24 luglio 1177

La pace di Venezia, anche detta tregua di Venezia, fu un trattato di pace Sacro romano impero e papato. Nel maggio 1176 a Legnano le truppe imperiali comandate da Federico I Barbarossa si scontrarono con le truppe della Lega Lombarda, capitanate da Guido da Landriano (secondo la leggenda, da Alberto da Giussano). mentre questi era diretto alla Mecca. Dichiarata Le truppe imperiali subirono una sconfitta decisiva e l'imperatore fu costretto a trattare la pace. Grazie alla sua accortezza politica, Venezia non si intromise nelle lotte tra Papato ed Impero, per cui venne scelta come sede ideale per le trattative. Il fatto di essersi alleata con gli imperiali nel 1174 in occasione dell'assedio di Ancona, evidentemente non fu ritenuto dal papa segno di schieramento definitivo con l'Impero, ma solo dovuto a motivi contingenti, ossia la rivalità commerciale con la città marinara. Sotto il patrocinio del doge Sebastiano Ziani, nel maggio 1177, s'incontrarono Federico I Barbarossa, il papa Alessandro III, accompagnato dal cardinale Boso Breakspear, Romualdo Guarna, in rappresentanza del re di Sicilia Guglielmo II e i rappresentanti dei comuni confederati nella Lega Lombarda. Il 24 marzo 1177, scortato dalle galere del re di Sicilia, accompagnato da cardinali e prelati, Alessandro III era sbarcato a S. Nicolò di Lido. Nel palazzo del patriarca a S. Silvestro ebbero luogo i negoziati preliminari con i plenipotenziari imperiali. L'imperatore si era fermato a Chioggia e, a accordo raggiunto, gli venne impartita l'assoluzione da tre cardinali, dopo l'abiura dello scisma. Dopo essersi trasferito anch'egli presso il centro monastico di S. Nicolò, Federico fu accompagnato il 24 luglio dal doge e dal clero cittadino a piazza San Marco su una galea riccamente addobbata. Nel tragitto verso la basilica, Federico era circondato dal doge, che portava in mano una rosa d'oro, dal patriarca e dal clero veneziano recante candele accese, croci e corone. Nell'atrio sedeva il papa vestito dei paramenti pontificali. Federico si inginocchiò a baciargli il piede, il papa lo rialzò, lo abbracciò e scambiò con lui il bacio di pace. Il giorno dopo, a coronamento di tutta una serie di cerimonie, l'imperatore tenne la briglia e la staffa al papa che saliva a cavallo. L'imperatore revocò quanto aveva fatto contro la Chiesa, tolse l'appoggio all'antipapa e in cambio - oltre alla riammissione di Federico nella comunione con il papa - suo figlio Enrico veniva riconosciuto Re dei Romani e futuro imperatore. A seguito di queste decisioni papa Alessandro III lo assolse dalla scomunica, Ancona vide sancita la sua indipendenza de facto dal papa, e anche se la disputa con i Comuni non fu risolta, si arrivò comunque a una tregua di sei anni. La tregua da un lato garantì all'Imperatore la possibilità di concentrarsi contro i ribelli in Germania, dall'altro collocò la Repubblica di Venezia accanto alle altre due superpotenze di allora, la Repubblica acquisì attraverso la propria capacità di mediazione e di una lungimirante politica equilibratrice tra il Sacro Romano Impero e il Papato. Essa ottenne la riconferma dei patti tradizionali e una larga garanzia imperiale per l'incolumità dei suoi cittadini e dei loro beni in tutti i territori dell'impero. Inoltre, non meno importante, grazie a questo avvenimento il Regno di Sicilia fu riconosciuto per la prima volta dal 1130 dall'imperatore come regno legittimo e potenza euro-mediterranea. Venne anche stipulata una tregua di quindici anni con il regno isolano.


