8 ottobre 1511

L'assedio di Treviso, In un primo momento, i nobili trevigiani si recano a Padova, già occupata, per offrire la resa della città.

Il consenso non è unanime, e le fonti parlano di un certo nobiluomo Francesco Rinaldi, che si dichiara pentito già sulla strada del ritorno. Ma gli imperiali non entreranno a Treviso. Durante l’assenza dei nobili, Marco Pellicciaio da Crema aveva guidato la resistenza della città con uno sparuto gruppo di popolani, correndo per Treviso con il figlio e alcuni amici, sventolando la bandiera di San Marco. La strenua opposizione di Treviso al nemico e l’ancora sua più sorprendente fedeltà a Venezia, che pure aveva lasciato la possibilità alle città di slegarsi dall’unione repubblicana, resta un raro esempio di impavidità e coraggio, dimostrando come attorno alla città lagunare -lasciata sola a fronteggiare le più grandi macchine belliche d’Europa- ruoti ancora un felice margine di consenso. Treviso sarà da quel momento in poi un punto di importanza strategica: tutte le truppe venete prima dislocate a Mestre sono ora spostate lì, e nella città il popolo fa a gara per dare alloggio ai soldati; chiese e conventi si aprono per accogliere i rifugiati. La città viene fortificata con mura, bastioni di terra e fossati. I borghi vicino alla vecchia cinta muraria sono spianati, per fare spazio a nuovi terrapieni interni che rinforzino le nuove costruzioni e permettano di attutire i colpi di cannone. Il progetto e la realizzazione dell'opera fu affidata al frate francescano Giovanni Giocondo da Verona i lavori cambiarono il volto della città: vennero abbattute le mura medioevali e distrutti borghi ed edifici che si trovavano all'esterno della cinta muraria. In quella che è l'attuale periferia esisteva una sterminata spianata priva di case a alberi. Le nuove mura furono costruite a terrapieno, rivestito all'esterno da una spessa muraglia in mattoni, più economico e facile da usare rispetto alla pietra, ma anche più elastico per meglio resistere all'artiglieria. Una volta completate le mura, si diede avvio alle opere idrauliche. Fu deviato il corso del fiume Botteniga in modo da creare attorno alla città un profondo fossato e attraverso il complesso sistema di chiuse ancora visibile sotto il Ponte de Pria, in corrispondenza dell'ingresso del fiume in città, si poté, all'occorrenza, allagare la spianata circostante. L'attacco delle truppe della Lega di Cambrai arrivò puntualmente e durò fino al 15 ottobre. Le opere difensive di Fra Giocondo resistettero anche perché grazie all’apertura delle chiuse l’esercito e i soldati nemici si trovarono impantanati. Le cannonate a malapena arrivavano vicino le mura. Mentre i cannoni veneti più rialzati riuscivano a colpire gli assedianti. Cessato il pericolo i varchi di accesso alla città, tra il 1514 e il 1515, furono ridotti a tre. Oltre a porta Altinia che ancora oggi si connota come torre difensiva, i podestà di allora, Nicolò Vendramin e Paolo Nani, decisero di ricostruire, proprio per celebrare la vittoria, porta Santi Quaranta e porta San Tommaso con lo stile degli archi trionfali romani.