1 ottobre 1447

Alla morte di Filippo Maria Visconti (1447), Piacenza, come le altre città del ducato, tentò di approfittare del vuoto di potere creatosi per darsi un governo autonomo. Senonché, resasi presto conto del fallimento di questo tentativo, si consegnò alla repubblica di Venezia, in quel momento in guerra contro Milano. Nel settembre dello stesso anno Piacenza fu cinta di assedio dalle truppe milanesi, comandate da Francesco Sforza. L’assedio decisivo inizia il 1 ottobre del 1447 e si conclude con i fatti di sangue, di violenza e profanazione che lasciano senza fiato: il sacco avviene sabato 16 novembre e probabilmente è un episodio di storia cittadina che merita il ricordo, perché ci insegna che tutto ciò che siamo oggi in fatto di libertà, espressioni e progresso sono passati anche per queste quasi dimenticate e secolari strade di guerra. Francesco Sforza temuto condottiero milanese proclamò guerra a Piacenza perché il territorio era parte del Ducato Visconteo di Milano ed i piacentini, con una rivolta cittadina, avevano cambiato la casacca giurando fedeltà ai Veneziani nell’agosto di quel 1447. Da questo cruciale dato si arriverà all’epilogo, con disfatta, dopo soli tre mesi: lo Sforza non scherzava ed i piacentini con quella mossa politica avevano sopravvalutato la protezione ed i benefici che avrebbero ricavato dalla lontanissima Repubblica di Venezia, sconfitta in battaglia. Un anno dopo, con accordo di pace, Venezia cedette allo stesso vasti territori compreso il cremasco. L’assedio avvenne con battaglie ed assalti con gravi perdite umane soprattutto di piacentini e lo sfinimento della popolazione portata allo stremo dalla mancanza di viveri, dalla stagione autunnale piovosa e fredda e con i fiumi Trebbia e Po gonfi d’acque che permettevano una buona navigazione dei temuti galeoni della flottiglia navale del conte Francesco Sforza, al soldo del Duca di Milano Filippo Maria Visconti. Dalle fonti storiche la parte più triste e crudele, che sembra tratta da una moderna sceneggiatura da film ma che invece è una cruda realtà avvenuta tra il 16 ed il 17 ottobre 1447 nella città di Piacenza. Certi fatti sono molto cruenti e feroci. Stupisce sentire il giorno prima il nemico dare l’annuncio del libero saccheggio, senza regole, però anche inneggiando ad una Piacenza che viene paragonata per bellezza seconda sola a Milano. È l’alba del 16 ottobre allo squillo delle trombe inizia l’attacco su tutti i fronti con colpi delle grandi bombarde dello Sforza che senza sosta colpiscono Porta Corneliana mentre dal Po i galeoni, con le stesse, bombardano incessanti la parte nord delle mura. Uomini pronti a tutto: arcieri, archibugieri e balestrieri oltre a spade sguainate in mortali corpo a corpo contro i piacentini assediati e decine di uomini a cavallo. La battaglia continua per tutta la giornata, i piacentini vengono sopraffatti e qui comincia quello che la guerra con il “sacco” a libera depredazione comporta per i vinti. I soldati dello Sforza si buttano sulle case dei nobili e le svuotano dei beni: mobili, vasellame, arredi e ovviamente ori ed argenti ed alla fine di oggetti rubati se ne conteranno alcuni carri oltre a tutto quello che ognuno di quei predatori personalmente aveva tenuto addosso riempendo tasche e sacche. Le chiese della città anch’esse rapinate di candelabri, ornamenti e calici con profanazioni delle ostie sbattute a terra. Ugual sorte ai tanti conventi di monaci e suore molte delle quali vilmente stuprate. Ma le violenze si riversarono anche su donne comuni e ragazzine e le fonti non risparmiano di informare di ragazzi sodomizzati. Le case dei nobili dopo esser state svuotate erano fatte atto di vandalismi ed in alcuni casi date alle fiamme. Alcuni sacerdoti furono messi in catena mentre altri assalitori, ormai in preda a questo delirio, aprirono tombe e profanarono i cadaveri, ovviamente di persone di rango le quali potevano esser state sepolte con qualche oggetto di metallo prezioso come anelli e collane. Un inferno di morte per Piacenza ricco solo di furore e ferocia. Intanto anche la cavalleria veneziana ad est della città era stata sbaragliata ed il mantovano Gonzaga alleato dello Sforza s’occupava di far riunire la flotta delle navi sparse sul Po per quell’attacco. Il giorno dopo si firmò ufficialmente la resa e con questa la pace: la città era ormai deserta e per circa un anno restò in questo stato, al punto che lo Sforza nel 1448 farà un’ordinanza per obbligare i piacentini fuoriusciti a ritornare, con il perdono dei ribelli e l’esenzione completa delle tasse per ben 4 anni e questo atto fu trasmesso alla Cancelleria del Comune di Piacenza. Una battaglia combattuta su terra e in parte sul Po e vinta dai Milanesi che dal 1450 alla morte di Filippo Maria Visconti elessero proprio Francesco Sforza come nuovo Duca e che tuttavia, leggendo dalle missive dell’Archivio di Stato di Milano con Piacenza, eserciterà il potere con buon sapere e senza eccessivi gravami, forse conscio di quello che già aveva inflitto alla città ed ai suoi abitanti.