24 luglio 1645

Il sacrificio di Biagio Zulian.Luglio del 1645, dopo che alcune navi maltesi avevano depredato i galeoni dell'Agà eunuco Zambul, mentre questi era diretto alla Mecca. Dichiarata guerra a Malta, l'impero ottomano fece uscire dal Bosforo settantacinque galee, più altre centinaia tra fuste, saiche, galeotte e altre imbarcazioni. Una flotta sterminata che il 24 luglio diresse senza esitazioni verso Candia, prendendo a pretesto il fatto che la Serenissima aveva lasciato aperto un varco alle navi maltesi nel corso della loro fuga. All'orizzonte si profilarono le trecentosettanta vele poste sotto il comando di Mussà Bassà, fu chiaro che non sarebbe stato possibile impedire lo sbarco e si preferì risparmiare armi e uomini preparandosi a un assedio (destinato a protrarsi per oltre due decenni). L'armata ottomana sbarcò quasi totalmente indisturbata a circa due miglia dal fortilizio, e la sera stessa Bassà decise di levarsi il pensiero del forte di San Teodoro. Così, mentre la maggior parte dei suoi quarantamila uomini si accampava, diresse una parte dell'esercito e alcune decine di grossi cannoni verso lo scoglio di Agios Theodoroi, che aveva una rocca priva di difese sulla sommità – la Turlulù – utilizzata per l'avvistamento delle navi, e un forte – San Teodoro appunto – che guardava verso terra e serviva anche da lazzaretto per la città fortificata di Canea. In quel momento a presidiare il forte vi erano settantacinque soldati veneziani, in gran parte Schiavoni, capitanati da Biagio Zulian (trascritto a volte come Zuliani, o Giuliani), nativo di Capodistria. Tra le mura, un solo cannone. Consapevoli che nessuno di loro sarebbe sopravvissuto, e che forse era anzi preferibile morire che vivere come schiavi per il resto della vita, gli uomini iniziarono a scavare febbrilmente una grande fossa al centro del cortile, che fu riempita di tutta la polvere da sparo rimasta e di ogni oggetto metallico che si potesse trasportare. Quindi, in questa trincea improvvisata, i quaranta uomini superstiti attesero il terzo assalto. Accanto a Zulian, che teneva una torcia accesa per dare fuoco alle polveri, anche la moglie e i figli, che vivevano col capitano all'interno del forte. I turchi fecero breccia e avanzarono di corsa a centinaia, verso il drappello dei veneziani. Una corsa verso la morte, visto che nell'esplosione ne morirono cinquecento, lasciandone molti altri feriti. Fu un atto eroico e simbolico, che diede formalmente inizio alla guerra di Candia, destinata a durare venticinque anni. Pochi giorni dopo, a Venezia, Doge e Senatori ascoltano in piedi la relazione del fatto eroico:”Il capitan Giuliani, dato fuoco alla municione, ha più tosto voluto morire generosamente con li suoi, et con gran parte dei medesimi Turchi quali vi erano entrati, che mai rendersi. Volò quel prode coi compagni gloriosamente in Cielo et mandò centinaia di anime turche all'inferno.”


24 luglio 1686

Benedetto Giacomo Marcello è stato un compositore, poeta, scrittore, avvocato, magistrato e insegnante veneto. A lui è dedicato il Conservatorio di Venezia. Nacque a Venezia dai patrizi Marcello del ramo della Maddalena, ultimogenito di Agostino e di Paolina Cappello. La famiglia, in passato assai prestigiosa, aveva perso ogni rilevanza dal punto di vista politico, ma rimaneva nota a livello culturale: il padre componeva versi, suonava il violino e organizzava esecuzioni musicali nel suo salotto; la madre era dedita alla poesia e al disegno e alla sua famiglia apparteneva il noto teatro Sant'Angelo. Anche i due fratelli di Benedetto, Alessandro e Girolamo, si distinsero in ambito musicale e letterario. Secondo alcune fonti, il padre incentrò la formazione dei tre figli sulla poesia italiana e ogni mattina faceva loro comporre una decina di versi. Dal canto suo, il Marcello fu introdotto allo studio del violino, ma inizialmente i risultati furono assai mediocri. Secondo un aneddoto riferito da alcuni contemporanei, il suo interesse per la musica sarebbe stato destato da un episodio preciso: un giorno una principessa di Brunswick visitò i Marcello per assistere a un'esecuzione di Alessandro; accortasi di Benedetto, domandò di cosa si occupasse e Alessandro le rispose che, visto il suo scarso talento, al massimo poteva recargli gli spartiti. L'altro, offeso, giurò di dedicarsi agli studi musicali con il massimo della perseveranza. Mancano delle testimonianze precise in merito, ma si ritiene che il Marcello si fosse formato inizialmente presso i somaschi di Sant'Antonio di Castello. Attorno ai vent'anni si dedicò allo studio della teoria musicale e della composizione con una tale alacrità da mettere a repentaglio la propria salute. Suo insegnante fu il lucchese Francesco Gasparini, allora maestro di coro presso l'ospedale della Pietà. Per quanto riguarda la pratica, studiò, oltre che il violino, il clavicembalo, mentre per la teoria fece riferimento agli scritti di Gioseffo Zarlino. Suoi modelli furono le composizioni di musicisti del passato, come Giovanni Pierluigi da Palestrina, Carlo Gesualdo, Claudio Monteverdi, Girolamo Frescobaldi e Giacomo Carissimi, ma anche più recenti, quali Giovanni Legrenzi, Giovan Battista Lulli, Marc-Antoine Charpentier, Henry Purcell, Bernardo Pasquini e Arcangelo Corelli. Nonostante le sue ormai indiscusse doti musicali, il Marcello dovette interrompere i suoi studi per intraprendere il tradizionale cursus honorum riservato ai giovani patrizi. Svolse l'attività di avvocato a partire dal 1707 e, alla fine dello stesso anno, riuscì a entrare nel Maggior Consiglio grazie all'estrazione della balla d'oro. In seguito ricoprì una serie di cariche pubbliche che, come ebbe a dire lui stesso nella sua Fantasia ditirambica eroicomica, non furono particolarmente prestigiose offrendo solo un'arida routine burocratica: officiale alla Messetteria (1711), giudice all'Esaminador (1714), officiale alla Ternaria vecchia (1715), membro della Quarantia civil vecchia (1717), provveditore a Pola (1733), officiale alla Giustizia vecchia (1735), camerlengo a Brescia (1738), dove morì nel giorno del suo cinquantatreesimo compleanno. Benedetto Marcello è spesso ricordato per il suo Estro poetico-armonico (Venezia, 1724-1727), lavoro che mette in musica, per voci e basso continuo i primi cinquanta Salmi, nella versione in parafrasi italiana realizzata da Girolamo Ascanio Giustiniani. Questi componimenti furono molto ammirati da Charles Avison, che con John Garth curò un'edizione con testi in inglese (Londra, 1757). Tra gli ammiratori dei Salmi di Marcello, che godettero di grandissimo prestigio e di fama europea per tutto il Sette e l'Ottocento, si annoverano anche Goethe, Rossini e Verdi. Compose inoltre più di trecento cantate, per una o più voci; quattro oratori (fra cui Joaz su libretto di Apostolo Zeno per la corte imperiale di Vienna) e diverse serenate. La biblioteca del Conservatorio di Bruxelles possiede alcuni interessanti volumi di cantate da camera composte per la sua donna amata. Sebbene Marcello stesso avesse scritto il libretto di un'opera nel 1708, La Fede riconosciuta, a Vicenza, egli nutrì scarsa simpatia per questa forma di composizione, e diede sfogo alle sue opinioni sullo stato del dramma musicale a quel tempo nel pamphlet Teatro alla moda, pubblicato anonimamente a Venezia nel 1720; questo piccolo lavoro, che fu più volte ristampato, non solo è molto divertente, ma è anche un pregevole contributo alla storia dell'opera. Il suo sepolcro si trova nella chiesa di San Giuseppe di Brescia, luogo di sepoltura per eccellenza delle personalità bresciane in campo musicale. Benedetto Marcello si trova sepolto sotto una grande lapide pavimentale al centro della navata maggiore, davanti alla scalinata che sale al presbiterio. L'iscrizione ricorda alla pari i suoi notevoli risultati come camerlengo e la proficua attività in campo musicale.

