delle elezioni contrassegnato dalla distribuzione in piazza S.Marco di 2.000 ducati al popolo e sciolto l’iniziale impaccio della lingua, Domenico Contarini non fu doge indecoroso. Il punto di forza del nuovo doge era l’accattivarsi la benevolenza del popolo e nondimeno da parte della nobiltà, anche se su questo ultimo punto si legge nella cronaca del tempo che Francesco Morosini nell’agosto 1661 viene accolto gelidamente da Domenico Contarini portando rimprovero al generale da mar per la sua condotta di capitano suscitando malumore da parte dei patrizi ricchi fedelissimi alleati del Morosini. (Il motivo è che la guerra di oriente si trascinava ormai da lungo tempo per il motivo che i turchi erano impegnati nella battaglia che si combatteva in Ungheria cercando di evitare la battaglia sul mare con i veneziani), d’ altronde anche le schiere veneziane dovettero desistere al tentativo di riprendere il dominio di Candia. Dopo questa lunga e al tempo stesso difficile battaglia, Venezia si trovava ad avere forti perdite di uomini oltre alla dispendiosità enorme di denaro, cosicché pur avendo avuto aiuti dall’esterno, a dire il vero poco efficaci, fu costretta a cedere Candia Segnando la pace dettata dal generale da mar Francesco Morosini, che tornato in patria dovette sentirsi accusato di viltà per avere violato le leggi usurpando la podestà sovrana).dopo oltre un anno di quasi totale immobilità, Domenico Contarini muore, “per risolutionem” come scrive il nunzio. il 26 gennaio 1675 venendo sepolto nell’arca di famiglia della chiesa veneziana di S.Benedetto.
Tratto da Rolandomirkobordin


26 gennaio 1684

Con voto unanime della Quarantia, Marcantonio Giustinian fu eletto il 26 gennaio 1684 all'età di 65 anni.Il casato risaliva alla "gens romana" di Giustiniano ed era talmente ricco da poter far trasecolare un casato regnante. Il suo curriculum personale era stato di tutto rispetto: dopo essersi laureato in filosofia a Padova aveva intrapreso la carriera pubblica ricoprendo importantissime cariche. Era stato provveditore alle "biade" durante le guerre di Candia, ambasciatore in Francia dove ricevette il titolo di cavaliere. Per l' imperatore d' Austria poteva fregiarsi del titolo di conte mentre in patria fu consigliere ducale e consigliere dei Dieci. Ciò nonostante fu da sempre un uomo di grande magnanimità ed indole riflessiva. Inizialmente pensò di non accettare il supremo incarico e di ritirarsi in convento a San Giorgio anche perchè non era sposato e piuttosto devoto, furono i parenti a convincerlo ad accettare, con grande sollievo del Maggior Consiglio il quale, ormai da secoli aveva ritagliato la figura del doge su personaggi di questo tipo, in maniera da non avere grossi contrasti in conseguenza a spiccate personalità. L'insediamento fu caratterizzato da due episodi che la cronaca volle far assurgere agli altari dei segni premonitori per gli anni avvenire: un turco fu colpito all'occhio da una grossa moneta durante il giro in pozzetto ed un fulmine cancellò la scritta "pax" della targa posta sulla scala dei giganti ( Iustitia et pax deosculatae sunt - Sono baciate giustizia e pace). Francesco Morosini, difensore strenuo di Candia ed allo stesso tempo incriminato per la pace siglata con la Sublime Porta, dopo essere stato completamente riabilitato aveva assunto il comando dell'armata veneziana conseguendo gloriose vittorie contro l'invasore a, Prevesa e Santa Maura, Corone e Kalamata. Nel marzo del 1684 Venezia firmò l'alleanza con lo stato Pontificio, il regno di Polonia e l'impero d'Austria. Nel 1686 furono riconquistate Modone Navarino e, Argo. In agosto del 1687 Mustafa Pascià di Nauplia, dopo aver ceduto la città all'armata dell'alleanza, si recò dal doge per rendergli omaggio. Nello stesso anno caddero Corinto, Patraso e Lepanto (nda: in pratica fu liberata tutta la Morea o Peloponneso e la Dalmazia Meridionale). Marcantonio Giustinian si spense improvvisamente il 23 marzo 1688, celebrati i funerali nella chiesa dei SS Giovanni e Paolo fu sepolto nella cappella di San Francesco della Vigna, secondo le sue volontà. A Marcantonio Giustiniani successe Francesco Morosini ( 1688 -1694) Ultimo doge guerriero al quale, per la prima ed ultima volta il senato riconobbe con una targa, posta nella sala dei Dieci, i meriti indiscussi di un grande patriota ancora in vita, prima che questi fosse proclamato doge: Francesco Mauroceno Peloponnesiaco adhuc viventi Senatus.


