13 ottobre 1822

Muore a Venezia Antonio Canova. La leggenda di Antonio Canova inizia e si conclude ai piedi del Monte Grappa, nel borgo di Possagno dove nasce nel 1757, dove si trovano il grande mausoleo da lui stesso progettato e lo straordinario museo, dedicato ad uno dei più grandi geni della scultura di tutti i tempi. L’inizio non è dei più facili, la sua è una famiglia di scalpellini e tagliapietre come ce ne sono tante, impiegata nelle cave di marmo locali. Suo padre, e suo nonno prima di lui, sono abili artigiani, conoscitori della pietra ma non certo grandi artisti. Il papà Pietro muore quando il piccolo Antonio ha solo quattro anni, sua madre Angela poco dopo si risposa, cambia città e lo lascia con il nonno Pasino, che è pieno di debiti, lo maltratta e non gli offre certo una vita agiata. È attraverso il nonno però che Antonio scopre la seduzione dello scalpello, quando lo porta con sé per aiutarlo in alcuni lavori che stava facendo nella villa di Asolo del senatore Giovanni Falier. È lui il suo primo mecenate, l’uomo che intuisce l’eccezionalità di quel talento che scolpisce cesti di frutta per ornare scalinate e giardini. È lui ad intuire che quel talento ha bisogno di essere coltivato e che nel 1768 lo porta a Venezia nella bottega di Giuseppe Bernardi, conosciuto da tutti come il Torretti. A Venezia si compie quindi la sua formazione artistica: la mattina è garzone di bottega, il pomeriggio può copiare le opere famose, antiche e moderne, che si trovano nelle gallerie della città, la sera studia all’Accademia del Nudo. Non ci mette molto Antonio a farsi notare per la sua bravura, ha solo quindici anni quando scolpisce le due statue di Orfeo ed Euridice che l’intera città può ammirare alla festa della Sensa.Nel 1777 ha vent’anni ed è pronto a fare da solo, apre uno studio tutto suo e realizza il suo primo grande capolavoro, il gruppo scultoreo con Dedalo e Icaro, commissionato dal procuratore della Repubblica Pietro Vettor Pisani, oggi conservato al Museo Correr. Nel gruppo scultoreo vediamo padre e figlio abbracciati, Dedalo lega alle spalle di Icaro le ali di cera, che lo lascia fare ma allo stesso tempo, con il busto e con la testa, compie un movimento divergente, come a volersi divincolare dalla stretta paterna, a volersi allontanare prima del tempo. In quest’opera Canova è già Canova, c’è già tutto il suo virtuosismo nel rendere le carni giovanili di Icaro e quelle più cadenti di Dedalo, nell’idealizzare il volto del primo e nel rendere concreto quello del secondo, c’è già tensione, intuizione per l’azione successiva ma senza eccesso, senza forzature, e ci sono, ai piedi della statua, il martello e lo scalpello, gli strumenti del mestiere cui, il giovane di Possagno, ha già deciso di consacrare la sua vita. Nel 1779, grazie ai guadagni dei suoi successi veneziani, Antonio può finalmente realizzare il suo grande sogno: andare a Roma, studiare l’antichità alla sua fonte primaria. Il suo primo soggiorno dura un anno, un anno di studio, di insaziabile ricerca e di scoperta, in cui può conoscere le collezioni più prestigiose, immergersi nell’architettura antica, approfondire i testi classici e la mitologia. Soprattutto a Roma Canova incontra altri artisti: il boemo Anton Raphael Mengs, lo scozzese Gavin Hamilton, il francese Jacques Louis David (che arriverà poco dopo), tutti accomunati dal desiderio di riscoperta della classicità, tutti affascinati dalle idee di Johann Joachim Winckelmann, il grande teorizzatore del Neoclassicismo. Da Roma, dove comunque ha deciso di stabilirsi, Canova parte alla volta di Napoli. Qui ammira le sculture che il suo concittadino Antonio Corradini ha lasciato trent’anni prima nella Cappella Sansevero, visita la collezione Farnese, straordinaria raccolta di antichità ma soprattutto visita i siti archeologici di Pompei, Ercolano e Paestum. E proprio a Napoli realizza Teseo sul Minotauro, la sua prima opera di gusto pienamente neoclassico. Proprio secondo gli insegnamenti di Winckelmann l’eroe mitologico non viene rappresentato nel momento furioso del combattimento e nemmeno in quello esaltante del trionfo. Teseo ha già sconfitto il mostro ma nessuno ancora lo sa, si siede sul corpo del nemico in atteggiamento riflessivo: ha vinto, si, ma ora medita sul senso del suo gesto, con il volto abbassato e il