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24 luglio 1797

Decreto della Municipalità Provvisoria contro gli oppositori. Veneti e Veneziani erano così felici del governo instaurato dai Francesi, che la municipalità, in assemblea il 24 luglio 1797 presentò il seguente decreto:

Decreto della Municipalità Provvisoria contro gli oppositori
24 luglio 1797

LIBERTA’ – EGUAGLIANZA
RAPPORTO DEL COMITATO DI SALUTE PUBBLICA
Relatore Giuliani

Cittadini! I pericoli della Patria vanno crescendo ogni giorno. L’audacia de’malevoli alza imprudentemente ed impunemente la fronte. Le divise nazionali sono oltraggiate, il governo disprezzato, gli stessi rappresentanti del Popolo motteggiati, avviliti.
Mille e mille carte incendiarie predicano l’insubordinazione alle autorità costituite
. Gli stemmi di San Marco si veggono malignamente affissi in tutti gli angoli della città. Le grida d’insurrezione viva San Marco allarmano i buoni cittadini. Il male è giunto al colmo: richiede estremi rimedi. Noi saremmo risponsabili verso il Popolo, se non prendessimo le misure che prevengano una controrivoluzione.
La salvezza pubblica c’induce a presentarvi il seguente decreto.

I. Chiunque griderà viva San Marco, segnale dell’orribile insurrezione del giorno 12 maggio, sarà punito di pena di morte.

II. E’ proibito ogni attruppamento. Quello o quelli che ecciteranno attruppamenti pubblica sicurezza e puniti di pena di morte.

III. Chiunque cercherà con discorsi di eccitare l’insubordinazione alle autorità del governo, sarà punito di pena di morte.

IV. Chiunque affiggerà o diffonderà carte incendiarie o stemmi di S. Marco e sarà autore e promotore di tali segni d’insurrezione, sarà punito di pena di morte.

V. Gli autori e gli stampatori di opere o fogli che eccitassero l’insubordinazione alle autorità del governo, saranno puniti di pena di morte.

VI. Gli osti, i locandieri, i caffettieri, i custodi de’ casini ed altre adunanze e i loro subalterni che non porteranno al Comitato di Salute Pubblica la riferta di chiunque tenesse discorsi che eccitassero l’insubordinazione alle autorità del governo, saranno soggetti alla carcerazione di cinque anni.

VII. Sarà formata questa notte una commissione criminale composta di cinque cittadini colla facoltà di procedere militarmente contro i colpevoli dei delitti indicati negli articoli precedenti.

VIII. Il presente decreto sarà stampato straordinariamente questa notte e pubblicato in tutti i sestieri a suon di tamburo.

Gallini, Giuliani, Sordina, Dandolo, Fontana, Benini, Signoretti (del Comitato).
Butturini Comm.rio Generale

Approvato per appello nominale con tutti i voti della Municipalità radunata straordinariamente alla mezza notte precedente il giorno 6 calorifero, 24 luglio.
Benini Presidente, Armani Secretario.