26 gennaio 1699

La firma del Trattato di Carlowitz rappresenta un momento cruciale nella storia dell'Europa orientale. Concluso a Carlowitz (oggi conosciuta come Karlovci, in Serbia), questo trattato mise fine a una serie di conflitti che avevano coinvolto l'Impero ottomano e le potenze europee. In questo articolo, esploreremo le ragioni e le conseguenze del Trattato di Carlowitz, evidenziando il suo impatto nella ridefinizione del potere politico e territoriale nell'Europa orientale. Il XVII secolo fu un'epoca di grandi cambiamenti nella regione dell'Europa orientale. L'Impero ottomano, che aveva raggiunto il suo apice di potenza nei secoli precedenti, era in fase di declino. Allo stesso tempo, le potenze europee come l'Austria, la Repubblica di Venezia e la Polonia-Lituania, cercavano di espandere la loro influenza nell'area balcanica. I conflitti che ne risultarono portarono alla firma del Trattato di Carlowitz. Il Trattato di Carlowitz fu sottoscritto per porre fine alle ostilità tra l'Impero ottomano e la Santa Alleanza, una coalizione composta principalmente da Austria, Venezia e Polonia-Lituania. Questi stati europei avevano l'obiettivo di limitare l'influenza ottomana e acquisire nuovi territori nella regione balcanica. Il trattato rappresentò un punto di svolta nelle relazioni tra l'Europa e l'Impero ottomano, poiché segnò la fine del predominio ottomano nell'Europa orientale. Il Trattato di Carlowitz stabiliva diverse disposizioni che ridefinirono i confini e il potere politico nella regione. L'Impero ottomano dovette cedere vaste porzioni dei suoi territori europei, inclusi importanti centri come Belgrado, l'attuale Serbia settentrionale, e parti dell'Ungheria. La Repubblica di Venezia ottenne nuovi possedimenti nell'Adriatico orientale e la Polonia-Lituania consolidò il suo controllo sulla Moldavia e sulla Valacchia. L'Austria, invece, si affermò come una delle principali potenze nell'Europa orientale, espandendo il suo dominio nei territori balcanici. Il Trattato di Carlowitz ebbe profonde conseguenze sulla regione e sulle dinamiche di potere in Europa. Per l'Impero ottomano, rappresentò la fine del suo dominio diretto sulla maggior parte dei territori europei, aprendo la strada a un progressivo indebolimento che si sarebbe protratto nei secoli successivi. Dall'altra parte, le potenze europee rafforzarono la loro posizione e allargarono il loro influsso nella regione balcanica. Il trattato ebbe anche implicazioni culturali e religiose significative. Furono garantite protezioni e diritti alle minoranze cristiane sotto il dominio ottomano, e molti cristiani iniziarono a migrare verso le terre acquisite dalle potenze europee. Questo portò a cambiamenti demografici e culturali nelle nuove regioni acquisite. Inoltre, il Trattato di Carlowitz pose le basi per futuri scontri e conflitti nell'Europa orientale. La ridefinizione dei confini e la presenza di diverse potenze europee nella regione crearono una situazione instabile che avrebbe scatenato ulteriori guerre e rivalità nel corso dei secoli successivi. La firma del Trattato di Carlowitz rappresenta un momento fondamentale nella storia dell'Europa orientale. Il trattato segnò la fine del predominio ottomano nella regione e ridefinì i confini e il potere politico tra le potenze europee. Le sue conseguenze si fecero sentire per secoli, influenzando le dinamiche politiche, culturali e religiose della regione balcanica. Il Trattato di Carlowitz è un esempio chiaro di come gli accordi diplomatici possano modellare il destino di intere nazioni e avere un impatto duraturo sulla storia di una regione. Per Venezia e la Polonia l'ultimo momento di gloria prima dell'imminente declino.