corpo che recupera le forze dopo lo scontro. Una volta trasferito a Roma il suo laboratorio, la carriera di Canova può decollare con la realizzazione delle prime opere pubbliche, la tomba del papa Clemente XIV nella chiesa dei Santi Apostoli e quella di Clemente XIII nella basilica di San Pietro. Canova e la realizzazione di monumenti funerariCome se la cava un giovane scultore che arriva da Venezia con la tomba di un papa? È vero, ormai sa tutto della scultura antica, ma in questo caso non basta. I committenti si aspettano un’opera celebrativa, che esalti il pontefice e la sua famiglia e soprattutto che regga il confronto con gli altri sepolcri di cui San Pietro e le altre chiese romane sono piene. Il confronto con il Rinascimento e il BaroccoQui non si tratta più di confrontarsi con l’età di Pericle ma con il Rinascimento e il Barocco. Dopo Fidia e Prassitele ora tocca a Michelangelo e Gian Lorenzo Bernini. Può sembrare un controsenso per un artista neoclassico non fuggire davanti al campione del Seicento Romano, che solo un secolo dopo viene tanto vituperato dai critici, ma gli artisti, si sa, sono molto più lungimiranti… E infatti è proprio sui monumenti che Bernini aveva realizzato in San Pietro per Urbano VIII e Alessandro VII che Canova medita. Dai precedenti berniniani il giovane scultore trae l’impianto compositivo (un sarcofago, su cui è posto un piedistallo, su cui a sua volta è posta la statua del papa) e anche gli elementi figurativi (due figure allegoriche ai lati del sarcofago, il pontefice seduto in posizione benedicente e inginocchiato in preghiera) ma tutto passa attraverso un processo di semplificazione, di purificazione: le linee curve e spezzate diventano rette, l’esuberanza cromatica diventa candida monocromia, i panneggi abbondanti lasciano il posto a vesti leggere che scendono lungo i corpi. Ancora una volta Canova dimostra quale sostanziale La notorietà di Canova all'esteroLa fama di Canova travalica così i confini italiani, richieste arrivano da tutta Europa e perfino dagli Stati Uniti. Le più illustri case regnanti si rivolgono a lui: Caterina II di Russia, Francesco II d’Asburgo e Napoleone Bonaparte gli offrono vitalizi e posizioni a corte. Lui lavorerà per tutti ma non accetterà mai di entrare a servizio esclusivo di nessuno, preferendo Roma, il suo studio e la sua libertà. Per la casa regnate austriaca realizza il grande Monumento Funebre per Maria Cristina d’Austria, un cenotafio che racconta il sentimento della morte come nessuno aveva mai fatto prima. Sono anni, quelli a cavallo tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 che vedono in Europa grandi sconvolgimenti, in cui sorge e cade l’astro di Napoleone. Sconvolgimenti a cui si legano anche la vita e l’opera di Canova. A seguito della prima campagna d’Italia nel 1797, il generale estorce al papa Pio VI il trattato di Tolentino, che sancisce il diritto di portare via opere d’arte e oggetti preziosi dai musei e dalle chiese. Canova depreca questa spoliazione e non fa mistero delle sue idee, ciò non di meno nel 1801 accetta di andare a Parigi per realizzare un colossale ritratto di Napoleone nei panni di Marte pacificatore, la statua però non viene esposta e con grande delusione di Canova è invece riposta nei depositi del Louvre. Ritratti per la famiglia di Napoleone e recupero delle opere sottratte all'ItaliaPer la famiglia del futuro imperatore realizzerà altre opere, il ritratto di sua moglie Maria Luisa e quello celeberrimo di sua sorella Paolina in veste di Venere vincitrice, ma sarà però sempre in grado di mantenere una posizione distaccata rispetto al suo ruolo di potere e decisamente critica verso la sua politica di “razzia” nei confronti dei paesi occupati. È proprio a Canova infatti che, dopo la sconfitta di Lipsia, viene nel 1816 affidato l’incarico di recuperare quanto le truppe napoleoniche avevano portato via, riuscendo in gran parte nel difficilissimo compito. Ormai celebrato in tutto il mondo, coperto di onori, vuole tornare a casa, a Possagno e occuparsi della nuova chiesa che ha progettato per il suo paese e che intende edificare a sue spese. Muore a Venezia, sulla via del ritorno nel 1822. La chiesa della Santissima Trinità, più conosciuta come il tempio canoviano di Possagno, viene ultimata dopo la sua morte e ospita le sue spoglie.