18 aprile 1766

Il primo teatro trevigiano fu aperto nel 1692 per iniziativa del conte Fiorino Onigo. Si trattava di un tipico teatro all'italiana, con più ordini di palchi, e sorgeva dove si trova l'edificio attuale (l'antica contrada San Martin). Propose per diversi anni un buon repertorio, apprezzato dai nobili veneziani che villeggiavano in città e nelle campagne circostanti. Tuttavia, a partire dal 1713, cominciò a decadere fino ad essere abbandonato del tutto. Qualche tempo più tardi, grazie all'interessamento del conte Guglielmo Onigo, l'edificio venne praticamente riedificato su disegno di Antonio Galli da Bibbiena, già progettista del Teatro comunale di Bologna; la facciata e l'atrio furono invece ideati da Giovanni Miazzi. 18 aprile 1766 riapre al pubblico il Teatro Onigo, ampliato su progetto del celebre architetto Galli Bibbiena, lo spettacolo inaugurale è l'opera in musica 'Il Demofoonte' su libretto di Pietro Metastasio. L'edificio appartenne ancora agli Onigo sino al 1846, anno in cui fu ceduto alla Società dei Palchettisti (e fu per questo noto come Teatro Sociale). Dopo vicende alterne, il vecchio teatro Onigo venne distrutto da un incendio il 2 ottobre 1868. Pare che a causare l'incendio non furono le lumiere a petrolio, ma il custode del teatro, tale Triaca, che si serviva del palcoscenico per la sua attività di pirotecnico dilettante. La sala attuale, inaugurata nel 1869, fu progettata dall'architetto Andrea Scala, autore, tra gli altri, dei teatri di Udine, Trieste e Pisa. Le decorazioni pittoriche si devono al triestino Stella ed a Federico Andreotti, quelle in stucco allo scultore Fausto Asteo. Le balaustre dei palchi e il boccascena sono decorati con tessuti dal disegno rococò trapunto di perle dorate di Murano. La facciata è quella dell'edificio originale e reca ancora nella trabeazione la firma del Miazzi. L'inaugurazione della nuova sala del Teatro di Società ebbe luogo nell'ottobre 1869 con il Faust di Charles Gounod. Tra il 1869 e il 1930 il Teatro Sociale conobbe un periodo di particolare splendore: qui si tenne un'esposizione regionale veneta e le manifestazioni per il 25° della proclamazione di Roma a Capitale d'Italia. Nella stagione d'Autunno del 1890 debuttò Emma Calvè, interpretando per dodici recite il ruolo di di Ofelia nell'Hamlet di Ambroise Thomas. Nel 1894 il giovane Toscanini dirige Falstaff e Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti e l'anno successivo il Tannhäuser di Richard Wagner e la Lorely di Alfredo Catalani. Nel 1900 Enrico Caruso interpretò per la prima volta il ruolo di Cavaradossi (Tosca), nel 1911 Hipolito Lazaro cantò nella Gioconda eCarmen Melis e Viglione-Borghese si esibirono, diretti da Tullio Serafin, nella Fanciulla del West. Elvira de Hidalgo si esibì nel 1915 ne La figlia del reggimento, Francesco Merli fu Andrea Chénier nel 1925, Toti Dal Monte calcò il palcoscenico trevigiano nel 1920 (Lodoletta), 1922 (Barbiere di Siviglia), 1931 (Sonnambula), 1943 (Traviata), 1945 (Madama Butterfly). Tra i direttori vanno ricordati oltre ai citati Toscanini e Serafin, Emilio Usiglio, Leopoldo Mugnone, Pietro Mascagni, Riccardo Zandonai. Dal 1931 unico proprietario è il comune di Treviso. Nel 1945, pressato dalla disperata situazione post-bellica, l'amministrazione comunale decise di alienare il Teatro - ormai noto come Comunale - a privati. Dopo cinque anni, il Tribunale di Treviso dichiarò inefficace la vendita e il Comune ritornò definitivamente proprietario dell'immobile. Nel frattempo la vita musicale del Teatro era proseguita con regolarità, alternando le tradizionali stagioni d'autunno e di primavera cui presero parte, per la lirica, protagonisti di assoluto rilievo: Mafalda Favero, Rosa Raisa, Licia Albanese, Tito Gobbi, Maria Caniglia, Mercedes Capsir, Aureliano Pertile, Lina Pagliughi, Mario Del Monaco, Iris Adami Corradetti, Gianna Pederzini, Cesare Valletti, Gianni Raimondi, Virginia Zeani, Magda Olivero, Margherita Carosio, Giuseppe Di Stefano, Nicola Rossi Lemeni, Ferruccio Tagliavini. E ancora, in tempi più recenti, Piero Cappuccilli, Katia Ricciarelli (la quale si esibì qui per la prima volta nel Trovatore nel 1970 ed in Otello nel 1971),[3] Renato Bruson,Leyla Gencer. Le opere più rappresentate furono quelle degli autori italiani del XIX e XX secolo, ma anche gli autori russi e francesi ottennero buona accoglienza (a Treviso si ebbe, in particolare, la seconda italiana di Boris Godunov dopo la prima della Scala. Al Comunale, riconosciuto per legge tra i ventiquattro teatri italiani "di tradizione" fa capo, a partire dal 1969, il Concorso Internazionale "Toti Dal Monte", che ha visto vincitori, tra gli altri, Ghena Dimitrova, Mariella Devia, Alida Ferrarini, Ferruccio Furlanetto, Simone Alaimo, Fiamma Izzo D'Amico,Natale De Carolis. A Peter Maag si deve la fortunata idea della "Bottega", un “laboratorio teatrale” per allestire opere insieme a giovani cantanti e direttori d´orchestra. Giunto a Treviso nel 1988 per dirigere Trovatore, il maestro fu artefice già l'anno successivo del primo spettacolo della Bottega: Don Giovanni. Il cast vocale veniva selezionato grazie al Concorso "Toti Dal Monte" e preparato da masterclass vocali tenute da prestigiosi artisti come Leyla Gencer eRegina Resnik. Alle voci si affiancavano i giovani direttori, assistenti e maestri collaboratori. Tra i più riusciti risultati del progetto si possono ricordare la trilogia delle opere mozartiane, il Falstaff con la regia di Virginio Puecher, il Turco in Italia messo in scena da Ferruccio Soleri, il Rigoletto, Die Zauberflöte e la Carmen allestita da Hugo De Ana. Il teatro è stato chiuso nel dicembre 1998 per inagibilità. Una convenzione siglata tra il Comune di Treviso e Fondazione Cassamarca il 24 luglio 2000 ha dato a quest'ultima, assieme all'onere di restaurarlo e conservarlo, la facoltà della gestione del teatro per novant'anni. Il 15 novembre 2003 la sala è stata nuovamente inaugurata con un concerto della Royal Philharmonic Orchestra.