26 gennaio 1699

La firma del Trattato di Carlowitz rappresenta un momento cruciale nella storia dell'Europa orientale. Concluso a Carlowitz (oggi conosciuta come Karlovci, in Serbia), questo trattato mise fine a una serie di conflitti che avevano coinvolto l'Impero ottomano e le potenze europee. In questo articolo, esploreremo le ragioni e le conseguenze del Trattato di Carlowitz, evidenziando il suo impatto nella ridefinizione del potere politico e territoriale nell'Europa orientale. Il XVII secolo fu un'epoca di grandi cambiamenti nella regione dell'Europa orientale. L'Impero ottomano, che aveva raggiunto il suo apice di potenza nei secoli precedenti, era in fase di declino. Allo stesso tempo, le potenze europee come l'Austria, la Repubblica di Venezia e la Polonia-Lituania, cercavano di espandere la loro influenza nell'area balcanica. I conflitti che ne risultarono portarono alla firma del Trattato di Carlowitz. Il Trattato di Carlowitz fu sottoscritto per porre fine alle ostilità tra l'Impero ottomano e la Santa Alleanza, una coalizione composta principalmente da Austria, Venezia e Polonia-Lituania. Questi stati europei avevano l'obiettivo di limitare l'influenza ottomana e acquisire nuovi territori nella regione balcanica. Il trattato rappresentò un punto di svolta nelle relazioni tra l'Europa e l'Impero ottomano, poiché segnò la fine del predominio ottomano nell'Europa orientale. Il Trattato di Carlowitz stabiliva diverse disposizioni che ridefinirono i confini e il potere politico nella regione. L'Impero ottomano dovette cedere vaste porzioni dei suoi territori europei, inclusi importanti centri come Belgrado, l'attuale Serbia settentrionale, e parti dell'Ungheria. La Repubblica di Venezia ottenne nuovi possedimenti nell'Adriatico orientale e la Polonia-Lituania consolidò il suo controllo sulla Moldavia e sulla Valacchia. L'Austria, invece, si affermò come una delle principali potenze nell'Europa orientale, espandendo il suo dominio nei territori balcanici. Il Trattato di Carlowitz ebbe profonde conseguenze sulla regione e sulle dinamiche di potere in Europa. Per l'Impero ottomano, rappresentò la fine del suo dominio diretto sulla maggior parte dei territori europei, aprendo la strada a un progressivo indebolimento che si sarebbe protratto nei secoli successivi. Dall'altra parte, le potenze europee rafforzarono la loro posizione e allargarono il loro influsso nella regione balcanica. Il trattato ebbe anche implicazioni culturali e religiose significative. Furono garantite protezioni e diritti alle minoranze cristiane sotto il dominio ottomano, e molti cristiani iniziarono a migrare verso le terre acquisite dalle potenze europee. Questo portò a cambiamenti demografici e culturali nelle nuove regioni acquisite. Inoltre, il Trattato di Carlowitz pose le basi per futuri scontri e conflitti nell'Europa orientale. La ridefinizione dei confini e la presenza di diverse potenze europee nella regione crearono una situazione instabile che avrebbe scatenato ulteriori guerre e rivalità nel corso dei secoli successivi. La firma del Trattato di Carlowitz rappresenta un momento fondamentale nella storia dell'Europa orientale. Il trattato segnò la fine del predominio ottomano nella regione e ridefinì i confini e il potere politico tra le potenze europee. Le sue conseguenze si fecero sentire per secoli, influenzando le dinamiche politiche, culturali e religiose della regione balcanica. Il Trattato di Carlowitz è un esempio chiaro di come gli accordi diplomatici possano modellare il destino di intere nazioni e avere un impatto duraturo sulla storia di una regione. Per Venezia e la Polonia l'ultimo momento di gloria prima dell'imminente declino.