31 luglio 1420

A partire dal 1338 i cadorini disposero di uno Statuto, un corpus di norme che regolamentavano la vita civile, politica e amministrativa dell’intero distretto: si costituiva così un sistema politico essenzialmente collettivo, che tenderà con il tempo a far assumere al patrimonio culturale, una serie di valori basati sulla necessità di una condivisione sociale ed economica e di pianificazione territoriale. Alla caduta del potere temporale dei Patriarchi, in seguito alla Guerra tra Repubblica di Venezia e Regno d'Ungheria, i Cadorini, dopo aver chiesto ed ottenuto di sciogliere formalmente il giuramento di fedeltà al Patriarcato di Aquileia, il 31 luglio 1420, votarono all'unanimità, la dedizione alla Repubblica di Venezia, il popolo cadorino aveva deliberato di darsi alla Serenissima con il celebre atto “Eamus ad bonos venetos”. La Comunità Cadorina ottenne in cambio un mantenimento dell’autonomia amministrativa che gestiva attraverso le forme autoctone di governo previste dagli Statuti cadorini; il governo centrale scelse come sede Pieve di Cadore e si organizzò istituendo un Consiglio generale, un capitano di Cadore, un vicario, quattro consoli, un massaro e due sindaci, organi che furono in grado di garantire la leadership politica della Magnifica Comunità in stretta collaborazione con la Serenissima. A partire da quell'epoca le condizioni materiali, morali e civili dei cadorini, che non erano brillanti, cominciarono lentamente a migliorare ed il governo della Repubblica Veneta trattò sempre con grande benevolenza il popolo cadorino. Sarà Napoleone, nel 1806, a sopprimere la Magnifica Comunità che vedrà la rinascita, come Consorzio dei Comuni cadorini per la gestione dell'antico patrimonio indiviso, solo nel 1875. Oggi La Magnifica Comunità di Cadore è ente a personalità giuridica pubblica costituito dall'unione dei ventidue comuni del Cadore. Erede della storia unitaria della regione, delle sue esperienze di autogoverno e dei valori tradizionali espressi dalle genti cadorine e costituisce, ancor oggi, un punto di riferimento delle realtà istituzionali e sociali operanti nel territorio. La Magnifica Comunità concorre a conservare l'identità culturale e le risorse ambientali e a promuovere la formazione e lo sviluppo morale ed economico delle comunità locali, individuando e valorizzando gli elementi di carattere unitario che, nel rispetto delle realtà istituzionali e sociali, possono contribuire al progresso complessivo del Cadore anche mediante iniziative volte a favorire il raccordo e la concertazione.


31 luglio 1545

L’Orto botanico dell'Università di Padova fu istituito nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, che allora costituivano la grande maggioranza dei "semplici", cioè di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura. Proprio per questa ragione i primi orti botanici vennero denominati “giardini dei semplici” ovvero horti simplicium. In quel tempo era già consolidata la fama dell’Ateneo padovano nello studio delle piante, soprattutto come applicazioni della scienza medica e farmacologica: qui infatti venivano lette e commentate le opere botaniche di Aristotele e di Tefrasto; sempre qui tra gli altri avevano studiato Alberto Magno di Laningen (1193-1280), considerato il più grande cultore della materia dopo Aristotele, e Pietro D’Abano (1253-1316), che aveva tradotto in latino la terapeutica greca di Galeno. Nell’epoca in cui l’Orto fu fondato regnava grande incertezza circa l'identificazione delle piante usate in terapia dai celebri medici dell'antichità: frequenti erano gli errori e anche le frodi, con grave danno per la salute pubblica. L'istituzione di un horto medicinale, sollecitata da Francesco Bonafede che allora ricopriva la cattedra di "lettura dei semplici", avrebbe permesso agli studenti un più facile riconoscimento delle vere piante medicinali dalle sofisticazioni. Per questo scopo il primo "custode" dell'Orto, Luigi Squalermo detto Anguillara, vi fece introdurre e coltivare un gran numero di specie (circa 1800). L'Orto, per la rarità dei vegetali contenuti e per il prezzo dei medicamenti da essi ricavati, era oggetto di continui furti notturni, nonostante le gravi pene previste per chi avesse arrecato danni (multe, carcere ed esilio). Venne quindi ben presto costruito un muro di recinzione circolare (da cui anche i nomi di hortus sphaericus, hortus cinctus e hortus conclusus). L'Orto era continuamente arricchito di piante provenienti da varie parti del mondo, specialmente dai paesi dove la Repubblica di Venezia aveva possedimenti o scambi commerciali; proprio per questa ragione Padova ha avuto un posto preminente nell'introduzione e nello studio di molte specie esotiche.


31 luglio 1554

Jacopo Sansovino firma il contratto per la fornitura di due colossali statue, simbolo della potenza terrestre e marittima della Repubblica Veneta, da collocarsi nel cortile di Palazzo Ducale. Quando nel 1567 vi furono collocate le due enormi statue del Sansovino, prese il nome di Scala dei Giganti.Perfette nella loro nudità, Nettuno ha il volto quasi tutto coperto dalla barba e dai capelli scompigliati dal vento e regge in mano una creature marina. Marte è rappresentato con i suoi classici simboli: l’elmo e lo scudo. Il ‘disegno’ toscano michelangiolesco è qui rappresentato in maniera sublime.Sansovino inizia quest’importante impresa quando era già un uomo ottuagenario. Gli splendidi giganti costarono 4430 ducati di spessa e 650 di fattura. esse raffigurano il potere militare e commerciale di Venezia che si estende indistintamente per mare e per terra.Il ‘palco’ dell’incoronazione del doge aveva così raggiunto il massimo splendore artistico. Era il luogo perfetto per ricordare al più alto rappresentante della Repubblica, nonché agli astanti, che il Doge era un essere umano come gli altri, soggetto a giudizi e punizioni: simbolo di quella Repubblica che pretendeva fedeltà, rispetto ed amore incondizionato, e che non gradiva spinte individualistiche ed egoistiche: il Doge era il suo servo! La nuova stagione rinascimentale del palazzo ebbe come protagonisti per l’architettura e scultura Antonio Rizzo, fuggito poi da Venezia alla fine del secolo per motivi giudiziari e Giorgio Spavento, suo collaboratore e poi successore. Per la decorazione pittorica invece si fronteggiarono nei rinnovati e immensi saloni i migliori pittori veneziani dell’ultimo quarto del XVI secolo quali Tiziano, Tintoretto e Veronese insieme a molti altri artisti provenienti da città e regioni diverse, attirati dalla vivacissima committenza veneziana, tutti impegnati a costruire il nuovo trionfale volto del palazzo.