3 aprile 1688

Francescp Morosini, ultimo doge guerriero al quale, per la prima ed ultima volta il senato riconobbe con una targa, posta nella sala dei Dieci, i meriti indiscussi di un grande patriota ancora in vita, prima che questi fosse proclamato doge:Francesco Mauroceno Peloponnesiaco adhuc viventi Senatus Finalmente la Serenissima Repubblica, accantonati gli interessi politici e soprattutto “di bottega” riuscì a non eleggere un fantoccio ma un uomo con i suoi meriti e la sua personalità. Francesco Morosini fu attratto dalle arti marziali e militari fin da giovinetto. Abbandonati gli studi letterari si arruolò sulla galea capitanata dal cugino Pietro Badoer. Partecipò ancora ragazzino alle lotte contro i pirati che infestavano l’ Adriatico, quindi alla guerra di Castro e a quelle di Candia fino a divenirne, “provveditore generale” durante l’ultima. Strenuo difensore della causa, mancato il sostentamento e l’appoggio da Venezia era stato costretto al ritiro delle truppe dall’isola con lo scopo di non far subire più gravi conseguenze alla popolazione ed all’ armata ormai sconfitta. Non mancarono certo i detrattori ed i denigratori, come quando dopo la resa di Candia rientrò in patria con barili colmi d’oro e pietre preziose per il tesoro di San Marco e la campana “maggiore” della chiesa. La campana fu issata sul campanile di San Marco ma il tesoro non fu mai iscritto dai procuratori, certo è che pur incolpato della sparizione ne uscì a testa alta. Del resto la sua condotta sul campo militare aveva ampiamente dimostrato il suo valore, così come era unanimemete riconosciuta la sua lealta e la sua intransigenza. Anche quando difese l’alleato conte svedese di Koenigsmark che, il 26 settembre 1687, durante l’assedio di Atene, dalla sua nave fece fuoco sul Partenone facendolo saltare in aria perchè dopo essere stato tempio greco, chiesa cristiana e moschea era stato trasformato in polveriera dai turchi. Francesco Morosini nato il 26 aprile 1619, fu eletto all’unanimità con un unico scrutinio il 3 aprile 1688. Il sigillo ed il corno ducale gli furono spediti tramite un segretario del senato e recapitate ad Egina il 26 maggio 1688, dove si era stanziato e dove gli fu comunque ordinato di non abbandonare il comando. Svanito il tentativo di riconquistare Negroponte le attenzioni del “doge in armi” si rivolsero alla fortezza di Malvasia, caposaldo di un florido mercato di vini, che ririconquistò nel 1689. Ormai stanco e deciso ad assaporare gli onori di casa, senza aspettare l’assenso del senato (nda: non l’aveva fatto nemmeno durante la resa di Candia) il 10 gennaio 1690 fece il suo ingresso trionfale a Venezia. Dopo i festeggiamenti gli fu concesso di ritirarsi nella sua villa dell’entroterra veneziano in località “Marocco”, allontanandosi dal Palazzo Ducale (nda: sempre per la prima volta nella storiadi Venezia). Ma la questione turca era tutt’altro che risolta. Dopo la morte del “capitan general da mar” Girolamo Corner, luogotente e sostituto di Francesco Morosini, e dopo una prima conquista di Janina e Valona i turchi rialzarono la testa riconquistandole a loro volta ed impedendo lo sbarco a Creta all’alleanza capitanata da Domenico Mocenigo. Per le sue grandi benemerenze la Repubblica gli permise di modificare il proprio stemma famigliare, qui sotto riportato. Al doge l’ozio non doveva proprio piacere così su proposta del senato il 24 maggio 1693 riprese il comando dell’armata. Imbarcatosi sull’ ammiraglia ormeggiata in piazza San Marco, Francesco Morosini ripartì per l’ennesima fatica, salutato da tutti i veneziani. Prima della fine dell’anno aveva già ripreso Salamina, Idra e Spetze, poi si ammalò. Toccante rimase il messaggio foriero di una imminente fine inviato al senato ed al popolo veneto: 'ci dispiace di non aver potuto fare di più nel servizio alla patria e quanto di più, essa meritasse'.Il doge morì a Nauplia il 6 gennaio 1694, le sue spoglie furono portate nella chiesa di Sant’antonio e deposte su un catafalco. Li furono sepolti il suo cuore e le sue viscere mentre la salma fu trasportata fino a Venezia e tumulata nella chiesa di Santo Stefano.