1 ottobre 1527

Nel settembre del 1527 l'esercito francese, guidato da Odet de Foix conte di Lautrec, raggiunse la Certosa di Pavia e da qui decise di tentare l'assedio di Pavia poiché da quella città erano appena uscite tre bandiere di fanti spagnoli (circa 400 uomini) che si erano dirette alla volta di Milano.Il 30 settembre i francesi si accamparono nel Parco Visconteo davanti alle mura settentrionali della città mentre i veneziani si erano portati oltre il Ticino e l'assediavano da sud. Durante la notte i francesi prepararono due batterie d'artiglieria composte da 11-15 pezzi mentre i veneziani una batteria costituita da due soli cannoni. L'assedio vero e proprio iniziò il primo ottobre con il tiro dell'artiglieria francese e veneziana sulla città. Dopo un giorno di bombardamento i due terzi di una delle torri settentrionali del castello crollarono mentre i veneziani riuscirono ad aprire una breccia di 10-12 pertiche nelle mura meridionali. A fine giornata l'intera ala nord del castello era ormai distrutta e i francesi si prepararono all'assalto che però venne rinviato a causa della presenza dell'ampio fossato allagato e della sua notevole profondità. Il giorno dopo la guarnigione tentò una sortita in cui riuscì quasi a catturare Cesare Fregoso e che venne infine respinta dagli uomini di Antonio da Castello. La breccia nelle mura causata dall'artiglieria si allargò sino a circa 100 passi. Il giorno successivo Giampaolo Manfrone, celebre condottiero veneto allora a capo di 100 cavalieri pesanti, mentre stava ispezionando la batteria di cannoni dei veneziani venne ucciso da un colpo d'archibugio al petto e morì sul colpo. Lo stesso giorno Antonio de Leyva uscì con un esercito da Milano per cercare di sollevare l'assedio da Pavia ma arrivato a Binasco, non appena ebbe notizia che i francesi avevano intenzione di contrastarlo, si ritirò di nuovo nel capoluogo lombardo. Il 4 ottobre Odet de Foix spinse per un assalto generale alla città ma venne dissuaso dai suoi capitani. Alcuni guasconi, disobbedendo agli ordini, tentarono di infiltrarsi attraverso la breccia nelle mura presso il castello ma vennero respinti con molte perdite. Verso la sera del 5 ottobre Pavia era ormai indifendibile e Ludovico Barbiano da Belgioioso decise di uscire dalle mura e consegnarsi prigioniero al Lautrec, pressato anche dai suoi uomini che avrebbero voluto una resa più tempestiva. Proprio in quel momento scattò l'assalto che portò alla conquista e al violento sacco della città da parte dei francesi che non incontrarono più alcuna resistenza.I saccheggi furono efferati e durarono per otto giorni. Durante l'assedio, il Castello Visconteo perse l'ala nord - la più bella, perché conteneva gli appartamenti ducali, con stanze affrescate dal Pisanello - e le due torri di nordovest e nordest, le campagne attorno alla città furono devastate ed alcune chiese suburbane, o vicine alle mura, furono distrutte o talmente danneggiate da non essere più utilizzabili. Ma anche la statua del Regisole, una grande statua equestre in bronzo tardoromana che raffigurava un imperatore a cavallo e che da secoli era uno dei simboli di Pavia, attirò l'interesse dei saccheggiatori: un soldato di Ravenna, un certo Cosimo Magni, fece caricare la statua su di una barca, con l'intenzione di inviarla a Ravenna. Ma la nave fu fermata a Cremona per ordine di Francesco II Sforza e, dopo essere rimasta cinque anni a Cremona, venne infine riportata a Pavia. Il provveditore generale del campo veneziano, Domenico Contarini, racconta come vennero sottratte a stento dalle mani e degli squìzari e dei guasconi "75 donne belle et nobili monache; e altre 100 donne et puti". Terminato il saccheggio, i francesi lasciarono Pavia il 18 ottobre 1527[10] e scesero verso Piacenza, diretti a Roma.