5 novembre 1450

Jacopo Foscari uccide il senatore Ermolao Donà.Nel 1445 il giovane Jacopo Foscari, ormai drammaticamente indebitato, venne accusato di avere accettato delle ricompense in cambio di sicure assegnazioni di importanti cariche pubbliche. Non solo: un tal Michele Bevilacqua lo accusò di avere accettato anche dei preziosi doni da Filippo Maria Visconti già durante gli anni in cui la repubblica era in guerra con il duca di Milano. Il Consiglio dei Dieci ordinò l’arresto ma il giovane era già fuggito dalla città venendo condannato in contumacia all’esilio a vita in Romania. Successivamente, dal momento che Jacopo restava irreperibile venne confiscato anche il suo patrimonio. Ancora una volta la potente macchina giudiziaria veneziana si dimostrava in tutta la sua esemplare neutralità. Intanto Jacopo veniva arrestato e imbarcato verso il luogo del suo esilio dove tuttavia non giunse mai per un’improvvisa e grave malattia che lo bloccò a Trieste. Solo allora il padre si sentì in dovere di intercedere per il figlio presso il Consiglio con un accorato appello, a seguito del quale Jacopo nel 1447 veniva confinato nella città di Treviso. La vicenda sembrava essersi finalmente conclusa, tuttavia altre nuvole si addensavano sull’orizzonte di Jacopo Foscari. Il 5 novembre del 1450 infatti, veniva assassinato a Venezia il senatore Ermolao Donà mentre stava facendo ritorno a casa da Palazzo Ducale. C’era solo un particolare: il senatore era stato uno dei capi del Consiglio dei Dieci quando si decise per l’arresto e l’esilio di Jacopo Foscari. Per di più un familiare dello stesso era stato visto aggirarsi nei pressi del palazzo poco prima dell’efferato omicidio. Come se non bastasse pochi mesi dopo arrivò anche una denuncia anonima che accusava esplicitamente Jacopo dell’assassinio. Il giovane Foscari venne nuovamente arrestato.Le prove contro Jacopo di fatto erano questa volta estremamente deboli, una denuncia anonima – e malgrado questo però il giovane venne torturato ed infine condannato nuovamente all’esilio. La meta: l’isola di Creta. L’inspiegabile sentenza del Consiglio dei Dieci, dal momento che l’accusa non risultava supportata da alcuna prova tangibile o testimonianza oculare, si rivelò forse proprio per questo relativamente mite per un caso di omicidio ed è forse giustificata dalla volontà di allontanare definitivamente un personaggio divenuto incontrollabile e per questo pericoloso. Liberarsi di Jacopo Foscari tuttavia sembrava una cosa impossibile. Nell’estate del 1456, infatti, giunse al Consiglio la notizia che Jacopo stava cercando aiuto presso Maometto II per fuggire dall’isola. Tradotto a Venezia vi giunse il 21 luglio di quell’anno dove confermò tranquillamente le accuse a suo carico. Una proposta di condanna a morte del reo confesso da parte di uno dei membri del Consiglio venne tuttavia respinta, mentre si condannò Jacopo nuovamente all’esilio a Creta dove avrebbe scontato un anno di prigione con in più il severo ammonimento di non intrattenere rapporti con le potenze straniere pena l’immediata esecuzione. Jacopo dunque si reimbarcava ancora una volta, l’ultima per Creta. Giorgio Dolfin, ci descrive il giovane Foscari molto malato, pallido in viso e sofferente. Prima di partire a Jacopo venne concesso di rivedere la sua famiglia e in particolare suo padre, il doge. Quando i due si incontrarono Jacopo si gettò fra le braccia del genitore implorando che facesse qualcosa perchè potesse ritornare presto a casa. Francesco Foscari non poté che restare impassibile ed irremovibile. Era pur sempre il doge, il capo e il garante dello stato veneziano. Esortò quindi il figlio a sottostare alla condanna che gli era stata inflitta: “Jacopo va e ubbidisci a quello che vuole la repubblica e non cercar più oltre“. Queste furono le ultime parole rivolte a suo figlio, le parole di un doge. La commozione e la disperazione del padre infatti, trovarono sfogo solo dopo che Jacopo fu ricondotto in cella, quando l’anziano Francesco Foscari crollando in singhiozzi sulla sedia gridò: “O pietà granda!”. I due non si sarebbero più rivisti. Sei mesi dopo giungeva infatti a Venezia la notizia della morte di Jacopo. Per il vecchio doge iniziò un lento e tristissimo declino politico ed umano.