19 aprile 1428

la pace di Ferrara pose fine alla guerra tra Filippo Maria Visconti, duca di Milano, e Venezia e Firenze alleate contro di lui. Nella guerra, dopo alterne vicende, i Veneziani avevano riportato notevoli successi grazie all'abilità del Carmagnola (già condottiero di Filippo Maria, poi passato alla Serenissima), che sconfisse i Milanesi a Maclodio (1427). Ma dopo l'eliminazione del Carmagnola a opera degli stessi Veneziani, che lo accusarono di tradimento, il duca di Milano si riprese e riportò alcune vittorie sui Fiorentini. Con la pace Filippo Maria cedette Bergamo e Brescia a Venezia mentre a Firenze non venne alcun vantaggio. Ci fu poi una ripresa delle ostilità da parte viscontea nel tentativo, fallito, di riconquistare le città perdute: si giunse a una seconda pace di Ferrara (1433) che confermò gli accordi del 1428 stabilizzando di fatto il confine tra Venezia e Milano lungo l'Adda. Quando la Pace, fu effettivamente conclusa , oltre alla scambievole remissione dei danni e delle uccisioni dal 1423 in poi, si pattuì la cessione a Venezia di Brescia e di tutto il suo territorio e la cessione di Bergamo, pure col suo territorio, meno Caravaggio, Treviglio e la Ghiara d’Adda, che restavano al duca di Milano, lasciandosi alla decisione del cardinale la sorte di Martinengo e Val San Martino. E il 5 maggio successivo il cardinale si pronunciava e dichiarava Martinengo appartenente al territorio di Bergamo e quindi a Venezia, e Val San Martino al duca di Milano.”

Dal testo “Brescia e i bresciani – dalle origini al 1945” di Franco Nardini – Editoriale Ramperto, 1979.
Pag. 72: “La nuova pace di Ferrara del 1428 riconosce a Venezia il dominio sul territorio bresciano, compresa la Valcamonica. Per accattivarsi l’animo della popolazione, la repubblica di san Marco fa la generosa: ai paesi bresciani delle valli e di confine dà libertà di commerciare e di acquistare sale dove vogliono; fa sconti sui dazi; rende liberi i trasferimenti del bestiame da una zona all’altra per ragioni di pascolo (transumanza). Sui suoi sostenitori fa cadere, a pioggia, benefici, titoli, privilegi, rendite, pensioni a vita. Tra gli altri, ne fruiscono soprattutto gli Avogadro, gli Averoldi, i Mazzola, i Caprioli, i Pulusella, gli Anselmi, i Bellasi, Galvano da Nozza. Dal territorio bresciano è scisso il Garda, che viene assegnato a Verona.

Dal testo “Brescia e provincia – Storia per date dalla preistoria al 1980” di Franco Nardini – Editoriale Ramperto, 1982. Pag 74: “La guerra si conclude con la Pace di Ferrara dove il Visconti [Duca di Milano] riconosce a Venezia il dominio su tutta la provincia bresciana compresa la Valcamonica”
Pag 136: “Avuto poi quale rettore Leonardo Giustiniani, Bergamo, come Brescia, mandò a Venezia una deputazione per prestare il giuramento
di fedeltà alla Repubblica. Il 4 luglio del 1428 pertanto si presentarono al doge e alla signoria 8 ambasciatori bergamaschi, i quali, secondo la cronaca riferita dal Ronchetti, erano superbissimamente vestiti e accompagnati da nobili in numerosa comitiva. Uno di loro, che era il vescovo, lesse un sermone d’occasione; quindi tutti insieme presentarono uno stendardo di zendado vermiglio con strisce gialle per lungo, il quale fu posto nella chiesa di San Marco colle parole Civitas Bergomi, a lettere d’oro. Il Ronchetti scrive che questi erano i due colori usati in Bergamo per indicare le due fazioni, guelfa e ghibellina, il primo, il giallo pei guelfi, il secondo, il rosso pei ghibellini.” ... “In memoria dell’evento la città deliberò una pubblica offerta annua di dieci fiorini d’oro all’altare di S. Giovanni in Santa Maria Maggiore e una solenne processione di tutto il clero cittadino, al suono delle campane, in segno di letizia e riverenza.”


