6 gennaio 1694

Francesco Morosini morì nella sua nave alla fonda nel porto di Nauplia. E a Nauplia, con grande pompa, fu celebrato il suo funerale. Nasce a Venezia 26 aprile 1619, la famiglia apparteneva al patriziato veneto, il padre, Pietro, sarebbe stato Procuratore di San Marco. Educato nel Collegio San Carlo di Modena decise sin da giovane di perseguire la carriera militare, che per un patrizio veneto significava soprattutto il mare. Nel 1640, dopo alcune brevi esperienze, fu nominato sopracomito di galera, e in questa veste partecipò inizialmente alle azioni di polizia contro i corsari barbareschi e alle azioni contro i possedimenti pontifici delle Marche durante la breve guerra di Castro. Nel 1645 inizia la guerra di Candia, fu una guerra che si giocò di fatto su tre teatri: la Dalmazia, dove si combatté per terra e si ebbero scontri minori, Candia, dove i Veneziani sostennero nella capitale dell’isola, anch’essa di nome Candia, tra il 1648 e il 1669 il secondo assedio più lungo della storia, e infine il Mare Egeo e il Mediterraneo Orientale, dove la Repubblica, al costo di stremare la propria economia, impose al Gran Turco la propria supremazia marittima, arrivando a bloccare i Dardanelli e a minacciare la stessa Istanbul. In tale guerra, Francesco Morosini svolse un ruolo di primo piano. Partecipò probabilmente alle operazioni navali del 1646 intorno a Candia e il 29 settembre 1647 fu nominato Capitano in Golfo, ossia comandante delle navi operanti nell’Adriatico. Passò poi nel 1650 a comandare le galeazze nell’armata principale sotto il pavido Capitano Generale da Mar Alvise Mocenigo e suo fu il merito principale della vittoria navale nelle acque di Nasso, il 10 luglio 1651. Malgrado i rapporti con il Mocenigo fossero pessimi, Morosini militò ancora sotto di lui senza che si avessero scontri particolarmente significativi. Nel 1654 quando Mocenigo morì, Morosini lo sostituì brevemente sposando la strategia di colpire continuamente le coste nemiche con una campagna di logoramento, piuttosto che bloccare i Dardanelli per impedire i rifornimenti da Istanbul all’armata turca impegnata a Candia. Tale strategia non fu però ben vista dal governo veneto che lo allontanò dal mare nominandolo Provveditore Generale alle Armi a Candia. Il comando sul mare passò al famoso Lorenzo Marcello e poi, morto questi nella vittoriosa battaglia dell’Ellesponto, al giovanissimo e audace Lazzaro Mocenigo, anch’egli fautore di un’azione più aggressiva negli stretti. Ma anche questi negli stretti morì, il 19 luglio 1657, cosicché Morosini tornò al comando della flotta e riprese la strategia di logoramento. Nel 1660 dopo il fallimento del tentativo di riconquista di Canea tornò a Venezia e negli anni successivi si dedicò ad incarichi amministrativi nel dominio veneto di terraferma. Fu nel 1666 che, di fronte ai rinnovati sforzi turchi, la Repubblica lo nominò nuovamente Capitano Generale da Mar e in questa veste si portò a Candia, privilegiando la difesa terrestre. La città era ormai stremata da più di vent’anni di assedio, abitata solo da soldati e da minatori esperti nella guerra di mine e contromine che si svolgeva sotto le sue imponenti fortificazioni. Morosini in maniera del tutto autonoma, decise per la resa e consegnò la città al Gran Visir Ahmed Köprülü il 27 settembre 1669. Si temette per una ripetizione dei fatti di Famagosta ma i Turchi mantennero i patti di capitolazione e i Veneziani tornarono a casa. Morosini divenne il capro espiatorio della perdita dell’impero: fu processato e accusato di ogni tipo di malversazione e di ruberie. Ma il processo apparentemente si allargò a macchia d’olio coinvolgendo buona parte del patriziato veneto per cui Morosini fu dichiarato innocente e il tutto fu messo a tacere. Passò poi alcuni anni assolvendo incarichi militari nei domini di terraferma sino a quando, sconfitti gli Ottomani a Vienna nel settembre 1683, Venezia aderì alla Santa Lega con Austria, Russia e Polonia con l’intento di riprendere i territori perduti. La guerra che ne seguì (1684-1699) fu l’ultima guerra espansionistica combattuta dalla Repubblica e Morosini ne fu il protagonista indiscusso, guadagnandosi il soprannome con cui passò alla storia. Morosini, nominato nuovamente Capitano Generale da Mar, si decise per una strategia volta non tanto a riprendere Candia quanto a consolidare il dominio sull’Adriatico e ad aggredire l’Impero Ottomano nei suoi possedimenti occidentali. Fu una marcia trionfale. La flotta turca fu intimidita a tal punto da quella veneziana da non osare mai di affrontarla. I Veneziani conquistarono l’isola di Santa Maura impadronendosi poi delle piazzeforti continentali di Prevesa e di Missolungi. Venne poi la volta del Peloponneso, allora detto Morea: conquistato Corone l’11 agosto 1685 l’avanzata proseguì all’interno. In due anni, tra l’agosto 1685 e l’agosto 1687, il Peloponneso fu conquistato completamente. Fu proprio Morosini a prendere le ultime grandi piazzeforti di Patrasso e di Corinto e questo gli fruttò il soprannome con cui è passato alla storia. I Veneziani presero Atene e strinsero d’assedio l’Acropoli, ove si era asserragliata la guarnigione turca; e qui avvenne il fattaccio quando un colpo d’artiglieria veneziana centrò il tetto del Partenone, adibito dai Turchi a polveriera, distruggendolo. Un nemico inatteso, la peste, scoppiò tuttavia nel campo veneto, costringendo Morosini ad abbandonare Atene e a ritirarsi in Morea. La sua popolarità non fu inficiata da questo insuccesso, tanto è vero che il 3 aprile 1688, “in absentia”, fu eletto al primo scrutinio 108º Doge della Repubblica. Ormai aveva raggiunto tuttavia l’apice del proprio successo. Le due campagne del 1688, un tentato colpo di mano su Candia e lo sbarco a Negroponte, nell’isola di Eubea, videro i Veneziani respinti dai Turchi, complice nel secondo caso ancora la peste che si portò via il comandante dei mercenari tedeschi, lo svedese Königsmark. Morosini tornò a Venezia accolto al Lido in modo trionfale l’11 gennaio 1690. Come doge non si distinse particolarmente se non per cura che pose nel glorificare sé stesso e il suo casato, guadagnandosi così parecchi nemici nel patriziato. Riprese le armi ormai anziano nel 1693, con la volontà di imprimere forse una svolta alla guerra, stagnante ormai dal 1688. Ma non ce la fece. Morì il 6 gennaio 1694, nella sua nave alla fonda nel porto di Nauplia. E a Nauplia, con grande pompa, fu celebrato il suo funerale. Con lui se ne andò un mondo: come benissimo scrisse Ekkehard Eickhoff, nel gennaio 1694 i grandi tamburi di Nauplia rullarono non solo per accompagnare nella tomba Francesco Morosini; essi seppellivano anche l’imperialismo veneziano d’oltremare.