18 aprile 1807

Narsete capitano dell'Imperatore Giustiniano contro Totila, Re dei Goti, che occupava gran parte dell'Italia, radunato un nuovo esercito nel 552, consultò i Veneti che lo aiutarono, e che con le loro barche hanno molto giovato al bene dell'impresa. Si dice che per questo aiuto Narsete fece edificare due chiese in Rialto, l'una sacra a san Teodoro e l'altra ai Santi Geminiano e Menna.Si ritiene che siano state fabbricate dal 552 al '54 su quella piazza che fu poi detta di San Marco dal Tempio elevato al Santo Evangelista. Questa chiesa di San Geminiano si alzò sulla sponda del canale Batario che traversava la piazza dal ponte del Malpasso, poi detto dei Dai, al canale che sbocca nel bacino di san Marco, dove è il ponte che conduce ai Giardinetti. L'incendio del 1105 la distrusse, ma fu ben presto rifatta nell'antico punto. Sotto il principato del Doge Vitale Michiel II (1155-1172) volendo ingrandire la piazza, si è interrato il canale, contrassegnando il punto con una pietra rossa innestata nel pavimento, e che si trovava al sedicesimo arco delle Procuratie nove contando dall'angolo dietro il campanile, e, demolita la chiesa, si è rifatta nel sito dove poi fu sempre. Prima di eseguire il trasporto della Chiesa, la Republica inviò ambasciatori a Roma per ottenerne l'assenso, ma il Papa rispose che né la Chiesa né la Santa Sede potevano concedere che si facesse il male, ma che dopo fatto poteva venir perdonato. I veneziani capirono, fecero rovinare la chiesa, indi mandarono al Papa per l'assoluzione, impegnandosi il Doge di visitare la nuova chiesa ogni anno, nel lunedì della Pasqua di Risurrezione. Da questo fatto ebbe origine l'andata annuale del Doge alla visita della chiesa di San Geminiano. Però la visita invece che al lunedì veniva fatta la Domenica in Albis, cioè nella ottava di Pasqua. Passarono i secoli, ed il tempio minacciava di rovinare; nel 1505, sotto il Doge Leonardo Loredan, sul modello di Cristoforo dal Legname, fu cominciato a ríalzarlo internamente, ma, fatta la cappella maggiore, il rimanente della Chiesa rimase imperfetto fin all'anno 1557 in cui il benemerito piovano Benedetto Manzini ne procurò il compimento su disegno, sì esterno che interno, di Jacopo Sansovino. Dice il Temamza "In quest'opera studiò il Sansovino di superare sé stesso. Unì molto bene nell'interiore la cornice dell'arco della cappella col sopraornato del principal ordine della Chiesa, ed ordinò tutte la parti di essa con tal gentilezza e proporzione che da ogni intendente è sommamente commendato. Con eguale maestria condusse anche la facciata ripartita in due ordini con bella porta nel mezzo, e colle finestre proporzionate fra gl'intercolunnj laterali". Ed il Paoletti scrive: "E grande studio pose anche in quella fabbrica quel celebre architetto; unendo bene nell'interno la cornice dell'arco della cappella sopraornato del principal ordine della chiesa; e ordinando tutte le parti con gentilezza e proporzione per nulla dire della bella facciata esteriore divisa in due ordini e fregiata di bella porta. Fece ancora di più. Siccome da quel lato l'ordine delle vecchie procuratie era originariamente composto di sole cinque arcate così quando Sansovino finì la chiesa ne collegò la facciata con quella delle procuratie medesime aggiungendo una sesta arcata eguale nelle altre cinque: ma chiusala nel piano terreno la ridusse ad uso di cappella, che si denominava appunto la cappella di Sansovino, anche perché in essa fu sepolto insieme ai suoi figli Francesco e Fiorenza".Questa chiesa di San Geminiano era una delle preziose sì per la struttura quanto per la ricchezza dei marmi: essa era di dentro e di fuori tutta incrostata di pietra d'Istria: aveva colonne, statue e cinque altari, oltre quello della Cappella Sansovina. Nella facciata interna v'era la statua pedestre del Generale Marchiò Michiel; sull'altar maggiore tre belle figure di marmo scolpite da Bartolomeo Bergamasco; una testa al naturale del piovano Matteo, opera di Cristoforo dal Legname, ed un'altra del benemerito piovano Manzini, di Alessandro Vittoria. In quanto a pitture v'era: alla parte