6 luglio 1902

S'inaugura Il Museo Archeologico di Este. Il Museo Archeologico di Este non è solo la sua bella sede cinquecentesca e le sue collezioni, ma anche un ambiente da vivere: è la porta d'accesso ad un mondo lontano e a molti sconosciuto, quello dei Veneti antichi, che appartiene alla nostra comunità e ci fa ripercorrere le nostre origini. Il Museo Nazionale Atestino conserva circa 65000 numeri di inventario generale relativi al materiale archeologico e ha acquisito 7400 disegni relativi a reperti archeologici, schede di catalogo e schede di restauro. L'archivio fotografico è composto da circa 37600 negativi. All'interno del museo si trova anche una Biblioteca specialistica formata da 4400 volumi circa. Nella sede museale sono ospitati i materiali archeologici più rappresentativi della cultura dei Veneti antichi, vissuti in questa regione durante tutto il I millennio a. C.: attraverso questi il visitatore potrà scoprire l'evoluzione di un'antica civiltà italica dedita a floride attività artigianali e mercantili. La sezione romana illustra la trasformazione della città di Ateste, tra il I secolo a. C. e il II secolo d. C., mentre una piccola sezione è dedicata alla ceramica medievale, rinascimentale e moderna.


6 luglio 1495

Battaglia di Fornonovo. Ludovico il Moro, principale responsabile della calata di Carlo VIII, allarmato di fronte alla facilità con la quale il re francese aveva soggiogato la Penisola si adoperò per tornare sui suoi passi. La nascita della Lega Santa del 1495 promossa dal Papa e sostenuta proprio da Milano, con l’appoggio di Venezia e Mantova fu quindi un passo inevitabile da parte di quelle piccole realtà statuali italiane preoccupate per la loro sopravvivenza. Carlo però non si lasciò schiacciare dall’esercito della Lega: nominato Gilbert di Montpensier viceré di Napoli, prese metà dei propri uomini e in poco più di un mese e mezzo risalì la Penisola. Fu però lungo la via di ritorno che l’esercito del re francese, ricco di un bottino di circa 300.000 ducati, ridiscese la valle del Taro e raggiunse il piccolo villaggio di Fornovo dove si trovò a sbarrargli la strada un muro di 30.000 uomini guidati da Francesco Gonzaga, marchese di Mantova e comandante generale dell’esercito veneziano. Era piena estate ma l’aria di quella mattina del 6 luglio 1495 era insolitamente fresca visto che gelidi venti scendevano rapidi dalle cime dell’Appennino emilano. Un bene per chi, come i francesi, era costretto a schiumare sotto soffocanti farsetti imbottiti, racchiusi nelle pesanti armature a piastre che avvolgevano petto, schiena, cosce, gambe e braccia ma che non aiutava quelle stesse milizie regie molto lontane dalla loro massima efficienza: dell’imponente esercito con il quale Carlo VIII aveva attraversato le Alpi restavano circa 10.000 uomini, logorati dalla marcia, affamati e provati dalla sifilide, il “mal francese”, che ancora in parte sconosciuta si era diffusa lungo tutto lo stivale con la risalita dell’esercito transalpino. La coalizione italiana era accampata sulle sponde del Taro dal 27 di giugno e quel giorno di luglio il fiume, che solitamente nei mesi estivi è poco più di un rivolo, era gonfio d’acqua per via delle abbondanti piogge delle ore precedenti che avevano trasformato i terreni limitrofi in delle lunghe distese melmose. Aspettandosi quindi uno scontro frontale, Carlo decise di inviare un’avanguardia composta dai temibili fanti svizzeri supportati dalla cavalleria pesante con l’obiettivo di aprire un corridoio nelle truppe nemiche così da far defluire il grosso del suo esercito. L’attacco francese venne però intercettato dagli stradioti veneziani (unità di cavalleria leggera abituate a combattere seguendo tattiche “colpisci e scappa” alla maniera turca) che abbandonarono le loro posizioni nel tentativo di tenere occupati i francesi mentre la cavalleria pesante della Lega tentava a sua volta l’attraversamento del fiume. Le manovre per guadare il Taro si rivelarono un disastro e i cavalli pesantemente bardati vennero travolti e risucchiati dai gorghi. Quando i superstiti guadagnarono la riva opposto la battaglia che fino a quel momento stava volgendo a favore dei Veneziani si trasformò in uno scontro sanguinoso. Dopo circa un’ora di violenta mischia i francesi tentarono di trovare riparo su una collina mentre l’esercito della Lega in gran parte decimato non ebbe la forza di inseguirli: entrambi gli schieramenti preferirono accamparsi e venne dichiarata una tregua di un giorno nel corso della quale furono recuperati i feriti e seppelliti i morti. Le stime dei caduti furono spaventose: i francesi persero circa un migliaio di uomini mentre i Veneziani ben oltre il doppio. La sera seguente, il Doge Agostino Barbarigo ed il Senato della Serenissima ricevettero un primo rapporto nel quale veniva detto loro che l’esercito non aveva perso ma che l’esito della battaglia era fortemente incerto. Così, per paura che i francesi riprendessero le ostilità, fu concesso a Carlo di ritirarsi, il quale, avendo percorso duecento chilometri in sette giorni, trovò riparo ad Asti. Qui, l’8 ottobre, firmò un trattato di pace con il Ducato di Milano. La battaglia di Fornovo rappresentò una vittoria effimera per gli Stati italiani: se è vero che si concluse con la ritirata dell’invasore e il ripristino del vecchio assetto politico, alla fine non fece altro che mostrare al mondo intero la fragilità dell’intero sistema italiano. Infatti, da quel momento, l’Europa intera raggiunse la consapevolezza che l’Italia, terra straordinariamente ricca, sarebbe stata una preda di facile conquista in virtù di quella frammentazione politica che si ripercuoteva su una sostanziale debolezza militare.