14 luglio 1336

La Lega antiscaligera fu un'alleanza contro gli Scaligeri, signori di Verona, formata il 14 luglio 1336 dalla Repubblica di Venezia e dalla Repubblica di Firenze e che durò fino al 24 gennaio 1339. La guerra che ne conseguì segnò la definitiva battuta d'arresto dell'espansionismo scaligero nel nord Italia. L'espansionismo degli Scaligeri fu mal sopportato dai veneziani. La scintilla che provocò il risentimento di Venezia fu nel 1335, allorché Alberto e Mastino II della Scala, signori di Verona, collocarono ad Ostiglia una catena sul fiume Po, a controllo del traffico fluviale[3]. Altro motivo di attrito fu l'edificazione del castello delle Saline a Chioggia, che sarebbe servito ai veronesi per proteggere la produzione di sale, avviata nella zona. La guerra ebbe inizio nonostante le resistenze del doge Francesco Dandolo, che assoldò i fratelli condottieri Rolando, Marsilio e Pietro de' Rossi, quest'ultimo cacciato dagli Estensi quando era signore di Parma e nominato nel 1336 comandante delle truppe della lega. Pietro de' Rossi occupò il castello di Chioggia, che fu raso al suolo il 22 novembre 1336. Il 3 agosto 1337 Padova si consegnò al de' Rossi, grazie a Marsilio da Carrara, signore della città e zio dei fratelli condottieri. Durante l'assedio, Alberto della Scala venne catturato e condotto in carcere a Venezia. Anche Brescia (8 ottobre 1337) e Bergamo si arresero ai Visconti; Feltre e Belluno a Carlo di Boemia. Lucca venne minacciata dalle truppe di Rolando de' Rossi, succeduto nel comando al fratello ucciso all'assedio di Monselice, difesa da Pietro Dal Verme. Anche la riva occidentale del lago di Garda si ribellò agli Scaligeri, richiedendo l'aiuto ai veneziani, che mandarono un loro rettore, Tommaso Gradenigo. Nell'aprile 1338 l'esercito della lega, sotto il comando di Rolando de' Rossi,[4] dopo aver seminato saccheggi e distruzioni, arrivò alle porte di Verona. Vistosi perdente, Mastino della Scala chiese la pace, che fu sottoscritta a Venezia il 24 gennaio 1339. La Repubblica ottenne il ripristino della libertà di navigazione lungo il Po con l'abolizione dei dazi e la cessione di Treviso, di Castelbaldo e di Bassano. Castelbaldo e Bassano vennero ceduti a Ubertino da Carrara, signore di Padova, che aveva favorito la presa della città. Alberto della Scala venne liberato il 22 febbraio 1339 e scortato sino a Legnago, dove fu accolto da Mastino che lo riportò a Verona. Gli Scaligeri dovettero abbandonare ogni velleità di espansione territoriale e rimasero signori solamente di Verona e Vicenza, fino al 1387 quando le due città passarono ai Visconti.


14 luglio 1902

crolla il Campanile di San Marco a Venezia Il Crollo del Campanile di San Marco rappresenta una triste data per la città Venezia. In quel giorno infatti crollò il Campanile di San Marco, una delle Torri campanarie più antiche del mondo. La fortuna volle che in quel tragico evento non ci fossero vittime. Ma quando si iniziò a rimuovere le macerie, venne ritrovata una piccola vittima: il gatto del custode. Tra le rovine del Campanile in piazza San Marco venne rinvenuta quasi intatta la statua di bronzo di Jacopo Sansovino raffigurante Mercurio con il braccio destro rotto e senza quattro dita della mano destra. Inoltre venne ritrovato un frammento di un Calice in Vetro di Murano risalente al 1500, con decorazioni a smalti policromi raffiguranti motivi allegorici di piante ed animali, attualmente conservato nel Museo Vetrario dell’Isola di Murano. Il crollo del Campanile di San Marco fu una vera tragedia per i Veneziani che vedevano nel Campanile un simbolo, una bandiera, qualche cosa dell’anima di tutto un popolo, sorto nel cuore della città e testimonianza di una multiforme storia di vita e d’arte. Nel 1902, già a partire dal periodo primaverile, il campanile iniziò a dare i primi preoccupanti segni di cedimento, segnali che si protrassero sempre più preoccupanti sino alla sera del 13 Luglio quando, su ordine del prefetto, la piazza fu sgombrata poco tempo prima di un concerto del 18° Reggimento Fanteria. Le macerie del campanile furono gettate in mare, a circa 5 miglia dal Lido di Venezia. Vennero trasportate con un grosso barcone con il fondo apribile e su uno dei mattoni trasportati, contornato da rami d’alloro, venne incisa la data “14 luglio 1902”. Pareva di assistere a un trasporto funebre, raccontano le cronache dell’epoca. Il mattone inciso fu gettato in mare da una bambina di nome Gigeta salita sul barcone con Giacomo Boni, un funzionario pubblico. Durante il viaggio di ritorno Boni si accorse che Gigeta teneva il pugno chiuso: dal cumolo di macerie la bambina aveva sottratto «un tochetìn de matòn del campaniél» (un pezzetto di mattone del campanile). Nella serata il consiglio comunale, riunito d’urgenza, ne deliberò la ricostruzione, stanziando 500 000 lire per contribuire ai lavori. Il sindaco Filippo Grimani, durante il discorso in occasione della posa della prima pietra, il 25 aprile 1903, pronunziò più volte la famosa frase, che diventerà il motto di questa ricostruzione: «Come era, dove era».