19 aprile 1506

Marcantonio Cocci, detto il Sabellico, si spense a Venezia, desiderando di essere sepolto nella Chiesa di S. Maria delle Grazie. Nacque a Vicovaro intorno all’anno 1448. Ai suoi tempi il paese faceva parte del feudo della famiglia Orsini del ramo di Tagliacozzo. Le informazioni sulla sua vita e le sue opere le rivela lui stesso nelle sue lettere (Epistolae) che scrisse ai familiari e ai personaggi illustri del tempo con i quali ebbe rapporti di amicizia. Raccolte in dodici libri, esse vennero pubblicate a Venezia nel 1502. La famiglia Cocci, era probabilmente benestante, la madre Cecilia, morì forse, quando era ancora piccolo. Il padre Giovanni fu alle dipendenze già di Roberto Orsini, partecipando con il principe alla guerra di Calabria. Era in amicizia anche con la potente e ricca famiglia Porcari, che ricopriva in molte località del Lazio, alti incarichi per conto dello Stato Pontificio. Marcantonio fu il più piccolo di sei figli maschi (Angelo, Troilo, Domenico, Mariotto, Cataluccio), sicuramente ebbe anche delle sorelle di cui non si hanno notizie precise. L’abitazione della sua famiglia, probabilmente, è stata identificata con l’edificio situato in Via Marcantonio Sabellico, che reca ancora l’edicola con l’annunciazione risalente al XVII secolo. Marcantonio Sabellico iniziò gli studi di grammatica a Vicovaro sotto la guida di Nicola Carsio, abate del monastero di San Cosimato. Adolescente, si trasferì a Roma insieme al fratello Cataluccio per completare la sua preparazione culturale, ospiti nella casa della famiglia Porcari, vicino la Chiesa della Minerva a Roma. Qui, seguì le lezioni di famosi maestri come Pomponio Leto, fondatore dell’Accademia Romana, Domizio Veronese, Gaspare Veronese (che fu maestro di lingua latina) e del poeta Porcelio. Nel ‘400 le Accademie erano molto diffuse. Gli studiosi si riunivano per parlare di letteratura, arti, confrontare opinioni sui più svariati argomenti. Questo, è infatti il periodo che definiamo Umanesimo, caratterizzato da un rinnovato interesse per lo studio delle opere degli autori latini e greci. I letterati del tempo avevano, all’interno di questi cenacoli, l’abitudine di non chiamarsi con il loro vero nome, ma di prendere quello di famosi personaggi o luoghi del mondo classico, l’appellativo Sabellico si richiama infatti all’antica origine della sua terra natia derivante dalla popolazione degli Equi (antica popolazione dell'Italia preromana appartenente al gruppo sabellico che abitava nelle alte valli dei fiumi Aniene e Imella). Nell’Accademia Romana conobbe Angelo Fasolo da Chioggia, tesoriere di papa Paolo II. Alla morte del pontefice, il nipote Marco Barbo, nominato Patriarca di Aquileia, lo designò suo Vicario e il Fasolo chiese a Marcantonio di seguirlo in veste di segretario. Nel 1473, durante una visita pastorale a Udine, il Fasolo lo raccomandò presso i provveditori della città che cercavano un insegnante per le scuole pubbliche. Il Sabellico insegnò ad Udine per l’anno scolastico 1473-74 raccogliendo grandi consensi e fama. Tuttavia ci fu anche chi criticò il fatto che, nonostante l’impiego, continuasse a dare lezioni private ai figli dei nobili. Queste voci fecero ritardare la riconferma dell’incarico per l’anno successivo. La risposta di Marcantonio a queste accuse fu la pubblica lettura di un manoscritto intitolato: “In Utini Originem“ (Sulle origini di Udine). La storia della città da lui raccontata e commentata commosse a tal punto la platea, che forse solo allora gli udinesi compresero quale uomo insigne stavano per perdere. Dopo Udine, visse per qualche tempo a Verona ospite di Benedetto Trevisan, funzionario della prefettura della città. Nel 1485 si trasferì a Venezia: per affermarsi, progettò di scrivere una storia della città dalle origini ai suoi giorni intitolata Historiae Rerum Venetarum (storia della Repubblica di Venezia) in 32 capitoli, suddivisi in periodi di 10 anni. Quest’opera, che divenne testo scolastico di storia, fu talmente apprezzata dai politici e dai nobili che gli valse una rendita vitalizia annua di duecento ducati d’oro. La prima edizione fu del 1486. Durante il soggiorno veneziano ebbe anche l’incarico di insegnare letteratura latina ed eloquenza presso la scuola pubblica di San Marco. La sua abitazione fu a Rialto, nelle vicinanze dell’omonimo ponte, successivamente si spostò poco distante nei pressi di San Benedetto dove rimase fino alla morte. Tra gli incarichi prestigiosi che ricoprì occorre ricordare quello di conservatore della biblioteca pubblica (Biblioteca Marciana) conferitogli nel 1487 dal Doge Barbadigo. A Venezia compose il suo capolavoro: le Enneadi (il titolo originario era Rapsodiae Historiarum) un’opera che raccontava in 92 capitoli le storie di tutti i popoli della terra fino allora conosciuti, dalle origini fino ai suoi giorni.