sinistra entrando dalla porta maggiore, una tavola con Santa Cattarina con l'Ange1o che le annunzia il martirio, opera di Jacopo Tintoretto (1518-1594); alle portelle dell'organo: al di sopra due Santi Vescovi, e dalle parti i Santi Giovanni Battista e San Menna Cavaliere, il tutto opere bellissime di Paolo Caliari detto il Veronese (1530-1588); la figura di San Menna è la più pronta e leggiadra che facesse l'autore (Marco Boschini); nella Cappella del Santissimo, la cena di Gesù, di Francesco Santacroce (1516-15S4); e dello stesso autore alla mezzaluna al disopra era il quadro con la Risurrezione; ai lati dell'altare erano due quadri con azioni della vita di Cristo, opere di Giuseppe Scolari. La cupola di questa Cappella con adornati e figure, opera di Giovambattista Grone. Dalle parti dell'altar della Madonna, vi era l'Annunziata, della scuola del Veronese. Vicino al detto altare v'era un quadro con la Visita dei Re Magi, di Alvise del Friso (1554-1609), e dello stesso la mezzaluna al di sopra, con Angeli che adorano lo Spirito Santo. Nella mezza luna sopra il Deposito, verso la Frezzaria, con la Beata e diversi Angeli, era pure della scuola del Veronese. La palla che seguiva con Sant'Elena, San Geminiano Vescovo e San Menna Cavaliere, opera rara di Bernardino da Murano. Nella Cappella del Cristo, pure verso la Frezzeria, il primo quadro con Gesù morto in braccio alla Madre, di mano di Antonio Balestra (1666-1740), ed il secondo con la Risurrezione di Lazzaro, del Girolamo Brusaferro (1700-1760); ed il terzo con il cieco nato, di Gregorio Lazzarini (1665-1730). Passata la finestra, il quadro con: L'adultera, di Girolamo Brusaferro; il seguente con il Transito di San Giuseppe, di mano di Antonio Pellegrini (1675-1741); e l'ultimo con l'apparizione di Cristo alla Maddalena, opera del cav. Nicolò Bambini (1651-1736). Il soffitto di mezzo aveva la Resurrezione dal Cristo, del Sebastiano Ricci (1659-1734). Le due Sante Maria Maddalena e Barbara, opere di Bartolomeo Vivarini (1432-1499), ch'erano in questa Cappella, sono state poste vicino alla Sagrestia. Ma altri antichi pezzi che vi erano, nel 1797 non si videro più. Nella Cappella del Sansovino v'era un Crocifisso assai bello, scolpito in legno dal Faentino (sec. XVI). Fra le Reliquie vi era il corpo di San Geminiano, portato da Roma nel 1693. In questa Chiesa vi erano le Scuole: del Santissimo, di Santa Cattarina Vergine e Martire, della Beata Vergine, di San Geminiano (dei vaginai) che era all'altar dei tornitori. V'era il busto in bronzo di Tommaso Rangone (medico e filologo); questo busto venne portato all'Ateneo. Oltre al padre e figli Sansovino, fra altri illustri sepolti in questa chiesa erano: Marchiò Michele, Giampaolo Stella, Tommaso Rangone da Ravenna, Giovanni Laro, Stefano barone di Lottinger, ecc.

  • 20 gennaio 1798 - In questo giorno fu consacrata (cioè riconciliata) la Chiesa di S. Geminiano in fondo alla piazza S. Marco che dalli Francesi fu fatta un quartiero di soldati prima che si facesse la gran Guardia alla Piazzetta.
  • Adì 18 aprile 1807 - Fu sospeso in quest'oggi l'officiatura della Chiesa di S. Geminiano, e chiuse le porte, ed il piovano con il capitolo fu trasportato alla Chiesa di S. Gallo in campo Rusolo, e poi getta giù la Chiesa per fare una scala per introdursi nel Regio Palazzo che si deve costruire.
  • Adì 15 novembre 1814 - Alle 11 pomeridiane di quest'oggi si rende il passaggio libero alle Procuratie ove era la Chiesa di S. Geminiano ora Palazzo Regio".
    E così demolita la Chiesa e le arcate delle vecchie Procuratie, su disegno del cav. Giuseppe Soli da Modena professore nel1'I. R. Accademia di Milano si eresse la fabbrica come tuttora si vede, la quale dalla parte che prospetta la Piazza non è altro che una continuazione delle Procuratie nuove. Uno degli altari fu trasportato nel palazzo Patriarcale. - L'altar maggiore venne portato nella sagrestia di San Giorgio Maggiore - Le pitture furono depositate nell'ex Priorato di Malta. E così il sig. Bonaparte compì l'opera di distruzione, infischiandosene della Religione e dell'Arte.
    Tratto da "Una Voce Venetia"