11 novembre 1918.

Fu vera vittoria? Paesi sconvolti dalle granate, fame e malattie, povertà, case ridotte a cumuli di macerie. Questo è il primo dopoguerra della Sinistra Piave appena liberata dagli Italiani dopo un anno di occupazione austro-ungarica. Sono poche le testimonianze dedicate a quel periodo storico, non bisognava parlare del dopo 4 novembre 1918, soltanto elogiare la vittoria italiana. I parroci, invece, vogliono raccontare: lo fanno con grande schiettezza, senza “peli sulla lingua”, informano i loro vescovi e chiedono loro aiuti immediati, perché lo Stato italiano non si fida dei profughi delle terre invase e non è informato della loro terribile situazione. “Non vi è alcuna casa abitabile. La chiesa ha un buco abbastanza grande a metà soffitto e altri due fori più piccoli nella navata meridionale – scrive don Antonio Pertile, parroco di Santo Stefano di Valdobbiadene, al vescovo di Padova l’11 novembre 1918 Le condizioni dei profughi che, tra il novembre e il dicembre 1918, rientrano a casa sono a dir poco drammatiche. I parroci le uniche figure su cui fare affidamento: si fanno mandare viveri di prima necessità, indumenti, coperte e medicinali. Poco dopo arrivano anche la Croce Rossa italiana e americana. “Nessuno può lavorare la terra – scrive don Valentino Franco, cappellano di Guia, il 4 dicembre 1918 – perché i campi sono pieni di buche e di proiettili inesplosi. Mancano il bestiame e gli attrezzi da lavoro, manca l’acqua potabile, i pozzi sono stati inquinati dal nemico, non è ancora stato costruito un forno, mancano ingenti ed immediati provvedimenti da parte dello Stato. Temo arriveranno troppo in ritardo per scongiurare una nuova mortalità”.

Nel 1925, secondo dati ufficiali del governo, si stimò in 651.000 i militari italiani caduti durante il conflitto, mentre le vittime civili in 589.000 circa, di cui più della metà per fame e malattie..